World Art Day

Il 15 aprile 1452 in un piccolo borgo nei pressi di Firenze, nacque, da una relazione illegittima, come leggenda e storiografia narrano, Leonardo da Vinci.
Questa data, da allora, è diventata importantissima, perché quel giorno venne al mondo uno dei geni assoluti della storia dell’uomo, colui che meglio incarnò il sapere universale e integrale. Per questo motivo e per il valore simbolico di Leonardo in quanto prodigio, l’International Association of Art ha deciso di istituire il 15 aprile Giornata Mondiale dell’Arte, World Art Day.
Oggi, per trattare l’argomento, procederemo per domande, perché è proprio attraverso le giuste domande che possiamo trovare le risposte che stiamo cercando.
Ne approfitto per ricordare tutte quelle persone che, sfortunatamente, non possono vivere una vita serena per colpa della guerra, in Ucraina come in altre parti del mondo, in Etiopia, in Siria, la guerra c’è e permane. Dobbiamo esserne consapevoli, per riuscire a dire no all’insensatezza della violenza. Detto ciò, vi auguro una buona, coscienziosa, lettura!

“Cos’è l’Arte?”
Stando a ciò che riporta l’enciclopedia Treccani:
“In senso lato, capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, e quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.”

Quindi possiamo dire che, ogni qualvolta che si fa qualcosa con un fine, e lo si fa in maniera
impeccabile, si è in presenza di Arte. Ma andiamo ancora più in profondità.
Da sempre l’uomo ha sentito l’esigenza di rivelarsi, di comunicare e di concretizzare la propria idea di estetica, di cultura, di vita. L’Arte, in questo senso, è stata ed è ciò che le parole non potevano e non possono esprimere. Infatti, la potenza mediatica di un’immagine, di un edificio, di una statua, è raramente riproducibile con altri mezzi. Noi dobbiamo molto all’Arte, per questo è giusto ricordarla.
L’Arte è il riflesso delle idee di ogni epoca, degli artisti e dei committenti. È un sospiro di ammirazione impresso sulla tela e sulla pietra, è il desiderio, che si tramuta in sogno, che diventa realtà, o dolce illusione. L’Arte è tensione e stasi, ricerca del sublime tanto quanto dell’ordinario, del caos tanto quanto del modulo. È soggettività che urla attraverso la convenzionalità di una linea retta. È oggettività impressa in una forma irrazionale. L’Arte richiede attenzione, passione, dedizione; non se la prende se la ignori, ma ti corrisponde, se la ami.
Però non è solamente ideali, perché l’Arte al servizio dell’uomo diventa legittimità, celebrazione, musa cantatrice delle virtù dello Stato, della Repubblica, di un partito; mezzo di affermazione sociale, di iconolatria, di protesta, di libertà, di diritto.
L’Arte è dunque un fenomeno complesso che non si può ridurre a qualche parola o a un concetto unico, perché il suo ruolo nel corso della storia varia proprio in funzione della storia stessa e delle persone che fanno Arte.
A tal proposito, due sono le domande fondamentali che mi sono posto:
“Cos’è per me l’Arte? Qual è il rapporto che mi lega a Lei?”.
Ritengo, però, che il bello dell’Arte sia l’emozione estremamente soggettiva che essa suscita; il rapporto personale, non universale, ma intimo e relativo che ognuno di noi ha con questa disciplina, è ciò che mi interessa davvero. Per cui ho fatto le stesse domande a tutti i professori dell’Istituto che trattano una qualsiasi materia che ha a che fare con l’Arte, e ho chiesto anche ai miei compagni di classe.

“Cos’è per voi l’Arte?”
L’idea di Arte che ognuno di noi ha, è la somma delle emozioni che tale disciplina ci trasmette. Per alcuni è una continua scoperta, un’avventura, è la capacità di meravigliarsi quotidianamente, è il giusto appagamento per la dedizione e la fatica che un artista impiega per realizzare un’opera. Altri vedono nell’Arte un criterio di ordine e di equilibrio necessari non solo al processo creativo, ma alla vita stessa. Altri ancora sostengono che l’Arte è puro disordine e istinto. C’è chi, quando pensa all’Arte, si emoziona e non smette più di parlare e di scrivere al riguardo, perché Arte può essere un brivido che corre lungo la schiena di fronte a un’opera. Ma l’Arte è anche divertimento!
Diversi sono i modi con cui le persone entrano in contatto con questa disciplina, ed è proprio questo approccio che modifica la percezione di cosa è artistico e di cosa non lo è. Ma vediamo direttamente alcune risposte:

“L’Arte è tutto ciò che ci circonda, è la nostra vita e tutto ciò in cui essa scorre. L’Arte ci permette di vedere, sentire e toccare un mondo che per ognuno di noi è di un colore e di una forma totalmente diversa, e comprenderlo dalla prospettiva di un altro essere umano: l’Artista! L’Arte ci riempie il cuore, i pensieri, ci da un motivo per sfogare il nostro io”
Chiara Faccioli, 4^AA

“L’Arte è una forma di libertà con la quale ognuno esprime l’intero mondo che ha dentro di sé”
Gaia Livio, 4^AA

“A livello percettivo il nostro cervello classifica le cose in maniera ordinata, gode delle proporzioni tra le cose e cerca di semplificare ciò che gli viene mostrato.
‘Less is more’ diceva l’architetto e designer Mies van Der Rohe.
E Less is more è la mia idea di Arte.
Quando vedo delle linee perfettamente dritte, su di un foglio bianco perfettamente squadrato, con i caratteri perfettamente allineati e le immagini disposte su una griglia modulare, il mio cervello mi ringrazia e dice che quella è Arte”
Prof.ssa Emanuela Tamburello

“L’Arte è l’espressione massima di bellezza e talento umano. L’Arte è gioia, ma allo stesso tempo profondo dolore; ed è questo il bello: riesce sempre a essere meravigliosa, anche quando chi l’ha creata provava, dentro di sé, un tormento agonizzante.
La parte più intima e sensibile dell’uomo, l’Arte ne è impregnata, se ne nutre voracemente, per poterla restituire in una forma elegante, leggibile agli occhi dei più scrupolosi”
Angelica Carbonaro, 4^AA

“Qual è il rapporto che vi lega a Lei?”
È probabilmente la domanda più intima dell’articolo, perché, sapete, pensare a che cosa sia l’Arte è una cosa, ma chiedersi che rapporto si ha con Lei, è tutt’altro.
Ebbene, anche in questo caso le risposte sono estremamente varie e valide, l’Arte è una garanzia, è una passione profonda, ma non solo. Tendiamo a vedere questa disciplina come un semplice passatempo, senza renderci conto della responsabilità che un’opera può avere. Pensiamo alla propaganda in un manifesto, a un edificio o a un quadro che diventano simboli del potere, oppure più semplicemente alla pubblicità. Ecco, nuovamente, alcuni pensieri delle gentilissime persone che hanno partecipato:

