Tale e quale la stirpe delle foglie è la stirpe degli uomini

Martedì 9 aprile si è tenuto il secondo incontro culturale, organizzato da noi redattori di RompiPagina, al Gabinetto di Lettura di Este.

È stato un incontro particolarmente partecipato, infatti è iniziato con una raccolta di opinioni e aspettative del pubblico.

La prof.ssa Dal Prà, il prof. Andretta e il prof. Centanini hanno presentato al pubblico il tema della morte; un argomento che da sempre incuriosisce e fa riflettere noi esseri umani sin dall’antichità.

La professoressa Dal Prà ha presentato varie opere dedicate alla morte, dai monumenti funebri come Dolmen e Piramidi, alle opere di Andy Warhol. Evidenziando in particolare come la morte sia “un fatto doloroso della vita, ma specialmente per chi resta”.

Ha proseguito il professor Andretta, partendo proprio dalle riflessioni espresse nella prima parte dell’incontro dal pubblico ha evidenziato come la morte non sia l’ultima parola, ma anzi il legame che non svanisce con le persone care e ci aiuta ad andare oltre, perché “quello che rimarrà della nostra esistenza sarà l’amore che saremo riusciti a costruire”.

Infine il professor Centanini ha offerto una visione filosofica dell’argomento, citando in primis Platone, ma poi anche Omero e il più recente Nietzsche, evidenziando in modo particolare che l’uomo è come una foglia al vento: effimera e passeggera, con un futuro incerto. Ha  dato poi vari spunti di riflessione, ad esempio che “se io penso alla mia condizione di mortalità, allora posso ripensare alla mia vita e operare in essa per costruirci un significato”; o in un’ottica platonica che “stare sul confine permette di assumere una prospettiva dell’universale, di uscire da me stesso per riguardare a me da un punto di vista più generale, così mi guardo pensando alla morte nel mio essere vivo”.

L’incontro si è concluso poi con le domande del pubblico, momento in cui si è acceso un dibattito molto forte e intenso sulla tematica trattata e in particolare sul dare un significato alla vita in funzione del fatto che finirà.

Ringraziamo caldamente il Gabinetto di Lettura di Este per averci permesso di organizzare questi incontri culturali.

Infine, invitiamo caldamente voi lettori a partecipare al prossimo e ultimo incontro che riteniamo essere molto educativo e formativo, indirizzato a persone di tutte le età e non solo a noi studenti.

Vi lasciamo di seguito il video registrato durante la serata e la presentazione in formato pdf dei relatori dell’incontro

Registrazione della serata: https://drive.google.com/file/d/1THdgTCKPrcnYekDEPJN3bgtfA8KzfBAH/view?usp=sharing

Presentazione Arte: https://drive.google.com/file/d/1tevo6W3C-kfmZqXDtboUA5bv927y751q/view?usp=sharing

Origini degli scacchi

Secondo la storia gli scacchi nacquero in india attorno al VI secolo d.C., deriva da un gioco indiano chiamato caturañga.

Dopo l’occupazione cinese questi li modificarono nel gioco xiangqi, nel quale i pezzi erano disposti nell’intersezione delle caselle, piuttosto che nel centro.

Il gioco degli scacchi prende il suo nome dalla parola persiana Shāh, “re”, e la fine della partita è definita dal termine scaccomatto, “shāh mat”, ovvero “re sconfitto”.

Invece la leggenda narra che il creatore degli scacchi fosse un certo mercante chiamato Sissa Ben Dahir, che inventò il gioco per un principe annoiato. Al principe piacque molto e gli permise di chiedere qualsiasi cosa come ricompensa. Il mercante chiese un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via, sempre raddoppiando il numero per tutte le 64 caselle. I contabili del regno si resero conto che gli dovettero dare un numero impossibile di chicchi (circa 18’446’744’000’000’000’000 chicchi).

Questa leggenda era conosciuta durante il medioevo, e pure Dante ci dedicò un passo della Commedia, il quale utilizza lo schema della leggenda per dare un’idea del numero di angeli presenti in cielo.

“L’incendio suo seguiva ogni scintilla

ed erano tante, che ‘l numero loro

più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla”

Paradiso, Canto XXVIII, v.91-93

Un grande ritrovamento storico sono stati gli scacchi di Lewis, un gruppo di pezzi provenienti dall’era medioevale rinvenuti nella baia di Lewis, in Scozia. Assieme ad essi sono stati trovati numerosi giochi da tavolo, ma questo è l’unico set che è stato rinvenuto intatto e completo.

Il set comprende 79 pezzi scolpiti in avorio di tricheco, tranne alcune eccezioni, e i pezzi sono alti circa 10cm, tranne i pedoni, la cui altezza varia dai 3,5 ai 5,8, questo fa pensare che in origine fossero pezzi appartenenti a diverse scacchiere (anche la presenza di 19 pedoni, quando a set ne bastano 16).

Sono esposti tuttora e permanentemente al British Museum.

Il 20 luglio di ogni anno si festeggia la giornata internazionale degli scacchi

– Frederick Toschetti 2CA

Festival delle Lingue: I edizione

Dare un’unica definizione del nuovo “Festival delle Lingue”, formidabilmente organizzato dai docenti del Ferrari e dagli studenti delle classi seconde, terze, quarte e quinte che hanno partecipato e hanno contribuito con impegno alla sua realizzazione, risulta quasi impossibile. In una serata, quella dello scorso 22 Marzo, i partecipanti hanno avuto la possibilità di sperimentare e divertirsi attraverso una grande quantità di laboratori interattivi, i quali, attraverso la loro varietà, sono riusciti a lasciare qualche nozione di lessico, di cultura e che hanno rappresentato accuratamente l’amore verso le lingue da parte degli organizzatori, provenienti da non solo dall’indirizzo linguistico.

L’inizio delle attività vere e proprie è stato introdotto dalla band scolastica, la quale, con un vario repertorio di canzoni nelle diverse lingue proposte, ha indubbiamente permesso d’intrattenere il pubblico in maniera serena. In seguito si è tenuto l’intervento della nostra Dirigente, che ha colto l’occasione per ricordare a tutti il valore che possiede la conoscenza linguistica e la sua importanza nella creazione di una connessione con altri popoli e con le altre culture che, per quanto possono apparire ineguali dalla nostra, possiedono intrinsecamente una particolarità e una bellezza peculiare.

Gli ospiti hanno avuto ulteriormente modo di scegliere i laboratori linguistici ai quali partecipare grazie ad una iniziale rassegna stampa, che ha illustrato loro i relativi progetti dedicati alla parte pratica o agli scambi culturali.

Passando in rassegna i vari laboratori, partiamo da quelli in lingua inglese.

The Offensive Translator“, a cura dei professori Galante e Gusella e vari studenti del liceo artistico, tra i quali Frederick Toschetti (2CA), è riuscito a combinare divertimento e competenza.

Abbiamo avuto molta affluenza e siamo molto contenti di questo. Mescolando il comico (video in inglese) e serio (traduzione) abbiamo riscontrato molti pareri positivi.

English For Fashion“, a cura della professoressa Ghidoni e della classe 5^CA, tra cui l’alunna Aurora Lacerti, rivolto a tutti coloro con un forte interesse, o una semplice curiosità, verso il mondo della moda.

 “Abbiamo rappresentato gli stilisti più famosi come Chanel, Dior, Prada ma anche artisti più ricercati. Siamo molto contenti del risultato perché tra le prove Invalsi e gita in mezzo ci siamo impegnati tanto.

Victorian’s Secrets“, a cura delle studentesse Giada Gambalonga (5AL), Emma Marchioro (5AL), Erica Spigolon (5BL) e Greta Polonio (5BL), una versione moderna e comica di una possibile conversazione tra figure femminili indimenticabili della letteratura inglese.

La nostra attività consisteva in un talk show ambientato nell’età vittoriana dove le protagoniste erano Jane Eyre dell’opera Jane Eyre, Elizabeth Bennet di Pride and Prejudice e Catherine di Wuthering Heights. Siamo state assolutamente contente dell’affluenza.

The Tudor Family“, a cura della professoressa Scardin e di vari studenti di 4AL tra cui Anna Pavan e Riccardo Belluco, incentrata sulla memorabile dinastia regnante dei Tudor.

Grandissima affluenza e molta creatività nei corridoi, comparabile alla Notte del Liceo Classico.”

CreHAIKUS under the moonlight: poeti per una notte” a cura della professoressa Ditadi e di alcuni alunni di 4BSA, laboratorio in cui i partecipanti “sono stati invitati a creare un Haiku dal primo all’ultimo verso, come dei veri e propri Poeti! Partendo da immagini-stimolo o parole-stimolo proiettate all’interno della classe-laboratorio come ci spiega la professoressa stessa.

Fake or real?” coordinato dalla professoressa Mantoan insieme ad alcune alunne di 4AC che ci dicono: “Era un laboratorio incentrato sul riconoscere le fake news, dove i partecipanti analizzavano un articolo e sulla base di alcuni punti cercavano di capire se fosse vero o meno con, a seguire, dei quiz a premi per fare pratica”.

Passando alla lingua francese, la professoressa Fiocco ha affermato: “Le attività sono state totalmente proposte dai ragazzi, sia il quiz sui modi di dire in francese sia la pièce sull’assurdo di Ionesco, preparate tutte nel tempo record di 2 settimane. Ho avuto una grandissima soddisfazione riguardo le loro capacità di applicare la lingua straniera fuori dalla classe.”. I laboratori in questa lingua erano un quiz sui modi di dire in francese tenuto da alcune ragazze di 3AL e una piéce dell’assurdo di Ionesco che i ragazzi di 4AL avevano visto due settimane prima in gita a Parigi e da lì hanno deciso di metterlo in scena in questa serata.

Per quanto riguarda invece lo spagnolo, le classi sono state completamente riempite di spettatori. “Dalle cantigas alle canzoni: un mondo di tradizioni”, con la partecipazione di Sophie Benso (4BL) e Martina Corso (4BL) e numerosi altri ragazzi, ha superato le loro aspettative come da loro riportato: “Essendo un laboratorio letterario non ci aspettavamo così tanta affluenza, siamo rimaste piacevolmente sorprese.” Tra i partecipanti anche Hiba Chaouki (4BL) che ci dice: “è stato interessante portare una lingua diversa da quelle che studiamo poiché ho portato una canzone metà in arabo e metà in spagnolo”.

Tratta di letteratura anche “Federico Garcia Lorca: musica, teatro e poesia”, a cura della professoressa Faccon e dei suoi alunni, i quali insieme sono stati in grado di rappresentare perfettamente l’emozione contenuta dalle poesie. La professoressa ha commentato dicendo: “Con le rappresentazioni teatrali dell’Aurora di New York e La Casa di Bernarda Alba stiamo facendo successo: è la quarta volta che facciamo lo stesso spettacolo. Va studiata la prossima edizione ma ci abbiamo azzeccato, no?”. L’alunna Rowena Polato (5BL), che ha partecipato attivamente, ha aggiunto: “Pieno di gente, non si riusciva quasi a respirare dalla quantità di persone presenti. Ottimo esempio per chi volesse in futuro scegliere il linguistico.

Infine trattiamo delle attività in tedesco, che al pari delle altre lingue hanno riscosso pareri affermativi. Al riguardo, le professoresse Barison e Salvo hanno parlato positivamente delle performance, della partecipazione dimostrata e anche di come gli alunni stessi abbiano avuto l’occasione di divertirsi. Tra i vari, citiamo “Deutsch mit Spaß”, un interessante laboratorio lessicale organizzato dalla professoressa Mazagg e da alcuni alunni di 3AL, insegnavano le basi del tedesco ai partecipanti. Tra gli alunni c’è Alex Sinchevici che la definisce “davvero una bella esperienza, da rifare in futuro”.

Il laboratorio letterario e teatrale “Die Leiden des jungen Werthers: il giovane Werther tra dolori e passioni” sembra essere stato tra i più acclamati, grazie alla capacità degli attori di trascinare i partecipanti all’interno del memorabile romanzo di Goethe. Giulia Pastò (4BL) e Gianmarco D’Onghia (4BL) rivelano: “Abbiamo recitato una volta in più perché il pubblico lo ha richiesto. Ci siamo divertiti moltissimo.