“Ci sono tre cose senza le quali penso non potrei vivere: gli affetti, la natura, l’Arte. Non riesco a concepire la mia vita senza questi tre elementi, e tutti implicano un rapporto di fedeltà. Posso forse stare con mia moglie, i miei figli, i miei amici, abbandonandoli? Posso amare il mondo e le sue bellezze senza rispettarlo? E infine, posso essere un artista senza dedicare all’Arte il mio tempo e la mia energia? Le risposte sono tre secchi no, ovviamente. E per poter mantenere un rapporto di fedeltà con ciò che si ama ci vuole dedizione”
Prof. Sandro Freddo

“L’Arte come responsabilità è la risposta a tutto. In un mondo sempre più caotico, bombardato da immagini, colori e scritte, io penso che il senso di responsabilità di chi fa Arte, in tutte le sue infinite declinazioni, sia quello di portare un pò di ordine e decoro, al fine di creare una sensazione di benessere e un’esperienza sensoriale appagante, rendendo la mia idea di Arte un tutt’uno con ciò che mi lega a Lei”
Prof.ssa Emanuela Tamburello

“Il Nostro rapporto è per lo più l’infanzia, c’è una particolare sensazione che mi viene in mente quando ci penso, ovvero l’odore del legno dei pastelli e delle matite, ho sempre amato disegnare ed era il modo che avevo per cercare di dare una mia interpretazione della realtà, per far vedere ‘i colori’ che avevo dentro. È un legame che c’è da quando ho imparato a tenere in mano una matita”
Angelica Carbonaro, 4^AA

“Come scrive John Berger nel libro Sul disegnare: ‘Il farsi di un’immagine comincia interrogando le apparenze e tracciando dei segni. Ogni artista scopre che il disegno – quando è un’attività necessaria – è un processo a doppio senso. Disegnare non è solo misurare e annotare, è anche ricevere. Quando l’intensità dello sguardo raggiunge un certo grado, diventiamo consapevoli che un’energia altrettanto intensa viene verso di noi, attraverso l’apparenza di quello che stiamo scrutando. […]
Non do nessuna spiegazione a questa esperienza. Credo semplicemente che pochissimi artisti ne negheranno la realtà. È un segreto professionale’
L’Arte è un rapporto reciproco”
Prof.ssa Alessandra Locatelli

Ma per rispondere personalmente alla domanda che vi ho fatto, per me l’Arte è come una sorella. Nei momenti bui è sempre stata al mio fianco, è un faro.
L’Arte si racchiude nei dettagli unici, per chi li sa apprezzare, per chi li sa osservare. Cerco nell’Arte una bellezza che è chiaramente idealizzata, utopistica, ne sono consapevole, ma non per questo meno degna di essere considerata, anzi, è proprio in questa bellezza che trovo il sentimento. Perché più volte ho creduto che una statua di Michelangelo, di Bernini, di Canova, provasse emozioni più pure, più vere rispetto a quelle umane. Perché un quadro può essere la sintesi migliore del dolore che perplime l’essere umano, che lo rende succube, ma può essere anche la massima espressione della leggerezza e della gioia che vive e lotta nei nostri cuori. Per me è la ricerca della purezza che manca sempre di più, è l’ideale mondo in cui si potrebbe vivere, ma è anche, concretamente, esempio di virtù e di verità, con tutto ciò che ne consegue. La verità non sempre ci fa bene.
Io ci credo nell’Arte, non mi ha mai tradito, e non c’è sensazione più bella della consapevolezza che, comunque andrà, Lei sarà con me. Il Nostro rapporto, è di fedeltà.

“Perché l’Arte?
“Per sopravvivere, per respirare, per vivere.”
Prof.ssa Licia Bevilacqua

Filippo Magaraggia 4AA
Un ringraziamento speciale per tutti quelli che hanno partecipato!

Chi se non noi? – Intervista a Germana Urbani

Un’intervista di Beatrice Bison (B), Martina Melotto (M) e Linda Carturan (L) 4BS

 

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B: Può fare una breve presentazione di sé stessa e del suo libro …Temi di cui tratta?

Il libro è una storia che guarda molto al presente e alla cronaca, parla una mente che si sgretola di fronte all’abbandono e del tema del femminicidio.

Io sono Germana Urbani, autrice del libro, ho lavorato come giornalista e per questo mi sono chiesta come fosse possibile che molte persone dopo una rottura non riuscissero a girare pagina, nutrendo questo senso di vendetta fino al punto di far male alla persona che hanno amato fino a quel momento. Seguendo questa domanda, ho costruito una mente che, appunto, piano piano si sgretola finendo nell’ossessione, definendola una malattia mentale, perché la persona amata diventa un oggetto. Il romanzo riprende l’archetipo di Medea.

Trama del libro “Chi se non noi”

Maria, la protagonista, cresciuta in un angolo di campagna veneta sperduto, andando in una villa veneta con il papà e il nonno, la Badoera di Palladio, fin da piccola incontra la bellezza e sogna di diventare architetto, riesce a laurearsi e fare uno stage in uno studio di architettura di Bologna, riuscendo infine a specializzarsi in architettura sostenibile.

Maria ha sempre evitato l’amore perché innamorarsi voleva dire sposarsi con un ragazzo del delta del Po e rimanere lì, voleva dire non poter seguire il suo sogno.

Una sera incontra Luca, che lavora in una pescheria locale e pensa che non possano avere niente in comune ma parlandoci capisce che è una persona molto curiosa e capace, così inizia l’università su consiglio di lei e inizia a lavorare nel suo studio, riesce a diventare architetto solo grazie agli esami che lei gli passava.

Loro continuano a stare insieme anche se il rapporto col passare del tempo sembra andare sempre peggio, lui mette in atto delle strategie di violenza psicologica e proprio quando lei si spoglia di tutto per avere una vita con lui, lui la lascia per un’altra ragazza. Lei ci racconta come la sua vita stia andando male utilizzando continui flashback, senza un ordine temporale, lasciando che sia il lettore a ricomporre la storia d’amore tra i due (durata 6 mesi).

B: Se dovesse descriverlo in circa 10 parole quali sarebbero? 

“Un romanzo d’amore ambientato nel delta del Po”.

La descrizione del paesaggio in cui è ambientato il libro è molto importante, per non definirla fondamentale, io stessa, per essere il più precisa possibile, ne ho fatto ricerca e sono andata a fotografare i posti in cui sono ambientate le scene del libro; inoltre ho deciso di utilizzare i toponimi reali e geograficamente è molto coincidente con la realtà, in modo da spingere il lettore a visitare i luoghi descritti.

In questo libro ho utilizzato anche termini del dialetto veneto perché credo che il paesaggio sia anche la lingua e suoni del posto.

B: Si rispecchia nella protagonista? Per caso il nome della protagonista ha un significato personale o è stato scelto arbitrariamente?