Altro laboratorio in tedesco è stato “Das Brettspiel über Deutschland: un viaggio alla scoperta della cultura tedesca” di alcune studentesse del linguistico tra cui Valentina Grigio (3BL) che ci dice “è stato divertente osservare i primi approcci al tedesco di persone totalmente alle prime armi”

In molti hanno partecipato anche agli interventi riguardo le esperienze internazionali che la scuola propone, per i quali la professoressa Rappo ha espresso una sentita soddisfazione: “La serata sta andando oltre le nostre aspettative, sono veramente felice, sta ripagando tutti i nostri sforzi. Gli studenti si stanno impegnando molto e i progetti internazionali stanno riscuotendo successo. Sono molto soddisfatta anche degli ex studenti che sono venuti per aiutarci.” Gli ex alunni Riccardo Alfonso e Sofia Zhou, che hanno presentato le loro esperienze Erasmus, hanno dichiarato: “Non ci aspettavamo tutta questa partecipazione, i genitori sono emozionati all’idea di mandare i figli all’estero e tornare qua è stato quasi nostalgico.”. Ma sempre a parlare delle loro esperienze c’erano anche Camilla Erbusti (5AA) e Elena Grillo (5BL) che ci dicono: “Ci sono un po’ di persone interessate, soprattutto genitori che chiedono per i figli ed è una cosa molto positiva”.

La serata ha ricevuto riscontri particolarmente positivi da molte persone e di seguito ne riportiamo alcuni, come Marco del Piccolo, DSGA (Direttore dei Servizi Generali Amministrativi) del nostro Istituto che afferma: “Non ho mai visto una cosa del genere, vedere la scuola riempirsi durante questi eventi mette gioia.” o le giovani Livia, Maddalena e Alessia (di rispettivamente 7, 7 e 4 anni) a cui è piaciuta la serata, in particolare “il laboratorio di tedesco e gli indovinelli in francese dove abbiamo vinto le caramelle”, o ancora il parere di Agostino, madrelingua inglese che attualmente è assistente di lingua nella nostra scuola, che ci ha detto: “I think this has been a wonderful evening, all the students were involved into their projects. I’ve been very impressed at the level of English that I saw in the workshops.”.

Anche la Dirigente Scolastica Milena Cosimo si è espressa positivamente riguardo la serata affermando: “c’è tanta partecipazione. Soprattutto gli attori sono bravissimi e tutti i laboratori sono molto interessanti”.

Si può considerare quindi la prima edizione del Festival delle Lingue un successo, la realizzazione concreta dell’impegno di docenti e studenti, ma anche la dimostrazione delle competenze acquisite dagli alunni durante il loro percorso scolastico, come afferma la professoressa Businarolo, docente di lettere che ha partecipato ai laboratori e che ha rivelato la sua ironica preoccupazione: “Sono preoccupata perché ci stanno facendo una grande concorrenza per la Notte del Liceo Classico. Sono bravissimi questi ragazzi del linguistico. Fanno dei laboratori interessantissimi. Quasi quasi verrebbe voglia di imparare le lingue anche a me.

La professoressa Fiocco ha espresso il significato di questa serata, oltre al presentare i vari progetti che la scuola propone: “Sono questi momenti in cui troviamo forse il senso di ciò che facciamo perché in aula si vede qualcosa, ma non si vede tutto quello che i ragazzi sanno fare e come sanno abitare la lingua straniera”.

La professoressa Scardin, insegnante d’inglese, ci ha raccontato come sia nata l’idea di questa serata ed ha esternato il desiderio di riproporre il Festival anche negli anni a venire: “Questa serata è nata dalla voglia di far conoscere ai ragazzi e alle famiglie le varie opportunità dei progetti internazionali che la scuola propone. Partendo da questo obiettivo, ovvero di mostrare le emozioni e i risultati che i ragazzi portano a casa da queste esperienze, siamo arrivati al festival di oggi. Questa non è una serata dedicata solo al linguistico, ma a tutto l’istituto perché questi progetti sono trasversali a tutte le classi di tutti gli indirizzi. Ci siamo messi un po’ in gioco insieme a tanti colleghi e studenti. Ci ha colpito perché non ci aspettavamo così tanta affluenza. Siamo rimasti veramente soddisfatti e spero che sia piaciuta a tutti e ci auguriamo l’anno prossimo di poter fare una seconda edizione.

Francesca Picelli 1AL

Valentina Grigio 3BL

Pietro Grosselle 4BSA

Con le foto di Diletta Sbicego (4BSA) e Irene Morato (5AS)

Che cos’è un uomo nell’infinito?

Mercoledì 20 marzo si è tenuto il primo incontro culturale, organizzato da noi redattori di Rompipagina, al Gabinetto di Lettura di Este.
È stato un incontro molto intimo, seppur formale, e a causa di questo i partecipanti hanno potuto dibattere con i tre professori che hanno dato la loro disponibilità per l’organizzazione di tale incontro.
La prof.ssa Businarolo, il prof. Cascio e la prof.ssa Falanga hanno presentato al pubblico il tema dell’infinito; un argomento che ha da sempre affascinato gli uomini, dall’antichità fino ai giorni nostri.
La prof. Businarolo è partita proprio dalle origini di un termine greco simile alla definizione che abbiamo noi di infinito, per approdare poi, attraversando la visione umana del concetto di infinito nel corso dei secoli, all’angoscia di Pascoli nei confronti di questo.
Il prof. Cascio ha citato invece il filosofo Pascal, che ha identificato come uno “spartiacque” nel rapporto tra uomo e infinito, ragionando sull’effetto che la grandezza di ciò ha avuto nell’umanità e su in che posizione si sia posto l’uomo rispetto ad esso. Affrontando il tema dell’infinito da un punto di vista personale ed esistenziale, ha parlato del concetto di scelta e probabilità in Kierkegaard. Ognuno di noi, infatti, ha un’infinita possibilità di scelte che ci porta spesso ad una “paralisi della scelta”; questa è determinata dal fatto che non potremmo mai avere la certezza che la scelta che compiamo sia quella giusta, ma soprattutto perché abbiamo il timore di abbandonare tutte le altre migliaia di possibilità.
Infine la prof.ssa Falanga, partendo dal notissimo simbolo dell’infinito in matematica, ha descritto come a partire dal Cinquecento l’uomo abbia cercato di riprodurre l’idea di infinito attraverso l’architettura, citando Palazzo Barozzi a Vignola, ad esempio. La prof.ssa ha poi mostrato moltissime opere pittoriche per raccontare questo infinito; in particolare, le opere di Friedrich dove l’uomo è posto in secondo piano, fungendo quasi da sfondo alla protagonista che è invece la Natura e le ninfee di Monet. L’ultimo suo intervento riguarda, sempre
attraverso l’architettura, l’infinito nella sfera temporale. Ha citato infatti un’ importante architettura orientale della religione induista: Santuario Ise, in Giappone. Tale edificio, secondo la tradizione, viene abbattuto e ricostruito da capo ogni 20 anni, cosa che dunque potrebbe proseguire per un tempo infinito.
Ringraziamo caldamente il Gabinetto di Lettura di Este per averci permesso di organizzare questi incontri culturali.
Infine, invitiamo caldamente voi lettori a partecipare ai prossimi incontri che riteniamo essere molto educativi e formativi, indirizzati a persone di tutte le età e non solo a noi studenti.

Vi lasciamo di seguito il video registrato durante la serata e le presentazioni in formato pdf dei relatori dell’incontro

Registrazione della serata: https://drive.google.com/file/d/1RvqKOIkipCO6p0GAxfL5OWPL37vVfpDL/view?usp=sharing

Presentazione Letteratura: https://drive.google.com/file/d/1i6Lu1F1acM_qmCWvtFlpa4Skav5IO0th/view?usp=sharing

Presentazione Filosofia: https://drive.google.com/file/d/1UXYu7LCiJF1vMlMdIpHXpTRgCkhVHrfr/view?usp=sharing

Presentazione Arte: https://drive.google.com/file/d/1Ay8v3YfF0vF9Y_6AQoPF2Sq_BuIuY34y/view?usp=sharing

I direttori di RompiPagina

Is Ugly Still Chic?

Non solo le cose “belle” ci attraggono, che sia in amore o nella moda. Il “brutto”, sempre se così si può definire, ha un fascino intrinseco, ha qualità inspiegabilmente percepibili che però sfuggono alla comprensione piena del fenomeno.
L’introduzione del “brutto” nell’arte nasce come provocazione intellettuale contro una patinata noia borghese, come scrive Francesca Milano Ferri per Harper’s Bazaar, e anche più tardi e in ambiti diversi, non è venuto a mancare l’aspetto provocatorio e sovversivo. Un esempio di evento rivoluzionario per la moda fu senza dubbio la SS1996 “mix di colori solforosi” (def. di Anna Piaggi) di Miuccia Prada, collezione aspramente criticata proprio per non aver rispecchiato l’idea di bello e di conforme, che aprì le porte al famosissimo “pretty-ugly”; è sempre Miuccia Prada a dire: “Il brutto è attraente, il brutto è eccitante. Forse perché è più nuovo”.

Prada Spring 1996

Prada Fall 1996


Dello stesso parere è anche l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, il quale, in un’intervista riguardo alla sua collezione “Make The Strange Beautiful” disse: “Più strano sei, più bello sei. A me piacciono i difetti, non c’è niente da fare”.

Gucci Spring 2022 “Love Parade”


Però alla stranezza e alla singolarità, per non parlare direttamente di “bruttezza”, sono stati imposti dei limiti: l’ugly chic di Prada ha avuto un’ascesa e un declino, e l’impero dorato Gucci di Michele è deceduto da ormai un’anno. Ciò che sfila oggi è ricercata e ostentata semplicità, quasi una camicia di forza alle nostre passioni, alle nostre spinte.

Non sentiamoci mai in dovere di conformarci, di diventare lo standard. Rendiamo felici noi stessi, e aggiungiamo quella spilla o quel colore dissonante che ci faranno uscire di casa con un sorriso. Rendiamo il nostro armadio Immature Couture.

-Edoardo Benedusi 5AC

Idrogeno e biocarburanti, le opzioni alternative al fossile e all’elettrico

Dal 2035 in Europa non potranno essere più acquistate o vendute auto alimentate a combustibili fossili o con motore endotermico, rendendo così possibile solo l’acquisto di auto elettriche (tranne in Francia), ma ci sono altre soluzioni ecosostenibili e con un minore impatto ambientale?

Ad oggi ci sono diverse soluzioni con un impatto ridotto sull’ambiente, come i biocarburanti e l’idrogeno e in questo articolo li analizzeremo, capendo anche perché l’Unione Europea ha deciso di accantonarli.

Biocarburanti

I biocarburanti non sono una novità recente, infatti già Henry Ford presentò la Model T dotata di un motore alimentato a etanolo, che fu poi cambiato con un motore a benzina da 20 hp per motivi di praticità e anche perché l’etanolo non era prodotto come carburante. Per parecchi anni i progetti relativi ai biocarburanti vennero “dimenticati” per via dell’ampio utilizzo dei combustibili fossili, fino alla crisi petrolifera degli anni ‘70 quando in brasile si iniziò ad usare il bioetanolo per alimentare le auto.

I biocarburanti, come si può intuire dal nome stesso, sono quella categoria di carburanti (più precisamente idrocarburi) prodotti da materia organica, come quindi dalla fermentazione delle biomasse, e per questo teoricamente inesauribili.

Oltre alla loro rinnovabilità i biocarburanti possono ridurre del 88% le emissioni di CO2, per questo motivo sono già presenti nelle stazioni di servizio nella benzina E5 (con una percentuale di bioetanolo pari al 5%) e in quella E10 (la percentuale di bioetanolo arriva al 10%). Eni ha poi sviluppato HVO, il biodiesel prodotto da oli vegetali idrotrattati di scarto, utilizzabile però solo nelle auto con motori Euro 6 e successivi perché più corrosivo del diesel tradizionale.

Biocarburanti alla stazione di servizio

La problematica maggiore dei biocarburanti è che non c’è abbastanza biomassa per la loro produzione rispetto alla richiesta fatta dal mercato se si passasse solamente al loro utilizzo. Inoltre per la loro produzione è necessario sottrarre terre coltivabili all’agricoltura.

L’Unione Europea ha deciso di non considerarli come una soluzione per diminuire l’impatto ambientale europeo perché la loro combustione produce alti livelli di ossidi di azoto, di particolato atmosferico e ozono che possono influire sulla salute.

Idrogeno

Idrogeno

L’idrogeno è l’elemento chimico più semplice e rappresenta circa il 70% della materia dell’universo. Nonostante ciò non è così abbondante sulla Terra e per questo è necessaria l’estrazione da altre molecole, come dall’acqua o dagli idrocarburi, che avviene attraverso un processo che rompe i legami che tengono gli atomi di un composto uniti. Per produrre l’idrogeno vengono utilizzati diversi metodi, tra i più comuni troviamo il reforming del metano, la gassificazione del carbone e l’idrolisi. I primi due sono i più comuni, infatti circa il 97% dell’idrogeno prodotto deriva da idrocarburi e la sua produzione comporta anche una grande produzione di anidride carbonica e per questo viene chiamato “idrogeno grigio” o “idrogeno blu” se l’anidride carbonica prodotta viene stoccata permanentemente (per esempio riempiendo i giacimenti di gas naturale esauriti).

I colori dell’idrogeno

Esiste anche l’idrogeno verde, quello prodotto dall’elettrolisi dell’acqua (con energia ricavata da fonti rinnovabili come l’eolico o il solare) o da altre fonti non inquinanti, come dalle alghe. La produzione di idrogeno verde risulta più costosa delle altre e per questo meno favorita (1 kg di idrogeno verde costa in media dai 4,5 ai 12 $, mentre quello grigio da 0,98 a 2,93$ e quello blu da 1,8 a 4,7 $).

Differenze tra i colori dell’idrogeno

I motori a benzina/diesel trasformano soltanto tra il 20 e il 25% dell’energia prodotta dalla combustione in energia meccanica, mentre il 75-80% dell’energia restante viene trasformata in calore.

In un motore a celle di idrogeno le percentuali sono invertite, anche se poi solo il 40% dell’energia è utilizzata per far muovere il veicolo perché l’energia prodotta deve essere convertita in energia elettrica. Ciò è dovuto anche al fatto che 1 kg di idrogeno contiene la stessa energia di 2,8 kg di benzina.

Lo “scheletro” di un’auto a idrogeno. Si noti la forma del motore a sinistra

L’idrogeno è però anche molto instabile, tanto che a temperatura ambiente deve essere conservato in sicurezza in contenitori con una pressione interna che varia tra i 350 e 700 bar (una bombola di gas ha una pressione tra 4 e 8 bar, mentre un bombolone di un’auto a gas non supera i 20 bar). Se si vuole invece conservarlo liquido bisogna raffreddarlo e mantenerlo a una temperatura inferiore ai -253°C, che comporta una grande richiesta energetica. Proprio a causa di questi motivi non ci sono le infrastrutture, almeno in Europa, per contenerlo (perché non possono essere utilizzate strutture come i gasdotti, salvo all’inserimento di gas con una minima percentuale di idrogeno).  La costruzione di queste infrastrutture è già in atto, infatti l’UE ha già stanziato i primi finanziamenti per oltre 5,2 miliardi di euro (2023) per sviluppare il settore dell’idrogeno.

Green deal

È vero anche però che nel Green deal (il piano dell’Unione europea per la decarbonizzazione), cercando di limitare la produzione di gas serra, si svantaggiare indirettamente  l’idrogeno che (come detto prima viene prodotto per il 97%  da idrocarburi) potrebbe rappresentare quindi una vera soluzione solo per i Paesi con un’ampia produzione di energia pulita come Spagna, Svezia, Finlandia e Francia (quest’ultima grazie ai reattori nucleari  è riuscita a rientrare tra i produttori di energia pulita, ma non rinnovabile).

In Europa quindi l’idrogeno risulta molto più costoso rispetto all’elettrico.

– Francesco Savio 2ASA

Fabi e Pragg, due validi concorrenti per Carlsen

Nell’ultimo episodio di questa rubrica ho parlato del grande Magnus Carlsen, prodigio e campione indiscusso del mondo degli scacchi, ma adesso parliamo del secondo gradino del podio attuale…

Identificare il numero due al mondo non è semplice, ci sono molti nomi che potrebbero aggiudicarsi questo posto, ma secondo me è giusto parlare di due figure di spicco, uno dei due giocatori ha rappresentato l’Italia per molti anni per poi passare agli USA, l’altro è invece un “nuovo” prodigio diciottenne, che si è fatto valere nel World Chess Championship 2023, riuscendo ad aggiudicarsi il secondo posto dietro Carlsen.

Sto parlando di Fabiano Caruana, detto Fabi e di Rameshbabu Praggnanandhaa, detto Pragg.

Fabiano Caruana è un Grande Maestro dal 2007, al tempo il più giovane italiano e americano ad aver conquistato il titolo. Nato in Florida da genitori italiani ha rappresentato l’America fino al 2005, poi è passato all’Italia dal 2005 al 2015 e adesso rappresenta l’America dal 2015.

Ha vinto molti tornei italiani nel periodo tra il 2005-2015 e nel 2007 riesce a vincere il Campionato Assoluto Italiano, dopo essere arrivato secondo l’anno precedente.

Ha vinto sedici super tornei, ha sfidato più volte il campione del mondo, ma la prima è stata per contendersi il titolo nel 2018, a Londra, dove purtroppo non riuscì a superare la tecnica dell’avversario e perderà di tre punti.

Nel 2020, grazie alla partita giocata contro Carlsen nel 2018, si aggiudica una qualificazione diretta alle “Candidates” per i mondiali.

In ottobre 2021 giunge primo a pari merito al campionato statunitense con Wesley So e Samuel Sevian, con il punteggio di 6,5 punti su 11. Tuttavia agli spareggi arriverà secondo dietro lo stesso So.

Nel 2023 partecipa e si classifica al terzo posto della Coppa del Mondo, questo risultato gli dà il diritto di partecipare per la quinta volta al Torneo dei Candidati.

Ha un punteggio FIDE di 2804 (aggiornato 1 gennaio 2024) e unico italiano ad aver superato la soglia del 2700.

L’altro nome di questa selezione è Praggnanandhaa, giocatore facente parte del numeroso gruppo di prodigi indiani presenti in questi anni, assieme a Vidit, Gukesh e altri. Ha ottenuto il titolo di Grande Maestro all’età di dodici anni, dieci mesi e tredici giorni ed è il 13° al mondo per punteggio FIDE (e secondo giocatore indiano, dietro Vidit). Nel 2022 è apparso per la prima volta nei primi cento nella classifica mondiale ed è arrivato secondo, dietro Magnus Carlsen, durante la Chess World Cup 2023, ma senza dare spettacolo contro i suoi avversari, arrivò infatti a degli spareggi in finale contro Magnus, e più volte vinse delle partite e gli diede del filo da torcere, risolvendo posizioni complicatissime. Grazie a questo risultato ha anche lui l’accesso garantito alle Candidates di Toronto 2024, come Fabi.

– Frederick Toschetti 2CA

“Reawakening Fashion Everyday”

Sto perdendo la speranza nella moda. Ciò che vedo in sfilata, nei magazine e nelle collezioni odierne mi annoia. Credo che se c’è un onere che la moda abbia è proprio quello di sbalordire, creare interesse facendo brillare gli occhi o, invece, inorridire, smembrare e ricostruire. Di tutto ciò non percepisco proprio nulla, e quindi mi trovo costretto a tuffarmi nel passato: dal “corsettato” Mugler degli anni 90, al faraonico universo di John Galliano per Dior del 2000, fino all’haute couture rivoluzionaria di Cristóbal Balenciaga di inizio ‘900 (per citare i più conosciuti). Sembra quasi che tutto sia stato già svolto impeccabilmente nel passato e che non ci sia speranza alcuna nel presente. 

Per non parlare della carta stampata, che spreca cellulosa, inchiostro e gloss al misero fine di vendere un cumulo perpetuo di banalità, quando il guadagno non è una giustificazione sufficiente. Ciò che manca è il “Vogue Juice”, definizione della grandiosa giornalista Anna Piaggi, che con questo arguto appaiamento di parole intendeva “un succo di concetti e di stimoli visuali”. 

Anna Piaggi (1931-2012)
giornalista e scrittrice italiana

Passando alla mondanità, che forse il tema del Met Gala di New York di quest’anno sia da leggere anche come un’esortazione al risveglio del fashion system ? “Sleeping Beauties: Reawakening Fashion” metterà in mostra iconici abiti e accessori troppi fragili per venire indossati di nuovo o solamente per essere esibiti on display; facendo ciò darà sicuramente spettacolo, mostrando però solo abiti di epoche trascorse. 

“La Chimére”, Thierry Mugler
(Haute Couture Fall/Winter 1997-1998)

Concludo la mia lunga riflessione col dire che io non mi voglio arrendere. Esorto tutti voi lettori a esprimervi con la moda osando, facendo scelte azzardate, e provando ad uscire dalla comfort zone. Ciò che si sta tralasciando è l’importanza di questo mezzo comunicativo, che vi regala con generosità il lusso di dipingere al meglio la vostra essenza nella vita di tutti i giorni.

Razor clam shells dress,
Alexander McQueen, Voss- SS 2001

-Edoardo Benedusi 5AC

La tecnologia Stealth e perché è così strategica

Scientifico!

(Northrop Grumman B-21 Raider)

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno presentato il loro ultimo bombardiere dotato di tecnologia stealth e non serve sicuramente un esperto in politica estera per capire che questo annuncio fatto non è puramente casuale. L’aereo in questione si chiama Northrop Grumman B-21 Raider, ha fatto il suo primo volo il 10 novembre 2023, a Palmdale in California e da quello che è stato dichiarato potrà trasportare armi convenzionali e bombe termonucleari. Il costo è maggiore ai 600 milioni di dollari cadauno e gli Stati Uniti prevedono di acquistare circa 100 esemplari. Dotato di tecnologia stealth diventerà operativo tra il 2026 e il 2027 e sostituirà il Rockwell B-1 Lancer e il Northrop Grumman B-2 Spirit. Ma perché la tecnologia stealth è così importante strategica?

Rockwell B-1 Lancer

La risposta si trova nella sua funzione, cercare di rendere minima la possibilità ai radar di scovare e poter tracciare l’aereo in volo sul territorio nemico, potendo così poter colpire obiettivi più strategici con una maggiore probabilità di successo con una minore possibilità che l’aereo venga abbattuto.

Per parlare di come funziona la tecnologia stealth bisogna parlare anche di come funzionano i radar militari.

Northrop Grumman B-2 Spirit

I radar militari

Non c’è pressoché alcuna differenza tra i radar militari e civili.

Per funzionare i radar (parola dall’inglese radio detection and ranging) necessitano di una trasmettitore di onde e di una o più antenne per la ricezione del segnale di ritorno. Più in particolare viene sfruttato l’effetto di backscattering, grazie al quale un’onda, quando colpisce un oggetto ritorna alla sorgente con un angolo di deviazione pari a 180°, seguendo, però al contrario, il tragitto fatto. Per intenderci è come se percorriamo il percorso casa-scuola prima in un senso di marcia e poi quando siamo arrivati a destinazione ripartiamo immediatamente in retromarcia o nel senso di marcia opposto.

Non tutte le onde vengono deviate con un angolo di 180°, ma la maggior parte verrà deviata con angoli minori, per questo sono presenti nel territorio molte altre antenne per ricevere per l’appunto le altre onde che sono state deviate. Inoltre ogni trasmettitore radar emette onde con una frequenza diversa, seppur per pochi hertz, dagli altri e poiché quando le onde rimbalzano su un oggetto non cambiano frequenza, rende possibile il riconoscimento della stazione radar dalla quale è stata inviata. Per esempio un Boeing 747 sta sorvolando Perugia per atterrare poi a Venezia. Il radar di Venezia invia delle onde all’aereo per calcolare la sua posizione e molte onde vengono deviate e intercettate dall’antenna del radar dell’aeroporto di Malpensa. Se le frequenze dell’aeroporto di Malpensa e quelle del Marco Polo fossero identiche, a Milano risulterebbe che l’aereo sta viaggiano verso di loro, poiché le onde captate non sono riconducibili alla stazione radar del Marco Polo e risulta quindi che sono state deviate di 180°. Nella realtà vengono utilizzati anche i dati GPS e anche quelli dei radiofari.

A seconda poi della lunghezza d’onda, si possono raggiungere distanze diverse. Con lunghezze d’onda maggiori e frequenza minore si raggiungono le distanze maggiori, mentre con lunghezze d’onda minori e frequenze maggiori la distanza coperta è minore.

Nel campo aeronautico si utilizzano onde radio e microonde, con frequenze diverse.

Le frequenze tra i 230 e i 1000 MHz sono utilizzate per il controllo balistico (le lunghezze d’onda vanno dai 30 ai 130 cm),tra 1 e 2 GHz sono utilizzati per la sorveglianza aerea mentre quelle tra 8 e 12 GHz sono utilizzate per il puntamento di missili, l’orientamento e per scopi navali.

Tecnologia Stealth

Lo scopo della tecnologia stealth è quello di minimizzare la possibilità di un veivolo o anche di una nave di essere scovati da un radar, si cerca quindi di ridurre al massimo la deviazione delle onde verso un’antenna. È errato pensare che un aereo diventi completamente invisibile ai radar, infatti la tecnologia riduce le possibilità che l’aereo venga captato a una media e breve distanza dal radar, riducendo quasi del 15% le probabilità di essere trovati e colpiti, rendendo così possibili missioni più “invasive” nel territorio nemico.

 Per fare ciò si utilizzano materiali, vernici e forme che impediscano ciò. Come ben capite questa tecnologia è costosissima, ma vediamo in particolare questi elementi fondamentali.