All’inizio la protagonista si chiamava Anna, ma vista la famiglia molto cattolica e avendo 3 fratelli, ha pensato di dare gli stessi nomi dei 4 evangelisti. Si aspettavano un maschio a cui avrebbero dato il nome di Luca, invece nacque una femmina e per questo la chiamarono Maria. Ho regalato alla protagonista alcuni ricordi della sua infanzia, come il fatto che vivesse anche lei in campagna o la storia di Vitello Tonnato; ho regalato qualcosa a tutti i personaggi perché, a mio parere, quello che scrivi passa attraverso di te.

B: Cosa rappresenta la foto in copertina?

La copertina è stata un regalo dell’editore, raffigura due persone che non si vedono molto bene ed è molto rappresentativa della storia d’ amore descritta nel libro. È un amore che non si capisce bene, le due persone, infatti, non si vedono chiaramente; proprio come la storia d’amore che racconto. Guardando dall’esterno, noi non capiamo chi sono, non vediamo i loro contorni. Quando guardi due innamorati, non puoi immaginare che cosa si dicano davvero, quale tipo di rapporto ci sia… Così come quando guardiamo, attraverso una finestra, una casa di altre persone. C’è quel mistero che rimane a chi guarda. A me piace molto quella fotografia. La prima volta che ho visto la copertina, avevano fatto un titolo quasi fucsia e io ho chiesto invece di cambiarlo in un azzurro nostalgia: quell’azzurro un po’ polveroso che poi ha preso il titolo del libro. Perché quando io leggo un libro, sento un colore. Così per tutto il tempo che ho scritto questo libro, io ho sentito forte questo azzurro tra le sue pagine.

B: Abbiamo notato che lo stato d’animo e il paesaggio sono in correlazione, come in una poesia, è così? 

Fra i personaggi e il paesaggio c’è un vero e proprio dialogo, ad esempio man mano che andava oscurandosi l’animo di Maria, arrivava l’inverno; infatti per fuggire dalla pedanteria ho utilizzato il paesaggio per spiegare le emozioni provate da Maria.

M: Abbiamo notato anche la differenza tra la madre di Maria che le parla spesso rivolgendole le spalle e invece l’amica, che le telefona e si preoccupa per lei. Per noi ragazzi, il tema dell’amicizia è molto importante, spesso abbiamo conflitti coi genitori e troviamo rifugio negli amici. la madre vuole evitare un dialogo con Maria? E la sua amica, è importante per lei?

Sostengo che sia più facile parlare coi coetanei, ma mi riferisco anche ad una madre che ha sofferto molto a causa di un abbandono e a per questo fa fatica ad essere una madre affettuosa e presente. Una volta, nelle campagne, non si era affettuosi perché si pensava che così facendo i figli crescessero più forti, nonostante ciò, fortunatamente, la sua amica è sempre presente per lei.

M: Che cosa può insegnare il suo libro ad una persona della nostra età?

Io credo che avere dei sogni e crederci fino in fondo sia molto importante. Già alla vostra età, io coltivavo il sogno di scrivere e di diventare una scrittrice…un giorno. Poi io avevo pochi mezzi, volevo cominciare a scrivere come giornalista ma non sapevo nemmeno dove fossero le redazioni e allora non esisteva Internet. È stato tutto faticoso e in salita, ma dentro di me c’è sempre stato questo grande fuoco: io avevo un sogno e volevo arrivarci. Io credo che niente ti possa fermare, se tu credi in te stesso, per quanto pochi siano i mezzi, ce la puoi fare. Ho anche creduto molto nella formazione: all’università ho fatto lettere, non volevo insegnare ma era la facoltà che si avvicinava di più alla carriera che avrei voluto fare.

Quindi il messaggio per voi è: credete nei vostri sogni e mettetevi davanti a molte altre cose.

M: Che cos’è per lei la scrittura? E la fotografia? Abbiamo riscontrato che il personaggio di Maria ama la fotografia. E le due arti sono correlate? Infatti, per come descrive i luoghi nel libro, ci sembra di essere in una fotografia, immersi nei territori del Polesine.

Sì, è proprio così, è il mio metodo di lavoro. Parto dalla fotografia, anche per scrivere una poesia. Ogni volta che il romanzo si incagliava, andavo in quei luoghi e fotografavo, poi tornavo con una immagine che faceva andare avanti il romanzo. L’immagine fotografica per me è un grande amore e veicolo di fascinazione e scrittura. Uscirà a febbraio un reportage narrativo e si noterà la correlazione tra quello che fotografo e quello che scrivo. Vi consiglio: provate a fotografare qualcosa prima di scriverlo, è un metodo interessante. Per quanto riguarda la scrittura, è una cosa che mi accompagna da tutta la vita e fa parte di me. Scrivo i miei ragionamenti, quello che penso di un libro e che cosa mi ha indotto a pensare. Un libro è sempre generativo di un pensiero personale. Anche quando sono in giro, io scrivo nella mia mente o magari sulle note del mio cellulare. Però ci sono tanti modi di scrivere: quando facevo la giornalista scrivevo tutto il giorno, però per me quella non era scrittura, era lavoro.

M: Ci ha anche colpito la scelta di mettere una cartina all’inizio del libro e di usare termini in dialetto veneto, per far conoscere questi territori, che magari sono meno famosi.

Infatti, la letteratura è anche letteratura geografica. Io odiavo geografia, perché non l’ho mai capita: per me erano nozioni da imparare a memoria… invece negli ultimi anni ho capito che la geografia è racconto di un territorio che esiste ed è percorribile. Per esempio, io amo molto camminare a piedi e da quando lo faccio, ho capito l’importanza geografica dei posti e mi innamoro anche del loro nome. Ho deciso di inserire la cartina perché così chiunque può esplorare i luoghi che descrivo.

L: Visto che lei è anche una fotografa, pensa che l’essere umano abbia un bisogno di cercare la bellezza e l’arte in tutto ciò che lo circonda? Quali sono le sue considerazioni? La pensa in questo modo?

Sai… gli esseri umani sono di tante specie, io credo che quel che è bello per me, possa essere bruttissimo per qualcun altro. Per esempio, io trascino mio marito alle mostre e lui non le gradisce: non capisce, né apprezza, l’arte contemporanea, come ad esempio le opere che ci saranno alla Biennale di Venezia quest’estate. Eppure ad alcuni piace molto questo tipo di arte… quindi la bellezza non è uguale per tutti; c’è chi trova bellissimo un centro commerciale, per me è funzionale, non bellissimo. Per alcuni Gardaland è bellissimo, per me Gardaland non è bello, è un posto per divertirsi. Bisogna capire cosa è la bellezza per le persone, io credo che sia un veicolo per i sogni, un veicolo per l’anima, un veicolo per la poesia e credo che chiunque, prima o dopo, venga toccato dalla poesia o da qualcosa di spirituale. Per mio padre, la bellezza è la vigna in un certo periodo dell’anno e lo capisco, è molto poetico. Però serve uno sguardo particolare per capire un certo tipo di bellezza e lo sguardo va allenato… la bellezza va imparata… una volta quando passavo vicino ad una villa, che c’è qui poco lontana da me, non mi fermavo neanche, poi ho imparato a guardare architettonicamente e artisticamente e ho capito il grande valore di quella villa. Lo sguardo va allenato…guardando mostre e cataloghi se parliamo di arte, leggendo poesia, anche laddove non la capiamo…ci sono poeti difficili da capire. Però è un tuono che entra dentro e lavora.