I materiali

I materiali di costruzione degli aerei stealth sono tutti secretati, ma si ipotizza che non ci siano differenze strutturali con gli aerei normali. È ormai conosciuto che l’elemento principale per la schermatura è una vernice a base di ferrite e di colore nero, particolarità che permette all’aereo di assorbire e trasformare le onde in calore, anche se negli ultimi anni è meno utilizzata. Secondo delle indiscrezioni non verificabili nella ricerca stealth degli ultimi anni è apparso il kevlar.

Le forme

Le forme giocano un ruolo molto importante nella tecnologia stealth, infatti la forma di un aeromobile può influenzare la direzione in cui vengono riflesse le onde radar. Ad esempio, gli angoli acuti e le superfici piane possono riflettere le onde radar lontano dal ricevitore radar, rendendo l’aeromobile più difficile da rilevare . Inoltre, la forma dell’aeromobile può anche essere progettata per minimizzare le discontinuità e le protuberanze (come le prese d’aria dei motori o le antenne), che possono aumentare la sua visibilità radar. Inoltre, la forma dell’aeromobile può influenzare l’assorbimento delle onde radar.

I mezzi di propulsione

Ogni aereo stealth è dotato di un motore diverso dagli altri, che varia per tipologia, efficienza e funzionamento.  Il motore più diffuso è quello montato nel Lockheed Martin F-35 Lightning II, un Pratt & Whitney F135-PW-100 con postbruciatore, per via della grande richiesta di questi aerei (945 esemplari). Questo motore riesce a sprigionare 125 kN di spinta e se dotato di postbruciatore (strumento inserito dopo la turbina, che utilizza i gas di scarico per alimentare una fiamma che aumenta la forza di spinta, a discapito dell’efficienza di carburante) arriva ad oltre 191 kN. È composto da una turboventola con due ugelli direzionabili per permettere il decollo, l’atterraggio in verticale e anche di volare in condizioni di supercrociera, a 2,25 Ma (2.757,38 km/h) a soli 2.500 metri di quota.

Ad oggi, gli Stati Uniti hanno il maggior numero di modelli aerei stealth, ma negli ultimi anni anche Russia e Cina hanno iniziato delle ricerche su questa tecnologia. Gli aerei stealth ad oggi prodotti e  in servizio nei vari Paesi sono :

Stati Uniti

  • Lockheed Martin F-35 Lightning II (945 esemplari, acquistato anche da Paesi come Italia, regno Unito, Turchia e Israele)
  • Lockheed Martin – Boeing F-22 Raptor (195 esemplari);
  • Northrop Grumman B-2 Spirit (21 esemplari);

Russia

  • Sukhoi Su-57 (9 esemplari)
Lockheed Martin – Boeing F-22 Raptor
Lockheed Martin F-35 Lightning II
Atterraggio verticale di un F-35
Sukhoi Su-57

– Francesco Savio, 2ASA

Perché quando giriamo su noi stessi abbiamo poi l’illusione che il mondo ci ruoti attorno?

Sicuramente tutti da piccoli ci siamo divertiti a girare su noi stessi per poi, fermandoci, ottenere l’effetto che il mondo ci ruotasse attorno, forse però senza mai capirne il perché.
Come tutti ben sappiamo l’equilibrio del nostro corpo è regolato all’interno dell’orecchio, più precisamente nell’orecchio interno. Al suo interno, infatti, è contenuto il sistema vestibolare, ossia il responsabile del nostro equilibrio. Questo all’interno del labirinto osseo contiene una sostanza gelatinosa, chiamata endolinfa. Dentro al labirinto osseo sono presenti le ciglia che comunicano al cervello i movimenti dell’endolinfa, come fossero dei sensori.

(un’immagine illustrativa dell’anatomia del sistema vestibolare)

Se facciamo dei movimenti bruschi e ripetuti (come girare su noi stessi), l’endolinfa inizia a muoversi e, anche se noi ci siamo fermati, il cervello continua a ricevere gli stessi stimoli dal labirinto osseo, fino a quando anche l’endolinfa non smetterà di muoversi.
Il cervello “ingannato” dai segnali del labirinto osseo, modifica le immagini che arrivano dall’occhio, facendoci percepire la sensazione che tutto ruoti ancora attorno a noi.
Questo è uno di quegli esempi che ci dimostra come il nostro cervello, ancora per certi aspetti sconosciuto, sia facilissimo da ingannare.

-Francesco Savio 2°ASA

Psicologia dei colori e cromoterapia

PSICOLOGIA DEI COLORI

La psicologia dei colori è lo studio dei colori in relazione al comportamento umano, l’umore o oi processi fisiologici. Ha lo scopo di determinare come il colore influenza le nostre decisioni quotidiane, come la scelta di comprare un determinato prodotto, i nostri sentimenti o anche ricordi. I colori sono anche utilizzati nell’ambito della cromoterapia.

La psicologia del colore in modo particolare divide tutte le colorazioni in tre grandi macro-aree:
•  i colori freddi che si utilizzano per creare un’atmosfera surreale, stimolare ricordi e creare una componente onirica.
•   i colori caldi che suscitano una varietà di emozioni dal comfort al calore, dall’ostilità alla rabbia e all’eccitazione.
• i colori psichedelici utilizzati per descrivere ambientazioni notturne ma anche sensazioni come quelle delle allucinazioni e di stati confusionali.

ROSSO: Le idee, gli atteggiamenti e le emozioni associati al colore rosso includono:

Avvertimento

Amore

Coraggio

Temperamento forte

Rabbia

Desiderio

Il rosso è la lunghezza d’onda più lunga della luce nello spettro della luce visibile. Nelle culture occidentali, il rosso è associato al potere, al controllo e alla forza. Segnala anche il pericolo e attiva la vigilanza. Il rosso al semaforo segnala ai conducenti di essere vigili e di fermarsi. Alcuni animali, come i serpenti, hanno una colorazione rossa per indicare che sono pericolosi e mortali.

Il rosso significa anche passione e invoca la risposta di lotta o fuga. Questo istinto viene attivato dall’amigdala del cervello quando ci troviamo di fronte a un pericolo o una situazione minacciosa. Si pensa che il rosso aumenti il ​​metabolismo e la pressione sanguigna, necessari per prepararsi all’azione durante una situazione allarmante.

Un ulteriore esempio nella quotidianità è l’uso del rosso per i banchi scolastici: essi, infatti, hanno le gambe rosse per catturare l’attenzione e non fare inciampare gli alunni. Mentre la loro superficie è verde per trasmettere serenità.

GIALLO: Il giallo è vivido e vivace. Le associazioni con il giallo includono:

Energia

Speranza

Onore

Paura

Fragilità

Il giallo è un colore brillante e il colore più visibile agli occhi.

È associato a cordialità e significa competenza. Il giallo è il colore dell’ottimismo e della creatività. Attira la nostra attenzione e indica cautela poiché il giallo è spesso usato insieme al nero su segnali stradali, taxi e scuolabus. È interessante notare che il giallo è anche associato a paura, codardia e malattia.

Inoltre stimola la fame e richiama l’economicità.

È il colore che richiama più leggerezza, indica personalità aperta e anche felicità temporanea, infatti è associato spesso al cambiamento. Chi preferisce il giallo non si riposa mai e ha molta energia.

Spesso amato dai bambini e usato per comunicare con loro.

VERDE: Il verde simboleggia idee come:

Salute

Compassione

Favore

Ambizione

Passività

Il verde si trova tra il giallo e il blu nello spettro della luce visibile e rappresenta l’equilibrio. È il colore della primavera ed è comunemente associato alla crescita, alla vita, alla fertilità e alla natura. Il verde rappresenta la sicurezza ed è collegato alla prosperità, alla ricchezza, alla buona fortuna e alle finanze. È considerato un colore rilassante e lenitivo che si ritiene abbia un effetto calmante e allevia lo stress. Le associazioni negative con il verde includono avidità, gelosia, apatia e letargia.

VIOLA: Il viola rappresenta idee e atteggiamenti relativi a:

Ricchezza

Dignità

Saggezza

Arroganza

Impazienza

Il viola o viola è la lunghezza d’onda più corta sullo spettro della luce visibile. È una combinazione di blu e rosso e rappresenta nobiltà, potere e regalità. Il viola comunica un senso di valore, qualità e valore. È anche associato a spiritualità, sacralità e grazia. I colori viola chiaro rappresentano romanticismo e delicatezza, mentre il viola scuro simboleggia dolore, paura e apprensione.

BLU: Le associazioni con il colore blu includono:

Fiducia

Efficienza

Freddezza

Sicurezza

Tristezza

Il blu è associato alla calma e alla tranquillità. È un simbolo di logica, comunicazione e intelligenza. È collegato a basso stress, bassa temperatura e bassa frequenza cardiaca. Il blu è anche associato alla mancanza di calore, distanza emotiva e indifferenza. Nonostante le associazioni negative, il blu è spesso scelto come il colore più popolare nelle indagini di ricerca in tutto il mondo.

Negli studi di ricerca, è stato anche scoperto che la luce blu ripristina i nostri ritmi circadiani o cicli sonno-veglia. Sono le lunghezze d’onda blu della luce del sole che inibiscono la ghiandola pineale dal rilasciare melatonina durante il giorno. La melatonina segnala al corpo che è ora di dormire. La luce blu ci stimola a rimanere svegli.

NERO: Le associazioni con il nero includono:

Aggressione

Tenebroso

Sicurezza

Freddezza

Vuoto

Il nero assorbe tutte le lunghezze d’onda dello spettro della luce visibile e non riflette il colore: per questo il nero è visto come misterioso e in molte culture è associato alla paura, alla morte, all’ignoto e al male. Rappresenta anche potere, autorità, eleganzae raffinatezza. Il nero significa serietà, indipendenza ed è comunemente associato a tristezza e negatività.

Esistono ben 50 tonalità di nero.

CROMOTERAPIA

La cromoterapia è una medicina alternativa non scientifica e non verificata che dichiara di usare i colori come terapia per la cura delle malattie. L’utilizzo dei colori sarebbe regolato da principi comuni, analoghi a quelli che portano a scegliere il colore dell’abito da indossare o la tinta delle pareti di casa per abbinarli a una determinata personalità e favorire o contrastare un certo stato d’animo. Secondo i sostenitori della cromoterapia, i colori aiuterebbero il corpo e la psiche a ritrovare il loro naturale equilibrio, e avrebbero effetti fisici e psichici in grado di stimolare il corpo e calmare certi sintomi.

L’efficacia della cromoterapia è contestata dalla comunità scientifica, in quanto nessuna pratica cromoterapica è mai stata in grado di superare uno studio clinico controllato, ed anche i presupposti della teoria sono considerati scientificamente incoerenti, ed è una pseudoscienza. La cromoterapia non va confusa con gli studi e le eventuali applicazioni della psicologia del colore.

I Greci associavano i colori agli elementi fondamentali (aria, fuoco, acqua e terra) e questi ai quattro “umori” o “fluidi del corpo”: la bile gialla, il sangue (rosso), il flegma (bianco) e la bile nera, a loro volta prodotti in quattro organi particolari (la milza, il cuore, il fegato e il cervello). La salute era considerata la risultante dell’equilibrio di questi elementi, mentre la malattia ne era lo sbilanciamento. I colori, così come erano associati agli umori, venivano anche utilizzati come trattamento contro le malattie.

CHAKRA: In India la medicina ayurvedica ha sempre tenuto conto di come i colori influenzino l’equilibrio dei chakra, i centri di energia sottile associati alle principali ghiandole del corpo. I Cinesi affidavano il proprio benessere fisico all’azione dei vari colori: il giallo rimetteva in sesto intestino, il violetto arginava gli attacchi epilettici. In Cina, addirittura, le finestre della camera del paziente venivano coperte con teli di colore adeguato e gli indumenti del malato dovevano essere della stessa tinta.

Dopo alterne fortune nel Medioevo, con l’avvento dell‘Illuminismo, la cromoterapia che non possedeva riscontri scientifici, fu declassata a pseudoscienza, anche se le terapie ad essa legate continuarono ad essere praticate.

Anonimo

BUON COMPLEANNO REPUBBLICA!

«La Repubblica ha vinto. Ha vinto con
una maggioranza non grande, ma
appunto perché non grande essa sta a
dimostrare la tenacia e resistenza con
cui il popolo ha dovuto a suo onore
lottare […]. La Repubblica è stata
voluta e affermata, ma ora bisogna
farla questa Repubblica e, soprattutto,
bisogna fare questi repubblicani.» Così
recitava il Corriere della Sera
all’indomani dello storico referendum.
La Repubblica italiana nasceva il 2
giugno 1946 con un sorriso: è il sorriso
della democrazia dopo vent’anni di
dittatura fascista. Venti anni durante i
quali erano state cancellate tutte le
libertà civili e politiche conquistate nei
decenni precedenti.

In quel giorno gli italiani scelsero la Repubblica invece della monarchia e anche le donne per la prima volta poterono votare e iniziare a partecipare alla vita politica del Paese. Così le donne che avevano saputo tenere accanto agli uomini i loro posti di combattimento durante la Resistenza dimostrarono di saper, sempre accanto agli uomini, lavorare e costruire una nuova Italia con la volontà di cambiare il Paese.
Mai come in quel momento ci fu tanta fede nel popolo italiano. Repubblicani e monarchici, Nord e Sud, uomini e donne, apparentemente divisi, ritrovarono la loro unità in un solo pensiero, in un solo sentimento, in una sola identità: l’Italia.
Questo voto segnò un punto di svolta nella storia italiana, aprendo la strada a una nuova era di libertà e progresso. Questa ricorrenza ancora oggi fa riflettere su tematiche importanti quali la partecipazione alla vita politica e il vero significato di democrazia. Non c’è democrazia senza voto libero, il voto è l’espressione più alta e completa del diritto di cittadinanza e della responsabilità civile, senza di esso non avremo mai rappresentanti veri delle nostre aspirazioni e dei nostri bisogni. Con la votazione scegliamo le nostre guide nelle
istituzioni centrali e periferiche ed esprimiamo di fatto un giudizio sul loro operato, confermandoli nella carica oppure optando per un candidato diverso che soddisfi maggiormente le nostre aspettative. «La tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia» dice Montesquieu ne Lo spirito delle leggi.
Quest’anno, la Festa della Repubblica assume, inoltre, un significato particolare. Dopo un
periodo di sfide e difficoltà a causa della pandemia da Covid-19, l’Italia sta pian piano
riprendendo il suo cammino. La celebrazione del 2 giugno è un segnale di speranza e
rinascita, un momento in cui il popolo italiano si unisce per guardare avanti con fiducia e
determinazione.
Balbo Veronica, Barison Filippo, Forin Sofia, Minchio Anna 4 AC

Le autonomous cars e la guida autonoma

Scientifico!

Negli ultimi anni, sta prendendo sempre di più piede il progetto di creare dei veicoli che riescano a guidare da soli, evitando incidenti e senza che l’uomo intervenga. Saranno quindi dei veicoli molto sicuri e che ridurranno drasticamente il numero di incidenti, anche mortali, grazie alla tecnologia.  In questo articolo vi spiegherò questo tema in 5 punti.

1. I livelli di automazione

Dal 2013 esiste uno standard di automatizzazione, elaborato dal dipartimento dei trasporti statunitense, in collaborazione con. Questa classificazione prevede 6 livelli:

  1. Livello 0 – Nessuna automatizzazione

In questo livello il conducente ha il pieno controllo del veicolo e i sistemi che ci rientrano sono quelli di allarme anticollisione e di deviazione dalla corsia;

  1. Livello 1- Assistenza alla guida

Il conducente anche in questo livello ha il controllo della vettura, ma il sistema può intervenire modificando la sterzata e la velocità. I sistemi di questo tipo sono il cruise control adattivo, il limitatore di velocità (che sarà obbligatorio per tutte le auto in circolazione in Europa dal 2025) e il sistema di mantenimento della corsia;

  1. Livello 2 – Automazione parziale

Il conducente non ha più il controllo della velocità e dello sterza, ma deve essere in grado di intervenire se fosse necessario. I sistemi principali che rientrano in questa categoria sono il DISTRONIC PLUS creato da Mercedes, Autopilot di Tesla e i sistemi di parcheggio automatico;

  1. Livello 3 – automazione parziale

Il veicolo ha il pieno controllo di tutte le funzioni, ma il conducente deve essere in grado di intervenire se il sistema lo richiede e può essere attivato solo in strade delimitate da recinzioni e senza incroci. Se il sistema sente che il conducente non riesce a rispondere nel tempo prestabilito, effettuerà una sosta di sicurezza. Il guidatore perciò potrà essere parzialmente distratto. Un esempio di questo livello è il Full Self-Driving di Tesla;

  1. Livello 4 – Alta automazione

Il sistema, come nel livello precedente, ha il completo controllo delle funzioni del veicolo, ma in questo caso non richiede l’intervento di un conducente. Infatti se il sistema nota che il percorso che sta facendo va oltre le proprie potenzialità, effettuerà un parcheggio di sicurezza, non fermandosi nella corsia di marcia come nel livello 3;

  1. Livello 5 – Automazione completa

Questo livello racchiude le stesse funzionalità dell’alta automazione, ma non avrà limiti nei percorsi di guida e perciò non sarà costretto a fare un parcheggio di sicurezza se la guida è troppo complessa. Attualmente non si è ancora arrivati a questo livello.

2. Come le auto a guida autonoma si orientano nello spazio

Le auto a guida autonoma sfruttano un particolare sistema di sensori, telecamere e GPS per orientarsi, ma vediamo più nel dettaglio come funzionano.      

Le autonomous cars hanno dei potenti radar che sfruttano l’effetto Doppler per calcolare la distanza e la velocità della vettura che le precede, fino anche a 200 metri di distanza. I radar funzionano emettendo delle onde radio a modulazione con una frequenza tra i 76 e i 77 GHz che, rimbalzando su un oggetto, ritornano indietro fornendo al computer di bordo numerosi e preziosi dati.

C’è poi un sistema di ultrasuoni e lidar che si attiva alle basse velocità e che scandagliano tutta la zona attorno al veicolo fino a una distanza di 6 metri in modo tale da registrare la presenza di pedoni o di altre auto. Il sistema ad ultrasuoni emette delle onde sonore superiori ai 20 kHz che non sono udibili all’orecchio umano. Queste onde sonore, ritornando ai sensori, forniscono una distanza precisa degli oggetti intorno all’auto.

Il lidar (dall’inglese Laser Imaging Detection and Ranging) è invece un sistema di raggi laser che forniscono una mappa dettagliata e tridimensionale di tutto ciò che si trova vicino il veicolo in un raggio di 150 metri.

C’è anche un sistema di telecamere che sostituisce gli occhi umani e che è in grado di calcolare la distanza degli oggetti grazie alla prospettiva. In ogni modello di auto a guida autonoma c’è un numero diverso di telecamere, ma principalmente ci sono tre tipi di telecamere standard. La prima telecamera è quella frontale, che ha il compito di monitorare la strada davanti fino a 150 metri, la seconda telecamera è grandangolare che riesce a vedere fino a 60 metri con una maggiore visuale laterale e infine c’è una telecamera focalizzata che è in grado di vedere fino a 250 metri di distanza.

Non può poi esistere un sistema GPS che monitora la posizione della vettura costantemente in una mappa precaricata. Il sistema GPS è in grado di comunicare con altri sistemi di bordo per anticipare curve o altri tratti potenzialmente pericolosi.

3. La sicurezza della guida autonoma

Le autonomous cars grazie ai sensori e alle telecamere sono molto sicure e infatti si stima che possano ridurre gli incidenti del 94% anche se non potranno eliminarli totalmente e sono soprattutto maggiormente esposte ad attacchi informatici, ma vediamo la loro sicurezza più nel dettaglio.

I sensori possono subire dei guasti, come cortocircuiti o interruzione del passaggio della corrente elettrica che comporta a un malfunzionamento generale del software che controlla la macchina, ma ciò può essere risolto sottoponendo il veicolo a delle revisioni abbastanza frequenti, come può accadere e dobbiamo fare anche per le auto comuni. Questo però non è il “problema” più grave delle auto a guida autonoma, ma la problematica più importante è il rischio di subire un attacco hacker o che il sistema vada in “tilt” non riconoscendo alcuni segnali.

Di ciò ne parla un report fatto da Enisa (l’Agenzia Europea per la Cybersicurezza) e da Jrc (il Centro Comune di Ricerca europeo) che mette in evidenza le problematiche informatiche delle auto a guida autonoma. In questo report viene messo l’accento sui problemi del machine learning che, nonostante l’analisi di migliaia di dati sugli interventi dei conducenti nelle più disparate situazioni, non sarebbe in grado di valutare correttamente che tipo di intervento fare, come accelerare o frenare. Inoltre, l’aggiunta di segnaletica orizzontale o di vernice sul manto stradale potrebbe portare il sistema a fare una valutazione scorretta, causando degli incidenti. Non sono poi esclusi possibili attacchi informatici che possono rendere molto pericolosa l’auto.

4. A che punto siamo oggi nel loro sviluppo

Oggi, gran parte delle case automobilistiche, in particolare BMW, Tesla, Mercedes, Volvo e Audi, ma anche aziende come Google stanno spingendo molto su questa tecnologia, tanto che la gran parte dei loro modelli dispongono di una tecnologia di guida autonoma uguale o superiore al livello 1 e addirittura Waymo (un’azienda controllata da Google) offre dei taxi di livello 4.

Per il momento però le aziende più avanti in questo campo sono Tesla, che con le funzioni di Autopilot e di Full Self-Driving ha sviluppato un sistema di guida autonoma di livello 3, Argo AI e Cruise (di proprietà di General motors).

Waymo è quella più avanzata di tutti che offre robotaxi di livello 4, che sono prenotabili tramite app negli Stati Uniti e che sono in servizio in Arizona e a Los Angeles. Oltre ai robotaxi Waymo offre un servizio di trasporto merci, con furgoni e camion con autopilota.

Questa tecnologia sta insomma prendendo piede e secondo le stime entro il 2030 il 15% delle auto vendute sarà autonoma anche se ciò dipenderà da come il pubblico le accetterà.

Oggi un’auto a guida autonoma costa intorno ai 45.000-50.000€, anche se un’auto a guida autonoma di livello 3 della Mercedes costa tra i 5.000 e i 7.430€ in più rispetto al prezzo di listino.

In Italia le auto a guida autonoma non possono circolare sopra il livello 3 compreso, anche se i test delle auto di livello 3 sono permesse con l’autorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Come tutte le cose, anche le autonomous cars hanno dei pro e dei contro, ma vediamoli più nel dettaglio.

5. I pro e i contro

Come tutte le cose anche le auto a guida autonoma hanno dei pro e dei contro, elencati qui sotto:

Pro:

  1. Il conducente può avere un po’ di più di tempo per dedicarsi ad altre attività come il lavoro;
  2. il consumo di carburante può essere ottimizzato evitando brusche accelerazioni e frenate;
  3. riduzione del traffico poiché i veicoli comunicano costantemente tra di loro scambiando dati come velocità, posizione e altre informazioni;

Contro:

  1. Possibilità di hacking o di malfunzionamenti dei sensori;
  2. non sono economiche e potrebbero trasformarsi in una soluzione per pochi;
  3. mettono a rischio molti lavoratori, come i tassisti e gli autotrasportatori.

In questo articolo spero di avervi spiegato al meglio l’argomento.

Francesco Savio, 1ASA

La cometa Neanderthal

Scientifico!

La cometa C2022 E3 (ZTF) sopra i cieli di Torino

In questi giorni stiamo vivendo un momento più unico che raro, che si ripeterà tra circa 50.000 anni. Infatti dalla fine di dicembre e anche prima stiamo assistendo al passaggio della cometa Neanderthal, conosciuta dagli scienziati come C2022 E3  (ZTF). In questo articolo tratterò l’argomento cercando di dare qualche suggerimento per la visione di questo meraviglioso fenomeno.

Cos’è una cometa

La cometa di Halley

Una cometa è un corpo celeste di piccole dimensioni, simile a un asteroide composto da gas ghiacciati come acqua, ammoniaca, anidride carbonica e metano e anche da frammenti di rocce e metalli.

Le comete percorrono delle orbite ellittiche attorno al Sole e quindi passano periodicamente attorno ad esso. Non tutte le orbite ellittiche sono identiche e quindi la cosa incide molto sulla loro periodicità, infatti una cometa con un orbita relativamente “corta” passerà con una frequenza maggiore (per esempio la cometa Halley passa una volta ogni 76 anni) mentre una cometa come quella  che sta passando in questi giorni ha una frequenza minore (una volta ogni 50-52.000 anni). In genere tutte le orbite delle comete superano l’orbita di Plutone e arrivando alla Nube di Oort che si trova tra le 20.000 e le 100.000 au.

Le comete si caratterizzano per la loro coda formata da gas ionizzati e polveri che in condizioni favorevoli sono molto visibili e riescono a illuminare il cielo notturno.

La cometa di Halley vista al telescopio

La scoperta della cometa

La cupola e il telescopio
dell’osservatorio di Monte Palomar (Telescopio Hale)

Siamo nel marzo del 2022, più precisamente il 2 marzo, quando Frank Masci e Bryce Bolin, all’interno dell’osservatorio di Monte Palomar, scoprono un corpo, scambiandolo per un asteroide, all’interno della Fascia di Kuiper, ma dopo qualche aggiornamento si rendono conto che si tratta di una cometa!