L: Inoltre volevo leggerle una citazione tratta da Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino; volevo chiederle cosa ne pensa e se condivide le considerazioni espresse.

“Con le figlie, qualsiasi cosa faccia un padre, sbaglia: autoritari o permissivi che siano, ai genitori nessuno dirà mai grazie: le generazioni si guardano torve, si parlano solo per non capirsi, per darsi a vicenda la colpa di crescere infelici e di morire delusi.”

Questa citazione mi ha colpito molto, è molto forte e si ricollega un po’ a quello che dicevamo prima sul fatto che i genitori appartengono a una generazione, delle tradizioni, che noi forse facciamo fatica a comprendere; però penso che sia possibile una convergenza.

Si… Calvino è un grande scrittore perché riesce a scrivere la verità: quando tu leggi un grande scrittore senti che tutto quello che ti sta dicendo è proprio vero, e quindi non posso che essere d’accordo e credo di averlo rappresentato, come dicevamo prima, nel mio libro. Il padre di Maria le dice che i sogni non si realizzano mai, è come se le desse una pugnalata perché non puoi dire a una persona ciò, vuol dire tagliarle le ali.

Ma perché glielo dice? Magari perché lui, quando era ragazzino, non ha potuto neanche permettersi un sogno. Secondo me le generazioni per capirsi e perdonarsi dovrebbero guardare da dove arrivano certe affermazioni dei propri genitori; noi quindi dovremmo chiederci “ma perché sta dicendo proprio così?”.

Perché quando siamo adolescenti, e siamo in corsa per i nostri sogni, non abbiamo voglia di fermarci a pensare e facciamo prima a sbattere la porta, a scappare di casa. Però, quando si diventa un po’ più adulti e si comincia a cercare le proprie radici (almeno a me è successo così), a dire “da dove vengo io? Perché vengo da lì? Sono davvero i miei genitori? qual è la loro storia?”, allora riesci a guardare il passato; riesci a vedere anche quelle liti con occhi diversi e dire “non poteva che essere così”, e quando si arriva a dire questo si riesce anche a perdonarsi… a meno che non ci siano state cose veramente brutte, sono più difficili da perdonare ma per fortuna sono anche più rare.

Quindi io credo che le generazioni abbiano veramente una frattura a dividerle, che è data dal tempo e dalla cultura diversa, e che su quella frattura si possa solo costruire dei ponti in età adulta.

L: Tornando al suo libro, ha incontrato qualche difficoltà quando l’ha scritto? Se sì, come le ha superate? Darebbe qualche consiglio a noi ragazzi in merito?

Sì, dal punto di vista tecnico qualche volta, pur avendo la storia ben fissa in testa (avevo fatto una scaletta dove avevo scritto cosa dovevo scrivere capitolo per capitolo), non riuscivo ad andare avanti perché per ogni paragrafo devi decidere dove si svolge la scena, cosa c’è, come se dovessi allestire un palco di teatro.

Alle volte non riuscivo ad andare avanti e quindi mi era molto utile andare a fotografare oppure andare in libreria o biblioteca e lasciarmi ispirare da un titolo.

Per esempio quando ho deciso che la protagonista sarebbe stata un architetto, mi sono abbonata a un paio di riviste di architettura, ho cominciato ad andare ad alcune mostre, perché non sapevo niente di architettura; eppure in un’intervista mi hanno chiesto se facessi questo di lavoro, quasi riconoscendo che avevo messo cose così specifiche da apparire tale. Però questo è studio. Se tu vuoi essere vero, dire la verità, devi studiare tanto.

Quindi consiglio di leggere tantissimo, prendersi il tempo per passeggiare nei luoghi (infatti camminare fa venire idee) e studiare per essere precisi in quello che si dice.

L: Volevamo chiederle se aveva altri progetti per il futuro. All’inizio dell’intervista ha anche citato che sta scrivendo un altro romanzo, quindi può dirci qualche dettaglio?

Sto scrivendo un altro romanzo che ha come sfondo un fatto di cronaca veneta; racconta la storia di una persona che da tanto tempo ha rinunciato a realizzare un suo sogno e crede che in quel momento potrebbe realizzarsi; potrebbe lasciare tutto quello che ha fatto fino a quel momento per investire tutto e ottenere quello che vuole davvero.

Sarà ambientato nelle colline vicentine.

Sul finale non ho ancora deciso perché io lo lascio sempre andare. Io credo che si scriva in ogni momento della giornata, ma sul finale si può sempre cambiare idea. So come va a finire ma non so come saranno le ultime pagine.

L: Bene, noi avremmo finito. Grazie mille.

M: Sì, la ringraziamo molto, è stato davvero molto interessante, molto.

B: Davvero, grazie per averci dedicato il suo tempo, è stato molto interessante.

G: Va bene. Grazie a voi ragazze. Buona fine, buon principio e buoni sogni e mi raccomando sognate in grande, ali aperte e volare alto! Se avete bisogno di consigli per qualsiasi cosa non esitate a chiedere! Ciao!

死神 – Shinigami

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皆さん、 こんにちは (Mina-san, konnichiwa. Buongiorno a tutti!) Cari lettori di Rompipagina,
come avrete notato, vi saluto in lingua giapponese, per permettervi di immergervi sin dalle prime
righe nell’atmosfera della storia che vorrei raccontarvi quest’oggi, che viene proprio dal lontano
Paese del Sol Levante. Il titolo di questo racconto è 死神 (shinigami), che si traduce come “dio della
morte”. Gli shinigami sono creature che hanno fatto il loro ingresso nella secolare mitologia
giapponese in tempi abbastanza recenti, probabilmente nel periodo Meiji (1868-1912) e, più che
essere simili a divinità, sono assimilabili a degli yōkai malvagi (creature soprannaturali, spettri o
demoni). Inoltre, c’è chi pensa che gli dei della morte non siano nemmeno originari del Giappone,
in quanto lì non vi sarebbe mai stato un vero e proprio culto della morte e nel Kojiki, la più antica
cronaca giapponese che si occupa di mitologia, non c’è traccia di essi. Gli shinigami sarebbero stati
importati dunque dalla Cina o dall’Europa e a causa delle loro origini incerte non si sa molto di queste
creature. Riconoscibili dalla loro carnagione grigio scuro, gli shinigami nascono e crescono in luoghi
dove si sente particolarmente la presenza del male, come zone dove si sono consumati delitti o
suicidi, e amano perseguitare gli umani facendo risuonare nella loro testa pensieri negativi. Si
possono considerare come degli psicopompi, dei traghettatori alla stregua del Caronte dantesco,
che portano con sé le anime dei vivi nell’aldilà.