La scoperta è stata fatta all’interno dell’indagine astronomica denominata Zwicky Transient Facility che avviene grazie all’utilizzo di una fotocamera avanzata presente nel telescopio Samuel Oschin situato nell’osservatorio di Monte Palomar in California. La cometa venne scoperta quando era a circa 640 milioni di km dal Sole o 4,3 ua ( unità astronomica che corrisponde 1,49km, la distanza Terra – Sole) e venne scambiata per un asteroide, ma dopo a seguito di verifiche è stato possibile determinare che si tratta di una cometa.

A inizio novembre la cometa ha è scesa a magnitudine 10 (la magnitudine è la misura della luminosità di un oggetto celeste e perché sia visibile ad occhio nudo deve essere inferiore a 6) e si muoveva tra le costellazioni della Corona Boreale e del Serpente, muovendosi parallelamente alla Terra. Durante questa fase la coda era di colore giallo chiaro e verde.

La coda verdastra della cometa

Il 19 dicembre la cometa ha sviluppato una coda di colore verdastro e ha iniziato a muoversi verso Nord , tra le costellazioni di Boote, dell’Orsa Minore e del Dragone, raggiungendo la distanza di 10 gradi d’arco dalla Stella Polare. A fine dicembre la cometa ha raggiunto la magnitudine attorno al 6 mentre in questa settimana ha una magnitudine di 6.31

Come e quando osservarla

La cometa sarà visibile circa sino a fine febbraio e il suo perielio (punto più vicino al Sole) è avvenuto il 12 gennaio  mentre il 1 febbraio c’è stato il perigeo (punto in cui la cometa sarà più vicina alla Terra). Secondo gli esperti il periodo migliore per osservare la  cometa è questo, dal 24 gennaio in poi, periodo in cui si avvicinerà alla Terra fino a quando arriverà ai 42 milioni di chilometri dal nostro pianeta e perfetto anche per poter osservare la disconnessione della sua coda, causata da un’espulsione di massa coronale (un’espulsione molto frequente di materiale sotto forma di plasma dalla corona solare nell’eliosfera) avvenuta nel Sole.

La cometa è visibile anche ad occhio nudo, ma per riuscire ad osservarla meglio si può utilizzare un cannocchiale abbastanza potente, ma se si possiede un telescopio non ci sono problemi. La cometa è a Nord molto vicina alla linea dell’orizzonte e per riuscire a vederla occorre andare in una zona non soggetta all’inquinamento luminoso.

Intervista a Gemma Zorzan

Sicuramente molti di voi avranno letto un sacco di libri nel corso della loro vita, storie che spesso ci rimangono nel cuore e non lo abbandonano. Ma vi siete mai chiesti cosa nascondono gli autori di queste opere? Oggi sono qui per proporvi un’intervista fatta a Gemma, una mia cara amica nonché scrittrice! Sì, avete sentito bene, una ragazzina di soli 12 anni che ha scritto un libro.

Ho quindi deciso di sottoporle alcune domande sulla sua vita, ma più in generale sulla sua opera, anche per spronare tutti coloro che hanno questo sogno nel cassetto a farsi avanti. Spero vi piaccia 🙂

M: Come ti descriveresti in poche parole?

G: Diciamo che sono una di quelle persone a cui non piace stare con le mani in mano: nel mio tempo libero disegno, scrivo, leggo, suono il pianoforte e la chitarra oppure cucino qualche dolce per me e la mia famiglia. Frequento la prima al liceo Scientifico perché ho una grande passione per la fisica, cosa che ha influenzato anche il mio libro.

M: Riusciresti a riassumere brevemente la trama del tuo libro?

G: Il riflesso dell’infinito parla di due ragazzi, Angelo e Anna, che vivono la loro vita tranquilla negli anni ‘80, ma si ritrovano a Chernobyl proprio al momento dello scoppio della centrale e da quel momento le loro vite cambiano completamente.

Lo definirei un libro di genere fantascientifico, con un pizzico di avventura.

M: Da dove è nata questa tua passione per la scrittura?

G: Sicuramente uno dei principali motivi per cui ho cominciato a scrivere è stata l’influenza della mia maestra di italiano delle elementari, che mi ha avvicinato a questo mondo. Ed è merito anche della mia prof. di italiano delle medie, che mi ha sempre sostenuta. Diciamo però che in questo libro c’è la me stessa di 12 anni, e ora che sono cresciuta lo vedo un po’ distante da me.

M: Dove hai trovato lo spunto per la trama?

G: Tutto cominciò quando a 7/8 anni vidi una cartina dell’Europa e da quel momento mi venne in mente una strana idea: e se la storia andasse al contrario? In realtà ora non saprei spiegarlo bene poiché la mia mente è molto più razionale di quella di allora, però insomma da qui ho cominciato a scrivere un racconto che ho poi ripreso in mano verso la fine della prima media. Penso di averlo scritto in pochi mesi, ma sono riuscita a pubblicarlo solo poco tempo fa poiché i tempi di pubblicazione sono sempre molto lunghi.

M: Quali difficoltà hai trovato nella pubblicazione?

G: Allora sarò sincera, non ho mai messo particolare attenzione o impegno a cercare la “casa editrice perfetta”, ma diciamo che ho preso la prima che ho trovato e mi hanno risposto dopo un mesetto.

Le difficoltà più grandi sono state sicuramente quelle riguardanti la scelta della copertina e la correzione delle bozze. Per la copertina, infatti, non ho avuto molta scelta, o almeno non quanta avrei voluto.

M: Pensi che questa tua passione possa dare i suoi frutti anche in un futuro ambito lavorativo?

G: Per il momento non posso dare una risposta certa, poiché avendo tante passioni ho una vasta scelta, ecco. Sicuramente terrò la scrittura come hobby per tutta la vita; non escludo, tuttavia, l’idea che possa diventare un lavoro a tutti gli effetti. Vedremo cosa mi proporrà il destino.

M: Che consigli daresti a tutte le persone che hanno il sogno della scrittura nel cassetto?

G: Sicuramente vi consiglio di buttare giù tutto ciò che vi viene in mente. So che è una cosa abbastanza banale, ma alla fine è una grande soddisfazione. Penso inoltre che questa cosa mi abbia fatto crescere molto, sono dell’idea che è meglio cercare di aggrapparsi al mondo attraverso la scrittura, poiché questa è un modo per rendere concreti i propri pensieri e per lasciarli al mondo.

Se potessi tornare indietro lo ripubblicherei: è il primo mattone che lastrica la mia strada e se non si inizia non  si può continuare.

M: Gemma, so che stai per pubblicare un nuovo libro, puoi darci qualche anticipazione?

G: Si esatto! Per il momento è in fase di pubblicazione quindi spero di vederlo nelle librerie entro un anno. Dico solo che lo preferisco nettamente rispetto al precedente, ma per il resto sarà una sorpresa!

Martina Di Rienzo 1AL

(con la partecipazione di Gemma Zorzan)

https://www.amazon.it/riflesso-dellinfinito-Gemma-Zorzan/dp/B09BY8418D/ref=sr_1_12?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=2QR6H3D08P4SQ&keywords=il+riflesso+dell+infinito+gemma+zorzan&qid=1666027137&sprefix=il+riflesso+dell+infinito+gemma+zorzan%2Caps%2C79&sr=8-12

Vi lascio il link per ordinarlo su Amazon 😉

La fissione nucleare

Scientifico!

Oggi, con il prezzo del metano e dell’energia che schizzato alle stelle, sentiamo sempre più spesso parlare dell’opzione del nucleare, ma in che cosa consiste l’energia nucleare?

In questo articolo vorrei spiegarvi che cos’è l’energia nucleare e come può essere sfruttata dall’uomo attraverso le centrali nucleari in tre punti:

  1. la storia;
  2. come funziona una centrale nucleare;
  3. quali conseguenze può avere.

1.La storia

L’energia nucleare, come l’energia elettrica, era già presente in natura e l’uomo non l’ha inventata , ma ha imparato a controllarla. Infatti nelle tre miniere di Oklo in Gabon , l’unico esempio noto, 1,7 miliardi di anni fa si innescò la prima reazione nucleare. Ciò poté avvenire grazie alla presenza di una grande quantità di Uranio-235 (²³⁵U o uranio arricchito) che all’epoca si pensa che ammontasse a circa il 3% del materiale presente nella miniera, alla presenza di una grande quantità di acqua che funzionò sia da liquido refrigerante sia da moderatore dei neutroni (oggi nelle centrali nucleari delle barre di grafite svolgono quest’ultimo compito). La reazione continuò per centinaia di migliaia di anni, con una potenza di 100 kW termici (la potenza media di una centrale nucleare moderna è tra i 600 MW e i 1600W, 1000 di più rispetto al reattore nucleare naturale).

La prima reazione nucleare artificiale avvenne nel 1932, quando i fisici Ernest Walton e John Cockcroft riuscirono, accelerando dei protoni e facendoli “scontrare” contro un atomo di litio (⁷Li), a separarlo in due atomi di elio. Due anni più tardi la chimica Ida Noddack fu la prima a ipotizzare come avvenisse la reazione a catena della fissione nucleare. Sempre nello stesso anno Otto Frisch e Lisa Meitner crearono i primi fondamenti della teoria. Il 22 ottobre 1934 Enrico Fermi e la sua équipe composta da Ettore Majorana, Emilio Segrè, Oscar D’Agostino, , Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti e da Edoardo Amaldi (altrimenti detti “I Ragazzi di Via Panisperna”) fecero la prima reazione nucleare su un atomo di uranio. Il gruppo però non intuì che l’atomo si divise in due , ma credettero che l’atomo creò due elementi transuranici.

Enrico Fermi

Nella notte a cavallo tra il 17 e il 18 dicembre 1938, quattro anni più tardi la scoperta di Fermi, il chimico nucleare tedesco Otto Hahn e il suo aiutante Fritz Strassmann dimostrarono sperimentalmente che se un atomo di uranio assorbe un neutrone, si separa in due o più atomi frammenti, dando origine alla fissione del nucleo. Inizia così per i chimici e i fisici inizia una “corsa” che porterà alla costruzione del primo reattore nucleare, il Chicago Pile-1 (creato da Fermi a Chicago) nel 1941 e alla prima bomba nucleare che esplose nel poligono militare di Alamogordo il 16 luglio 1945 (poco meno di un mese dopo venne lanciato il Little Boy che distrusse la città di Hiroshima).

2. Come funziona una centrale nucleare

La fissione nucleare.

Il processo di fissione nucleare

Durante il processo di fissione nucleare un atomo di uranio arricchito (²³⁵U) o di plutonio (²³⁹Pu) viene “bombardato” da un neutrone e si “rompe” in due elementi più leggeri, il kripton e il bario. Durante questa reazione tre neutroni “saltano” va. Uno di questi verrà assorbito da un atomo di uranio-238 che si bilancerà; un altro neutrone verrà assorbito e non continuerà la reazione o riesce ad uscire dal sistema. Il terzo neutrone invece, andrà a colpire un altro atomo di uranio-235 e la reazione ricomincia. Durante la separazione dei tre neutroni viene sprigionata una grande quantità di energia. Infatti, se si prova a misurare la massa dell’uranio a fine del processo di fissione, ci si accorgerà che la massa dell’uranio alla fine del processo sarà minore a quella della massa di partenza. Quella differenza tra le due masse è la quantità di energia sprigionata e si può calcolare grazie alla formula E=mc² elaborata da Albert Einstein nel 1905. Questa formula non vale solo per l’energia nucleare, ma anche per le altre forme di energia.

Il funzionamento di una centrale nucleare.

Le centrali nucleari rientrano nella categoria delle centrali termiche, centrali che sfruttano il calore prodotto da diverse fonti come il petrolio, il gas o l’uranio per creare vapore ad alta temperatura e pressione che serve per far girare una turbina.

Una centrale nucleare si può dividere principalmente in tre parti importanti, il reattore nucleare, la sala delle turbine e la torre di raffreddamento.

All’interno del reattore nucleare sono presenti un nocciolo, una sala di controllo e uno scambiatore di calore.

Il nocciolo è la sezione dove avviene la reazione di fissione e contiene al suo interno delle barre di ²³⁵U e delle barre di controllo in grafite che vanno a bilanciare la reazione assorbendo alcuni neutroni. Il nocciolo è immerso nella cosiddetta “piscina nucleare” che ha la funzione di raffreddare il nocciolo.

In questa immagine si può apprezzare il nocciolo, le barre di controllo e l’effetto Čerenkov

La sala di controllo, come si può intuire, è la sala dove sono presenti i comandi di tutta la centrale. È piombata per evitare che le radiazioni entrino al suo interno e siano fonte di rischio per gli operatori, ma sempre più spesso si trova fuori dal reattore. Qui lavorano dei tecnici specializzati che monitorano costantemente i valori (pressione dell’acqua, temperatura interna del nocciolo…) e le condizioni del reattore. Normalmente ci sono dei computer specializzati che svolgono questo compito, ma è sempre necessaria la figura umana per evitare pericolose situazioni come le avarie. I tecnici non hanno molti metodi per controllare la reazione all’interno del nocciolo se non attraverso le barre di controllo. In caso di avarie delle barre di controllo o di altre parti del nocciolo è presente un team specializzato che effettua le riparazioni il più velocemente possibile anche se sottoposti a livelli altissimi di radiazioni.

La sala di controllo di una centrale nucleare

Nello scambiatore di calore, grazie al calore del nocciolo, invece viene a formarsi il vapore ad alta pressione (circa 7 atm) e ad altissima temperatura, la temperatura del vapore infatti varia dai 288°C ai 325°C a seconda del tipo di centrale. Il vapore viene quindi incanalato verso una speciale turbina a vapore che sfrutta tutta l’energia del vapore per ruotare su sé stessa e azionare un alternatore.

 L’energia elettrica prodotta dall’alternatore avrebbe un voltaggio troppo alto per essere inserita nella rete pubblica, infatti neanche i cavi per l’alta tensione sarebbero abbastanza resistenti per resistere al sovraccarico. Per evitare il collasso delle linee elettriche c’è un trasformatore che ne abbassa il voltaggio e che permette di non danneggiare le linee pubbliche.

Il vapore in uscita dalla turbina è a una temperatura troppo elevata per il essere reinserito nello scambiatore di calore all’interno del nocciolo e per questo viene raffreddamento da un altro scambiatore di calore nel quale passa un flusso continuo di acqua fredda. Quest’acqua dopo diversi cicli di raffreddamento si riscalda e per questo viene inviata verso la torre di raffreddamento, dove si può vedere l’uscita del vapore. C’è da chiarire subito che l’acqua all’interno dei moderni reattori nucleari è inserita in un circuito chiuso e che quindi non può entrare in contatto con l’esterno. Nelle centrali più vecchie, soprattutto nell’Est Europa e in Asia, non sono presenti torri di raffreddamento ma bensì dei bacini esterni che spesso sono in comunicazione con i corsi d’acqua.

3. I pro e i contro

L’energia nucleare rientra tra le forme di energia non rinnovabili anche se nell’ultimo periodo sono state sviluppate centrali nucleari autofertilizzanti ed è una delle poche fonti di energia che inquinano di meno. Infatti l’energia nucleare non produce molte emissioni di gas serra se non una piccola quantità di vapore acqueo.

Una centrale nucleare di per sé non presenta un rischio per gli abitanti e per la natura se tenuta correttamente, ma se ciò non accadesse presenterebbe un grosso rischio per ciò che la circonda (per esempio la centrale di Chernobyl).

Bidoni di scorie radioattive

Ritornando alle emissioni è vero che non produce gas serra, ma d’altra parte presenta un problema non da poco, la produzione di scorie radioattive al termine del processo di fissione nucleare che devono essere spartite. In genere le scorie vengono inserite in dei bidoni, cementate e poi portate in dei luoghi di stoccaggio che possono essere dei capannoni appositi, delle miniere abbandonate o dentro delle specie di magazzini in cemento armato sotto il suolo. Il grosso problema delle scorie è che ci mettono migliaia di anni per diminuire la loro radioattività e che con il passare degli anni i bidoni in ferro si degradano. Se poi si trovano nei magazzini sotterranei c’è il rischio delle infiltrazioni che si contaminerebbero per poi finire nelle falde acquifere.

Un esempio sono le scorie radioattive con un volume pari a 60 edifici che sono state immagazzinate in una miniera di sale 500 metri di profondità in Germania negli anni ’60 e ’70 che hanno contaminato le acque circostanti con cesio, stronzio e plutonio.

Un camion adibito al trasporto di scorie nucleari in Francia
Un treno con scorie radioattive

Francesco Savio, 1ASA

Il rapporto tra il DNA e l’acqua

Scientifico!

In questo primo articolo di questa rubrica vorrei descrivervi il rapporto tra l’acqua e il nostro DNA attraverso tre punti:

  1. Una breve introduzione su che cos’è il DNA ;
  2. La scoperta del DNA;
  3. Il rapporto tra il nostro DNA e l’acqua.

1 Che cos’è il DNA?

Il DNA o meglio l’acido desossiribonucleico (dall’inglese DeoxyriboNucleic Acid) è l’acido presente e che “comanda” le nostre cellule che contiene le nostre informazioni genetiche necessarie a compiere la biosintesi delle proteine e del RNA (acido ribonucleico). Il DNA appartiene alla categoria degli acidi nucleici , macromolecole polimeriche con una lieve reazione acida che trasportano e che contengono le informazioni di tipo generico. Esistono due acidi nucleici negli esseri  ,  DNA appunto e RNA.

Come già detto prima il DNA è un polimero che , rispetto al RNA  formato da un’elica, ha una struttura a doppia elica. I nucleotidi del DNA sono costituiti da tre componenti principali , da un gruppo fosfato (un acido formato dall’anione*¹ fosfato), dal deossiribosio ( uno zucchero pentoso) e da una base azotata (composta da  adenina guanina ,citosina e timina) , collegata al deossiribosio attraverso un legame glicosidico (un legame covalente tra uno zucchero e un atomo nucleofilo). La disposizione in sequenza dei nucleotidi forma l’informazione genetica che viene “tradotta” negli amminoacidi (polipeptide) grazie al codice genetico. La polipeptide in seguito produrrà le proteine grazie al processo di sintesi proteica che avviene in presenza di una molecola di RNA, generata grazie al processo di trascrizione. Per riprodursi le cellule utilizzano il processo di mitosi (o divisione cellulare)  dove la cellula madre si divide in due figlie identiche alla cellula di partenza. Nelle cellule degli eucarioti il nucleo si concentra all’interno del nucleo della cellula dove è formato da cromosomi mentre negli altri esseri viventi, come nel caso dei batteri, che sono privi di nucleo , il DNA può essere presente in due modi, il primo disposto in cromosomi e il secondo senza cromosomi. Nella seconda tipologia il DNA è presente sotto forma di una molecola di DNA a doppio catena (il caso dei batteri) o di genomi contenenti parti di DNA o di RNA (il caso dei virus). All’interno dei cromosomi ( che nel corpo umano sono 46) sono presenti le proteine che formano la cromatina (la sostanza che forma il nucleo cellulare) , gli istoni , le condensine e le coesine le quali avvolgono il DNA e lo organizzano in strutture ordinate. Ciò aiuta il “dialogo” tra le proteine responsabili della trascrizione e il codice genetico, rendendo così più facile controllare la trascrizione genica.

2. Quando fu scoperto il DNA?

Nel 1869 il biochimico svizzero Friedrich Miescher (13/08/1844-26/08/1895)   isolò per la prima volta il DNA. Miescher osservando il pus contenuto in alcune bende chirurgiche trovò una sostanza microscopica che chiamò nucleina ( questo è dovuto al fatto che si trovava nel nucleo). Tuttavia i primi studi sul DNA iniziarono solo 50 anni dopo la sua scoperta, quando nel 1919 il biochimico lituano Phoebus Levene (25/02/1869-6/09/1940) scoprì da che cosa era forma la struttura del nucleotide (base azotata, zucchero pentoso e fosfato). Levene suggerì inoltre che il DNA fosse formato da un corto filamento di nucleotidi incatenati tra loro dai fosfati con le basi disposte in maniera regolare. Nel 1928 , nove anni dopo, Frederick Griffith (1879-1941) scoprì un principio trasformante del DNA facendo il seguente esperimento: prese dei batteri morti nella variante liscia di pneumococco e li gettò in un vitro contenenti i batteri vivi della medesima specie nella forma ruvida. Esso si accorse che una parte dei batteri vivi si era trasformata nella variante di quelli morti. Griffith non riuscì a capire cosa avesse provocato ciò e la risposta arrivò nel 1943 ma ne parlerò più tardi. Nel 1937 venne pubblicato uno studio fatto dal fisico William Astbury  (28/02/1898- 4/06/1961) nel quale , attraverso la diffrazione a raggi X (una delle tecniche più utilizzata per studiare i solidi a carattere cristallino che utilizza due  princìpi principali della radiazione elettromagnetica, l’assorbimento, durante il quale la radiazione cede la sua energia al materiale facendone aumentare la temperatura e lo scattering durante il quale la radiazione viene diffusa dalla materia mentre le onde elettromagnetiche a essa associate cambiano la loro direzione di propagazione ) , dimostrò che il DNA ha una struttura regolarissima. Nel 1943,come accennato prima, Oswald Theodore Avery ,Colin McLeod e Maclyn McCarty riuscirono a dimostrare che il DNA è il fattore del principio trasformante dei batteri di pneumococco . Nel 1953 Alfred Hershey e Martha Chase , grazie a un esperimento, hanno provato  l’ereditarietà del DNA. Nel 1944 il fisico quantistico austriaco Erwin Schrödinger  (12/08/1887-4/01/1961) asserì alle ricerche fatte da altri scienziati dell’epoca che il DNA era formato da un’ unica molecola non ripetitiva abbastanza stabile che poteva contenere le informazioni genetiche che chiamò cristallo aperiodico. Schrödinger affermò questo perché in fisica quantistica le molecole formate da pochi atomi hanno un comportamento molto disordinato. Ritornando al

1953, nello stesso anno, Rosalind Franklin , James Watson e Francis Crick lavorarono ancora , come aveva fatto William Astbury , sulla diffrazione a raggi X con il DNA e riuscirono per la prima volta a creare un modello che rappresentava accuratamente la struttura del DNA ( il modello fu però disegnato e colorato da Odile Speed, moglie di Crick). Il modello e alcuni studi e ricerche da loro svolti furono inseriti in cinque articoli nello stesso volume della rivista settimanale scientifica di Nature . Nel 1957 Crick propose la soluzione al “dogma centrale della biologia molecolare” trovando le relazioni che avvengono tra RNA , DNA e alcune proteine. Ciò portò Francis Crick al Premio Nobel. Lo scienziato proseguì gli studi e l’anno seguente dimostrò con l’esperimento di Meselson-Stahl *² la forma a doppia elica e la composizione del DNA. Crick dimostrò poi, in un altro lavoro , che il  codice genetico è basato su tre basi non allineate permettendo così a Marshall Warren Nirenberg , Har Gobind Khoarana e Robert Holley di decifrarlo più facilmente. Nel 1961  Niremberg e Severo Ochoa scoprirono che ogni specifico amminoacido è codificato da ogni tripletta di nucleotidi.

*¹ : anione =  Con il termine anione si intende qualsiasi struttura chimica la quale ha acquisito almeno un elettrone , caricandosi negativamente  e diventato uno ione negativo.

*²: esperimento Meselson-Stahl = L’esperimento di Meselson-Stahl è un esperimento creato nel 1958 da Matthew Meselson e da Franklin Stahl per riuscire  a dimostrare la forma e la struttura del DNA. Meselson e Stahl  coltivarono dei batteri di

Escherichia coli (i batteri causa di alcune patologie come uretrite, meningite e sepsi) in un vitro ricco di ¹⁵N, un isotopo pesante dell’azoto. Questi batteri mangiando questo isotopo “appesantirono” il loro DNA. Dopo un certo periodo i due scienziati prelevarono alcuni batteri ed estrassero il loro DNA. Successivamente il DNA “pesante” venne immerso in una provetta contenente una soluzione molto concentrata di cloruro di cesio e il tutto fu centrifugato . Con questo procedimento si creano delle zone con un indice di densità differente dove poi il DNA si collocherà a seconda della sua densità. L’acido desossiribonucleico  diventa visibile attraverso l’immissione di alcune sostanze nel composto che aggregandosi con il DNA lo rendono visibile alla luce ultravioletta. Il DNA si era concentrato sul fondo della provetta. Gli scienziati spostarono poi i batteri in un altro vitro dove presente al posto di ¹⁵N un altro isotopo dell’azoto, ¹⁴N. Passati 20 minuti , quando i batteri si erano riprodotti, Meselson e Stahl ripeterono l’operazione e si accorsero che il DNA prelevato era più “leggero” di quello presente. I due si interrogarono perché non si crearono 2 bande, una uguale a quella ottenuta in precedenza e una meno densa. Capirono che durante la riproduzione un filamento di DNA “pesante” si era unito a un filamento di DNA “leggero”. Ripetono l’operazione una terza volta con altri batteri derivati da quelli di prima e questa volta si crearono due tacche , una sulla metà della provetta  e una in cima alla provetta. Man mano che i batteri si riproducevano la banda in cima si inspessiva mentre quella  intermedia continuava a conservarsi.

3 . Quale rapporto ha il nostro DNA e l’acqua?