 
Sarà forse questo alone di mistero che li avvolge ad aver incuriosito svariati autori di anime e di
manga fino al punto di portare gli dei della morte persino dentro alle loro opere, grazie alle quali
oggi sono conosciuti anche dal giovane pubblico occidentale. Io per primo ho conosciuto gli
shinigami attraverso il celebre manga intitolato Death Note, tuttavia, appassionandomi piano piano
alla cultura giapponese, ho capito che gli anime e gli stessi manga, seppure molto apprezzati in tutto
il mondo, sono, come si suol dire, la punta dell’iceberg. Alla base ci sono secoli e secoli di storia,
arte, credenze, usanze e tradizioni che hanno contribuito ad alimentare il mito del Giappone, queste
isole che ai nostri occhi sembrano quasi sfumare nelle dorate nebbie della lontananza. Tra gli aspetti
culturali più curiosi ritengo doveroso citare il teatro, anche perché è proprio da qui, per la precisione
dal genere 落語 (rakugo, letteralmente “parole cadute”), che arriva la storia di cui vi parlavo. Questo
genere consiste in un monologo comico in cui il rakugo-ka (il narratore) racconta una storia dai
caratteri farseschi sedendo sui talloni e inossando un semplice kimono. Affinché possiate godervi
meglio il racconto, vi chiedo, se volete, di immaginare che io sia il vostro rakugo-ka, pronto a narrare
in un meraviglioso teatro tradizionale di rakugo la storia. Fatto? じゃあ、 始めましょう (Jaa,
hajimemashō. Allora iniziamo!)

 
C’era una volta a Tōkyō un uomo. Niente lavoro, niente soldi, soltanto debiti, tanti debiti e una
moglie che non faceva altro che tormentarlo. “どうしよう。死にたい” (Dō shiyō. Shinitai. Che
cosa dovrei fare? Voglio morire!). A quel punto una voce lugubre irruppe dall’oscurità:” Se vuoi ti
spiego io come fare…Ma credo che sia inutile voler morire soltanto perché si è dei falliti. Gli umani
non possono morire a loro piacimento: devono prima aspettare che la loro vita si esaurisca e io, che
sono uno shinigami, posso dirti che la tua, di vita, è ancora molto lunga. Perché non ti trovi un lavoro,
invece? Che ne dici di diventare un dottore, per esempio?”. Stupito e indeciso, il pover’uomo disse
di non avere esperienza, che fare il medico è una responsabilità troppo grande per lui. Il dio della
morte, però, lo incoraggiò:” Quando una persona è malata, c’è uno shinigami nascosto vicino ai suoi
piedi o vicino alla sua testa. Io farò in modo che tu, umano, lo possa vedere, ma ricorda: se lo
shinigami è vicino ai piedi, tu potrai scacciarlo e far guarire i tuoi simili da qualsiasi malattia; se
invece si trova vicino alla testa, non potrai fare niente, perché significa che la loro vita è ormai giunta
al termine. In questo caso bada di non interferire con quel dio della morte, capito?”. “分かった 分
かった (Wakatta wakatta. Capito, capito)” – rispose l’uomo – “ma come faccio per far sparire lo
shinigami?”. Con un ghigno sinistro la creatura sussurrò:” Ti serve questa parola magica:
ajarakamokuren tekerettsu no paa! E poi ricorda di battere due volte le mani”. E allora l’uomo:” 簡
単ですよ (Kantan desu yo. È facile!)”. Divertito, ripeté la formula magica e in quell’istante lo
shinigami sparì: aveva funzionato.

 
Passarono un po’ di giorni e finalmente arrivò il primo paziente, che si portava dietro un simpatico
dio della morte vicino ai suoi piedi. Il novello dottore, compiaciuto, pronunciò l’incantesimo e fece
guarire il suo cliente e questo, non avendo mangiato per giorni a causa della malattia, dopo aver
pagato profumatamente il suo salvatore, si spazzolò un’intera porzione di tenpura. Miracolo! Anche
per le strade della città giungeva voce di quella guarigione prodigiosa e più che nuovi pazienti, si
recavano dal nostro “dottore” sempre più donne innamorate di lui, o meglio…del suo portafoglio.
Purtroppo, però, le cose non possono andare sempre per il verso giusto: i soldi prima o poi
spariscono e con loro le donne. Come se non bastasse, poi, tutti i malati che si rivolgevano a lui
avevano uno shinigami seduto vicino alla loro testa e quindi non aveva speranze di guadagno.

 
Una sera, improvvisamente, si presentò il servitore di un ricchissimo signore del posto che chiedeva
di guarire il suo padrone da una grave malattia; in cambio avrebbe dato al medico mille monete
d’oro. Il dottore accettò quell’offerta spropositata ma quando arrivò alla residenza del signore,
scoprì che c’era un dio della morte seduto vicino alla testa del malato. Non poteva fare nulla, ma
era talmente estasiato dall’idea di guadagnare così tanti soldi, che gli venne un’idea geniale. Dopo
aver aspettato per tutta la notte che gli occhi scintillanti dello shinigami si chiudessero per la
stanchezza, fece immediatamente ruotare il letto del paziente, che ora si trovava la creatura seduta
ai suoi piedi. E a quel punto un grido:” Ajarakamokuren tekerettsu no paa!”. Così, dopo aver battuto
due volte le mani, lo shinigami sparì in un grido sinistro che riecheggiava per la stanza. L’uomo
sentiva già il tintinnio delle mille monete d’oro e dopo aver realizzato di essere in grado di ingannare
a suo piacimento gli dei della morte scoppiò in una risata fragorosa, che venne interrotta soltanto
da un cupo “なぜ笑っている? (Naze waratteiru? Perché ridi?)”. Era il primo shinigami che
quell’uomo incontrò. “お久しぶり、 死神さん (Ohisashiburi, shinigami-san. Da quanto tempo,
signor shinigami!)” – rispose quello sorridente. Il dio della morte, al contrario, non sorrideva
affatto:” Mi sembrava di averti detto di non interferire per nessun motivo con uno shinigami seduto
vicino alla testa del malato. Così hai giocato con la durata vitale altrui! Pensi forse che voi umani
siate così speciali da poter giocare a fare gli dei? 一緒に来い (Isshoni koi. Vieni con me)”.
Nonostante il dottore, impaurito, non volesse seguire il dio, si trovò improvvisamente in un luogo
buio, illuminato da una miriade di candele. “Ogni candela” – spiegò lo shinigami – “è la durata vitale
di un umano”. Meravigliato, l’uomo notò immediatamente una candela che stava per spegnersi,
ormai con pochissima cera a disposizione, e chiese al dio se per caso fosse di un anziano che stava
per morire. “Invece è proprio la tua” – rispose – “Sai, prima la tua candela era quella lì dietro, bella
lunga e ancora piena di cera, ma quando hai fatto girare il letto del signore, hai fatto a cambio con
la sua, che è quella che hai ora. Hai venduto la tua vita per mille misere monete d’oro! Divertente,
vero?”. “Non voglio morire! No! Non voglio morire! Ti prego, restituiscimi la mia candela! Ti
supplico! Non voglio morire!”. “E va bene imbecille” – rispose scocciato lo shinigami – “Prendi
questa candela: se la accenderai con la tua vita, questa rappresenterà la tua nuova durata vitale. Ma
se la fiamma muore, tu morirai con lei”. “Nessun problema! Ora la accendo! Guarda qua, signor
shinigami! Ora lo faccio eh…”. “Oh guarda, si sta spegnendo”. “No, ti dico che ce la faccio!”. “Dai,
dai che si spegne!”. “No, no, guarda!”. “Sì, si spegne!”. “E invece no, ti dico, la sto accendend…”.”消
えた (Kieta. Si è spenta)”. Nell’esatto momento in cui dalla bocca dello shinigami uscì quella parola,
l’uomo che aveva giocato a fare il dio, cadde per terra senza vita in un tonfo sordo.