In questi ultimi anni sono stati effettuati molti studi sulla relazione che c’è tra il DNA e l’acqua. Pochi anni fa è stato pubblicato uno studio su PNAS (Proceedings of the National Academy of Science) dove i ricercatori autori di esso affermano che le basi azotate sono idrofobe mentre l’interno  e l’ambiente che lo circonda è idrofilo . Le basi azotate perciò cercano di “scacciare” l’acqua che le circonda e per fare ciò si raggruppano per minimizzare la superficie . Bobo Feng , ricercatore dell’università svedese Chalmers Universtity of Technology e uno degli autori dello studio ,afferma che le cellule cercano di proteggere il DNA, cercando di non esporlo a un ambiente idrofobo per cercare di evitare una contaminazione con molecole pericolose per esso.  La cellula , come riportato da questo studio tengono per la maggior parte del tempo il DNA in un ambiente idrofilo, dentro a una soluzione acquosa, tenendolo “ arrotolato” su se stesso. Però, quando deve usarlo  e ripararlo  , lo inserisce in un ambiente idrofobo , in modo da aprirlo. 

Il processo di riparazione del DNA è poi molto curioso perché , durante la fase di copiatura del DNA le basi si separano e degli enzimi copiano l’informazione genetica per poi riprodurla, solo le parti danneggiate sono messe in un ambiente idrofobo mentre le parti sane sono di nuova immerse nella soluzione acquosa. Questo ambiente è creato grazie a una proteina catalitica, essenziale per questi processi. Gli studiosi hanno si sono anche chiesti fino a che tipologia di ambiente idrofobo il DNA possa resistere e hanno fatto un esperimento proprio per capire questo. Hanno iniziato mettendo il DNA in un ambiente idrofilo e poi hanno iniziato a renderlo idrofobo aggiungendo glicole polietilenico (C2nH4n+2On+1) fino a quando il DNA ha iniziato a separarsi e a disintegrarsi.  

Gli scienziati grazie a queste scoperte stanno cercando di trovare le proteine che riparano DNA per creare dei nuovi antibiotici che riescano a combattere i batteri antibiotico-resistenti  e dei farmaci antitumorali più efficaci. Nell’uomo questa proteina è già stata individuata ed è la proteina Rad51 mentre alcuni utilizzano la la proteina RecA. Nell’uomo la proteina  Rad51 può fissare alcuni geni mutati che potranno dare origine a dei tumori. Quindi il ruolo dell’acqua nello studio del DNA è importantissimo.

Francesco Savio 1ASA

World Art Day

Il 15 aprile 1452 in un piccolo borgo nei pressi di Firenze, nacque, da una relazione illegittima, come leggenda e storiografia narrano, Leonardo da Vinci.
Questa data, da allora, è diventata importantissima, perché quel giorno venne al mondo uno dei geni assoluti della storia dell’uomo, colui che meglio incarnò il sapere universale e integrale. Per questo motivo e per il valore simbolico di Leonardo in quanto prodigio, l’International Association of Art ha deciso di istituire il 15 aprile Giornata Mondiale dell’Arte, World Art Day.
Oggi, per trattare l’argomento, procederemo per domande, perché è proprio attraverso le giuste domande che possiamo trovare le risposte che stiamo cercando.
Ne approfitto per ricordare tutte quelle persone che, sfortunatamente, non possono vivere una vita serena per colpa della guerra, in Ucraina come in altre parti del mondo, in Etiopia, in Siria, la guerra c’è e permane. Dobbiamo esserne consapevoli, per riuscire a dire no all’insensatezza della violenza. Detto ciò, vi auguro una buona, coscienziosa, lettura!

“Cos’è l’Arte?”
Stando a ciò che riporta l’enciclopedia Treccani:
“In senso lato, capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, e quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.”

Quindi possiamo dire che, ogni qualvolta che si fa qualcosa con un fine, e lo si fa in maniera
impeccabile, si è in presenza di Arte. Ma andiamo ancora più in profondità.
Da sempre l’uomo ha sentito l’esigenza di rivelarsi, di comunicare e di concretizzare la propria idea di estetica, di cultura, di vita. L’Arte, in questo senso, è stata ed è ciò che le parole non potevano e non possono esprimere. Infatti, la potenza mediatica di un’immagine, di un edificio, di una statua, è raramente riproducibile con altri mezzi. Noi dobbiamo molto all’Arte, per questo è giusto ricordarla.
L’Arte è il riflesso delle idee di ogni epoca, degli artisti e dei committenti. È un sospiro di ammirazione impresso sulla tela e sulla pietra, è il desiderio, che si tramuta in sogno, che diventa realtà, o dolce illusione. L’Arte è tensione e stasi, ricerca del sublime tanto quanto dell’ordinario, del caos tanto quanto del modulo. È soggettività che urla attraverso la convenzionalità di una linea retta. È oggettività impressa in una forma irrazionale. L’Arte richiede attenzione, passione, dedizione; non se la prende se la ignori, ma ti corrisponde, se la ami.
Però non è solamente ideali, perché l’Arte al servizio dell’uomo diventa legittimità, celebrazione, musa cantatrice delle virtù dello Stato, della Repubblica, di un partito; mezzo di affermazione sociale, di iconolatria, di protesta, di libertà, di diritto.
L’Arte è dunque un fenomeno complesso che non si può ridurre a qualche parola o a un concetto unico, perché il suo ruolo nel corso della storia varia proprio in funzione della storia stessa e delle persone che fanno Arte.
A tal proposito, due sono le domande fondamentali che mi sono posto:
“Cos’è per me l’Arte? Qual è il rapporto che mi lega a Lei?”.
Ritengo, però, che il bello dell’Arte sia l’emozione estremamente soggettiva che essa suscita; il rapporto personale, non universale, ma intimo e relativo che ognuno di noi ha con questa disciplina, è ciò che mi interessa davvero. Per cui ho fatto le stesse domande a tutti i professori dell’Istituto che trattano una qualsiasi materia che ha a che fare con l’Arte, e ho chiesto anche ai miei compagni di classe.

“Cos’è per voi l’Arte?”
L’idea di Arte che ognuno di noi ha, è la somma delle emozioni che tale disciplina ci trasmette. Per alcuni è una continua scoperta, un’avventura, è la capacità di meravigliarsi quotidianamente, è il giusto appagamento per la dedizione e la fatica che un artista impiega per realizzare un’opera. Altri vedono nell’Arte un criterio di ordine e di equilibrio necessari non solo al processo creativo, ma alla vita stessa. Altri ancora sostengono che l’Arte è puro disordine e istinto. C’è chi, quando pensa all’Arte, si emoziona e non smette più di parlare e di scrivere al riguardo, perché Arte può essere un brivido che corre lungo la schiena di fronte a un’opera. Ma l’Arte è anche divertimento!
Diversi sono i modi con cui le persone entrano in contatto con questa disciplina, ed è proprio questo approccio che modifica la percezione di cosa è artistico e di cosa non lo è. Ma vediamo direttamente alcune risposte:

“L’Arte è tutto ciò che ci circonda, è la nostra vita e tutto ciò in cui essa scorre. L’Arte ci permette di vedere, sentire e toccare un mondo che per ognuno di noi è di un colore e di una forma totalmente diversa, e comprenderlo dalla prospettiva di un altro essere umano: l’Artista! L’Arte ci riempie il cuore, i pensieri, ci da un motivo per sfogare il nostro io”
Chiara Faccioli, 4^AA

“L’Arte è una forma di libertà con la quale ognuno esprime l’intero mondo che ha dentro di sé”
Gaia Livio, 4^AA

“A livello percettivo il nostro cervello classifica le cose in maniera ordinata, gode delle proporzioni tra le cose e cerca di semplificare ciò che gli viene mostrato.
‘Less is more’ diceva l’architetto e designer Mies van Der Rohe.
E Less is more è la mia idea di Arte.
Quando vedo delle linee perfettamente dritte, su di un foglio bianco perfettamente squadrato, con i caratteri perfettamente allineati e le immagini disposte su una griglia modulare, il mio cervello mi ringrazia e dice che quella è Arte”
Prof.ssa Emanuela Tamburello

“L’Arte è l’espressione massima di bellezza e talento umano. L’Arte è gioia, ma allo stesso tempo profondo dolore; ed è questo il bello: riesce sempre a essere meravigliosa, anche quando chi l’ha creata provava, dentro di sé, un tormento agonizzante.
La parte più intima e sensibile dell’uomo, l’Arte ne è impregnata, se ne nutre voracemente, per poterla restituire in una forma elegante, leggibile agli occhi dei più scrupolosi”
Angelica Carbonaro, 4^AA

“Qual è il rapporto che vi lega a Lei?”
È probabilmente la domanda più intima dell’articolo, perché, sapete, pensare a che cosa sia l’Arte è una cosa, ma chiedersi che rapporto si ha con Lei, è tutt’altro.
Ebbene, anche in questo caso le risposte sono estremamente varie e valide, l’Arte è una garanzia, è una passione profonda, ma non solo. Tendiamo a vedere questa disciplina come un semplice passatempo, senza renderci conto della responsabilità che un’opera può avere. Pensiamo alla propaganda in un manifesto, a un edificio o a un quadro che diventano simboli del potere, oppure più semplicemente alla pubblicità. Ecco, nuovamente, alcuni pensieri delle gentilissime persone che hanno partecipato:

“Ci sono tre cose senza le quali penso non potrei vivere: gli affetti, la natura, l’Arte. Non riesco a concepire la mia vita senza questi tre elementi, e tutti implicano un rapporto di fedeltà. Posso forse stare con mia moglie, i miei figli, i miei amici, abbandonandoli? Posso amare il mondo e le sue bellezze senza rispettarlo? E infine, posso essere un artista senza dedicare all’Arte il mio tempo e la mia energia? Le risposte sono tre secchi no, ovviamente. E per poter mantenere un rapporto di fedeltà con ciò che si ama ci vuole dedizione”
Prof. Sandro Freddo

“L’Arte come responsabilità è la risposta a tutto. In un mondo sempre più caotico, bombardato da immagini, colori e scritte, io penso che il senso di responsabilità di chi fa Arte, in tutte le sue infinite declinazioni, sia quello di portare un pò di ordine e decoro, al fine di creare una sensazione di benessere e un’esperienza sensoriale appagante, rendendo la mia idea di Arte un tutt’uno con ciò che mi lega a Lei”
Prof.ssa Emanuela Tamburello

“Il Nostro rapporto è per lo più l’infanzia, c’è una particolare sensazione che mi viene in mente quando ci penso, ovvero l’odore del legno dei pastelli e delle matite, ho sempre amato disegnare ed era il modo che avevo per cercare di dare una mia interpretazione della realtà, per far vedere ‘i colori’ che avevo dentro. È un legame che c’è da quando ho imparato a tenere in mano una matita”
Angelica Carbonaro, 4^AA

“Come scrive John Berger nel libro Sul disegnare: ‘Il farsi di un’immagine comincia interrogando le apparenze e tracciando dei segni. Ogni artista scopre che il disegno – quando è un’attività necessaria – è un processo a doppio senso. Disegnare non è solo misurare e annotare, è anche ricevere. Quando l’intensità dello sguardo raggiunge un certo grado, diventiamo consapevoli che un’energia altrettanto intensa viene verso di noi, attraverso l’apparenza di quello che stiamo scrutando. […]
Non do nessuna spiegazione a questa esperienza. Credo semplicemente che pochissimi artisti ne negheranno la realtà. È un segreto professionale’
L’Arte è un rapporto reciproco”
Prof.ssa Alessandra Locatelli

Ma per rispondere personalmente alla domanda che vi ho fatto, per me l’Arte è come una sorella. Nei momenti bui è sempre stata al mio fianco, è un faro.
L’Arte si racchiude nei dettagli unici, per chi li sa apprezzare, per chi li sa osservare. Cerco nell’Arte una bellezza che è chiaramente idealizzata, utopistica, ne sono consapevole, ma non per questo meno degna di essere considerata, anzi, è proprio in questa bellezza che trovo il sentimento. Perché più volte ho creduto che una statua di Michelangelo, di Bernini, di Canova, provasse emozioni più pure, più vere rispetto a quelle umane. Perché un quadro può essere la sintesi migliore del dolore che perplime l’essere umano, che lo rende succube, ma può essere anche la massima espressione della leggerezza e della gioia che vive e lotta nei nostri cuori. Per me è la ricerca della purezza che manca sempre di più, è l’ideale mondo in cui si potrebbe vivere, ma è anche, concretamente, esempio di virtù e di verità, con tutto ciò che ne consegue. La verità non sempre ci fa bene.
Io ci credo nell’Arte, non mi ha mai tradito, e non c’è sensazione più bella della consapevolezza che, comunque andrà, Lei sarà con me. Il Nostro rapporto, è di fedeltà.

“Perché l’Arte?
“Per sopravvivere, per respirare, per vivere.”
Prof.ssa Licia Bevilacqua

Filippo Magaraggia 4AA
Un ringraziamento speciale per tutti quelli che hanno partecipato!