 
終わり(Owari. Fine). ここまで読んでくれて ありがとうございました (Koko made yonde kurete
arigatō gozaimashita. Grazie per aver letto fin qui).

 
Per chi fosse interessato, lascio due link per approfondire questo argomento:
– Esibizione del rakugo-ka Kyotaro Yanagiya: https://www.youtube.com/watch?v=P4PCds4tlT4
– Canzone del cantante Kenshi Yonezu: https://www.youtube.com/watch?v=8nxaZ69ElEc
またね (Matane. A presto!)

 

 

Filippo Fontan, 5AC

Circe

Il romanzo che racconta della dea e maga Circe, figlia del titano Elios e della ninfa Perseide, è diventato molto famoso sui social, in particolare su Tiktok. È grazie ad un video visto su quest’ultima piattaforma, infatti, che ho deciso di cominciare la lettura del libro di Madeline Miller Circe; volevo avere qualche dettaglio in più su questo personaggio molto famoso, ma al tempo stesso poco conosciuto e “misterioso”.

 
Questo romanzo è un incredibile viaggio all’interno della mitologia greca. Alla vita della protagonista, infatti, si intrecciano svariati personaggi che conosciamo bene anche grazie ai nostri libri di scuola. Prima di iniziare questo libro, credevo di sapere molto sulla vita della maga Circe, accorgendomi, però, di essermi sbagliata parecchio.

 
Il romanzo racconta la lunga ed estenuante vita della dea, della quale, secondo me, viene costruito un ritratto con caratteristiche perlopiù umane. All’interno del libro, l’autrice ci presenta la dea con tutte le sue debolezze, paure, sofferenze e i suoi difetti ed errori. Molto spesso riusciamo a riconoscere situazioni tipiche della nostra realtà contemporanea, che non ci sembrano affatto assurde o irrealizzabili; questo ci fa rendere conto di quanto i miti riescano ad insegnare anche a distanza di millenni.

 
Circe fin da bambina viene vista come quella “diversa” o “strana” dai suoi familiari; per questo è emarginata, messa in ridicolo, sottovalutata, rifiutata. Nella prima parte del libro, dove lei vive ancora nella casa del padre, Circe è una ragazzina molto debole: non trova mai il coraggio di dire la propria opinione o di fare ciò che desidera davvero. Per questo motivo, credo che la lettura si possa definire un romanzo di formazione. Infatti, veniamo accompagnati piano piano nei pensieri della protagonista, vedendone l’evoluzione. La crescita personale di Circe è dettata dalle numerose sofferenze ed esperienze negative che la vita le pone davanti, non è una crescita improvvisa e casuale, al contrario molto lenta e anche dolorosa.

 
Ad un certo punto, però, scoprendo di essere una maga, viene mandata in esilio sull’isola di Eea. La parte centrale del romanzo si svolge su quest’isola, che piano piano Circe adatterà ai suoi bisogni grazie alla sua magia. Mentre noi aspettiamo con impazienza l’arrivo di Odisseo (o almeno io, convinta che la maggior parte del libro trattasse del loro incontro), Circe vivrà molte altre avventure. Il modo in cui l’autrice narra questi episodi mi ha tenuta incollata alle pagine. La Miller ha una scrittura molto poetica e dettagliata, le descrizioni sono sempre minuziose e precise, soprattutto quelle che riguardano le emozioni e le sensazioni dei personaggi.

 
Alcuni argomenti mi hanno particolarmente toccata tanto da volerli presentare cercando di non fare spoiler (guai a chi ci prova!).

 
Per me è stata una scena molto forte la descrizione dello stupro di cui è stata vittima. Da questo momento in avanti, inizierà a trasformare in maiali tutti gli uomini che approderanno ad Eea, dopo averli sufficientemente saziati e ristorati. “La verità è che gli uomini sono dei pessimi maiali” pensa Circe; immagino voglia dirci che in realtà certi uomini non sono solo “dei maiali”, ma addirittura peggiori di questi. Da queste pagine abbiamo la dimostrazione che una donna (non escludendo tuttavia gli uomini) non può mai sentirsi al sicuro, soprattutto quando è da sola; l’autrice scrive “ero una donna ed ero sola, era tutto ciò che contava”. Potrei aprire una parentesi infinita (ma non lo farò, perché spero che questo libro vi possa parlare da solo) sulla violenza contro le donne e sul fatto che l’unico colpevole sia l’oppressore e mai la vittima “per il suo atteggiamento” o “per ciò che indossa”.

 
Dopo la permanenza di Odisseo sulla sua isola, Circe avrà da lui un figlio, Telegono. Ho riconosciuto anche qui il ritratto umano che viene fatto della nostra dea. Lei sarà una madre premurosa, dolce e forse un po’ assillante, ma metterà sempre al primo posto la felicità e la sicurezza del figlio, in ogni occasione. Dalle pagine, capiamo quanto sia forte l’amore materno e quanto riesca ad andare contro ad ogni sfida o difficoltà: Circe farà di tutto per proteggere il bambino, si metterà contro Atena e scenderà negli abissi per sfidare Trigone. Il rapporto tra i due mi ha fatto accorgere di quanto a volte possa essere difficile per i nostri genitori lasciarci liberi di fare quello che desideriamo, poiché, avendo più esperienza, sanno che una determinata cosa potrebbe esserci nociva e provocarci dolore.

 
In questo libro, quindi, Circe non è tanto una dea, una maga o una titana; è soprattutto una bambina indifesa, una figlia, una sorella, un’amante, una madre, una moglie, una donna.

 

 

È un romanzo molto coinvolgente, ti rende infatti partecipe delle scelte e delle azioni della protagonista; mi sono sentita molto spesso triste, arrabbiata o nostalgica con lei. Credo che questo romanzo meriti pienamente la fama che ha acquistato.

 

 

 

Matilde Martinelli 3AC

Ape e fiore

Stanco afferravo, arruffavo gravato da un peso,

arrancavo francobollato ai miei pensieri,

arruffavo i suoi disagi,

afferravo le sue malinconie,

prendevo i suoi dolori, sommavo.

Venivo sovrastato e i suoi mali, di me

si nutrivano.

Se un’ape si gode il dolce nettare,

il fiore se ne priva, credendo nella non detta amicizia.

Lei ape, io fiore.

Le parole non dette, un’amicizia in bilico.

A me, incapace di vedere, mostrami il nettare depravato,

mostrami, ti supplico, che il mio frutto non sia stato buttato,

che l’amore rimane, che i suoi segni non mi abbandonino.

 

Nicola Ramin 2BSA

Respiro d’arte

Personalmente preferisco quelle opere artistiche a diretto contatto con gli spettatori. La gamma di produzione artistica dei nostri giorni raggiunge picchi ormai altissimi – e con arte intendo qualsiasi produzione creativa fatta per essere vista o consumata da un pubblico. Navigare in questo mare di tutto e di niente può essere sempre più fuorviante, e si finisce per immergersi ed uscirne con la testa riempita di così tante storie e immagini, che ormai l’unica cosa che ci rimane è l’indifferenza.

Motivo per il quale ho pensato di risparmiarvi la faticosa nuotata e di poter condividere oggi un singolo artista che possa accompagnarvi per la prossima settimana. Perché, diciamocelo, a chi non piace guardare qualcosa di bello?

Magari stimolare la curiosità con qualche “pizzicotto” d’arte contemporanea. Visto che non sono un critico e su Rompipagina non posso nemmeno condividere gli sticker di Sgarbi (ne ho almeno tre su Whatsapp, se volete) cercherò di portarvi solamente quello che ha attirato negli ultimi giorni i miei occhi assetati di cose belle.

 

Luo li Rong

La mélodie oubliée, Lui Li Rong
La mélodie oubliée, Luo Li Rong

Luo Li Rong, nata nel 1980 in Cina, ha studiato presso l’Accademia delle Arti Changsha. All’età di venti anni si è laureata con il massimo dei voti e la lode alla Beijing Central Academy of Art di Pechino. Dal 2005 si è trasferita in Francia e attualmente lavora e risiede stabilmente a Bruxelles, in Belgio. Alcune delle sue sculture sono state esposte ai giochi Olimpici di Pechino del 2008.

Quello che vi propongo oggi è “La mélodie oubliée” (letteralmente “La melodia dimenticata”), una scultura in bronzo realizzata nel 2007. L’arte di Luo li Rong si ispira a quella rinascimentale e barocca, in commisto alla purezza e semplicità della tradizione orientale.

Le sue opere artistiche sono l’emblema della bellezza e sensualità femminile. I soggetti assomigliano a fate e ninfe dei boschi, con i capelli mossi da una brezza leggera, gli sguardi fieri e le vesti rese estremamente realistiche, a riproporre il tulle accarezzato dal vento.

Rappresenta un punto d’incontro importante tra l’arte occidentale e orientale: da una parte il realismo e la tradizione classica dei nudi femminili, dall’altra la semplicità, la bellezza, la grazia tipiche delle stampe e dei disegni del lontano Oriente.

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È impossibile non rimanere estasiati dalla gentilezza delle forme e della composizione, dalla “melodia dimenticata” che sembra venir trasportata via dal vento. La sentite?

La mia assomiglia a flauti fauneschi, cinguettare d’uccellini e il lontano scroscio di un ruscello, ma chissà, questa musa potrebbe essere benissimo in grado di suonare le sinfonie più impensabili, e chi ci dice che dietro a quel volto grazioso e risoluto non si nasconda in realtà un’anima spietata e assassina alla Red Sparrow?

Se volete fare un viaggio tra fiabe e sogni dove le protagoniste sono donne danzati, vesti soffiate dal vento che si aprono a ventaglio, figure sospese in una lontana dimensione, allora le opere di Luo Li Rong sono proprio quello che vi serve – soprattutto quando la vita pesa incredibilmente sulle nostre spalle e abbiamo proprio bisogno di un po’ di sana leggerezza.

 

Nausika Celnikasi, 5Ac

Ogni volta che ti guardo

Ogni volta che ti guardo penso questo:
Ogni senso si acuisce
non conta tutto il resto.
Se volessi uno spettacolo grandioso,
niente cinema, niente paradiso,
ciò che importa, è solo il tuo sorriso.
Dicono che gli occhi sono fatti per vedere,
Ma i tuoi, non finiscono di incantare.
E non dirmi che credo nei maghi, fattucchiere,
Ma i tuoi sguardi ammaliano più di un migliaio di fatture.
Stregato, sfregiato, da questo mio amore, stacco la spina, mi sembra di cadere…

Ti guardo e penso
non c’è verso, amore a senso unico
Ma quando sto con te,
io mi sento unico.

 

-Alessandro Bernhard

L’ULTIMA CROCIATA- EUROPA vs ISIS

La guerra è cambiata, e non si combatte più nelle trincee, ma col terrorismo. Il bersaglio non è più il soldato, ma la popolazione civile. Non si parla più di guerra di logoramento, ma di guerra ideologica.
In questo contesto si inseriscono i movimenti estremisti che hanno spaventato la civiltà contemporanea, tra i quali figurano al-Qaeda, fondato da Bin Laden e l’ISIS, anche se sarebbe più giusto parlare di IS, ossia Islamic State, fondata da al-Baghdadi. Quest’ultimo recentemente ha compiuto atroci barbarie (seppellimento e combustione di persone vive, decapitazione, lapidazione, uso di civili come scudi umani negli scontri a fuoco incrociato etc.) nei confronti di Cristiani, ribelli siriani e Curdi in particolare; facciamo riferimento per esempio alle stragi di Parigi, Bruxelles, Berlino, Istanbul, Bangladesh, Turchia, Aleppo, Westminster, San Pietroburgo e Stoccolma.

Il movente di tali violenze è dar vita in Europa e non solo ad un nuovo califfato, un sistema politico arabo in cui in un’unica figura coesistono la massima autorità politica e religiosa, ovviamente islamica e di confessione sunnita; per questo usano come pretesto la religione per giustificare la loro jihad. Lo Stato islamico propaganda con forza questi ideali, tanto che i suoi militanti vengono pagati un terzo di un operaio siriano di bassa manovalanza.
Tuttavia al di là di questo casus belli, i reali motivi della guerra come sempre non hanno nulla a che fare con la religione. Queste aberrazioni infatti rappresentano in buona parte una violenta reazione nei confronti dell’oppressione neocoloniale esercitata da alcuni paesi occidentali e oltreoceano. In altre parole con gli attentati terroristici, l’IS cerca non solo di liberarsi dai governi fantoccio imposti in Medio Oriente dagli USA e dalla Francia in particolare (questo spiegherebbe la feroce avversione di tale movimento nei confronti della nazione francese), ma anche di rivendicarsi di questa loro intromissione rispondendo allo stesso modo: facendo breccia in Europa.

Alla base tuttavia concorrono anche delle importanti cause economiche. Non per nulla infatti gli jihadisti hanno cercato in tutti modi di appropriarsi per via militare di pozzi petroliferi e della diga di Mossul che sfruttano per finanziarsi. Il finanziamento è anche lo scopo per cui commerciano, tramite il mercato nero, reperti archeologici di inestimabile valore che vengono trafugati in Siria.

Ma cosa spingerebbe una persona non interessata da queste situazioni politiche, un cosiddetto foreign fighter, a partecipare a tale progetto politico, così folle e crudele?
Rispondiamo con le stesse parole usate da Khaled Hosseini nel suo libro “Il cacciatore di aquiloni”, che consigliamo vivamente:

«Non sai che cosa significhi l’aggettivo “liberatorio” finché non ti trovi in una stanza con decine di bersagli e lasci volare le pallottole, senza colpa e senza rimorso, con la consapevolezza di essere virtuoso, buono e giusto. Con la consapevolezza che ti stai guadagnando un posto in Paradiso. Un’esperienza mozzafiato.»

In queste righe lo scrittore denuncia che la guerra jihadista offre a chiunque provi piacere nella violenza la possibilità di uccidere liberamente qualsiasi persona ostile o semplicemente “antipatica”, con il falso pretesto di farlo per qualcosa di più grande, senza alcun rimorso. Questo sembra essere uno dei più importanti motivi per cui molti foreign fighters partecipano al movimento fondamentalista.
Tuttavia al di là delle apparenze lo Stato islamico, pur essendo diramato in tutto mondo, si scopre molto debole ed eterogeneo al suo interno. Questo è dimostrato dal fatto che in Siria e in Iraq i miliziani islamici stanno perdendo inesorabilmente terreno.

Cosa succederà se però le guerre future saranno combattute contro un esercito privo di nucleo, ma radicato in tutto il mondo e accomunato da una stessa ideologia? Come potremo affrontarlo?
Forse la risposta, per quanto pessimistica, è già stata fornita quasi settant’anni fa da George Orwell nel suo classico “1984”. Forse la risposta sta nel controllo di pensiero, che permetta di individuare e sopprimere ogni forma di proliferazione di movimenti di questo tipo. Vi immaginereste una società priva di libertà di pensiero, di parola, di stampa, di opinione…? Quella società rischia di diventare la nostra. Il nostro compito è dunque quello di impedire che ciò accada, evitare la guerra, e promuovere il dialogo, che permetta finalmente una convivenza pacifica tra Oriente e Occidente.war is changed

By i Pεriπateticy

IL VUOTO CHE NON SI PUO’ SCRIVERE

Sangue, buio, freddo. Questo è quello che sento guardando al di fuori di me. Rami spezzati, voci rotte, lamenti di un uomo che sbuffa alla vita. Non posso dire di esser certo che la nostra umanità sia nata pura, posso solo dire fermamente che, ora come ora, è macchiata dei peccati più orribili. Viviamo nelle sabbie mobili e stiamo lentamente sprofondando dentro un oblio che è cieco di sopravvivenza. I valori dei grandi poeti, le gesta dei veri uomini, le lacrime delle pure anime sembrano non avere più spazio in una generazione di morti che, grida giustizia ma sospira terrore, assaggia la luce ma divora la tenebra. Io voglio poter non essere annientato dalla rabbia di un uomo ma dagli occhi di un bambino, dall’abbraccio di un amico, dal bacio di chi amo. Ed io non voglio essere morto. Non voglio avere paura di aprire gli occhi, non voglio avere paura di accendere la luce, non voglio avere paura di essere, di vivere. Vedo un piccola luce, vedo un cristallo nel buio. Ci siamo ridotti ad avere più paura della vita che della morte, la medicina sta moltiplicando i nostri giorni ma non li sta rendendo migliori. Posso vivere un giorno in più ma posso dire di non averlo vissuto. Che senso ha un respiro se non riempie i nostri polmoni? Che senso ha un pensiero se non ci fa vibrare le ossa? Dove abbiamo sepolto il vero amore, la rabbia pura, la voglia vera di cambiare un mondo che è ormai morto prima ancora di nascere, ogni giorno, dopo una notte che più gli appartiene?
“Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli sempre la speranza.”
 Seneca

Dobbiamo levare il capo verso il sole, dobbiamo liberarci dalle catene, dobbiamo vomitare il vuoto che non si può scrivere. Dobbiamo sputare inchiostro e sangue su pagine che le parole non possono incatenare. Voglio immagini, voglio il rosso, voglio il bianco e voglio il verde. Voglio l’amore, voglio la purezza, voglio speranza. Dipingiamo un mondo nuovo e poi riempiamolo di parole, parole belle, le più diverse parole, parole libere, parole leggere, parole forti, parole vivaci: un delirio di parole! Voglio disintegrarmi in un vortice di emozioni con te, con voi, con me, con noi.

“Senza entusiasmo, non si è mai compiuto niente di grande.” 
 Ralph Waldo Emerson

Voglio volare trasportato dal vento, voglio tuffarmi nelle onde materne del mare dell’essere. Voglio bere acqua azzurra e mangiare pane caldo. Voglio immergermi nei più profondi sentimenti che cova nel cuore questa nostra bella terra. Voglio pelle di sabbia, mani di seta, gli occhi di un quadro di recente dipinto, i miei capelli come l’erba d’estate, i miei vestiti come le foglie d’autunno: il petto che pulsa come la terra alla cavalcata di un cavallo selvaggio.

“Avete i vostri colori, avete i vostri pennelli, dipingete il paradiso ed entrateci dentro.” Nikos Kazantzakis
-Ermete Protocardio

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BABBO NATALE SPIEGATO DA EINSTEIN

Cari lettori di Rompipagina, ormai sono cominciate le vacanze di Natale, come ogni anno attesissime dagli studenti, e lo spirito natalizio si fa sempre più sentire; come si è dimostrato oggi tra i corridoi del liceo, tra classi addobbate (vedasi 3aASA), panettoni a volontà e processioni guidate al suono di “Jingle bells”, senza le quali un Natale non è Natale. Ciononostante sono convinto che molti di voi (per non dire nessuno) non credano più alle filastrocche puerili del suddetto Santa Claus, meglio noto in termini pagani come Babbo Natale. Questo sembra essere dovuto al fatto che, per le vostre menti elevate, la sua esistenza sia inconciliabile con la realtà.

Eppure la Dr.ssa Katy Sheen, fisica dell’università inglese di Exeter (non chiedetemi come abbia avuto la laurea), si è cimentata nell’arduo tentativo di spiegare scientificamente come lavori Babbo Natale.
Per fare ciò ella si avvale innanzitutto della relatività.

La Teoria della Relatività generale venne formulata dal più noto scienziato di tutti i tempi Albert Einstein nel 1915, dopo circa quattro anni di lavoro faticoso e intenso. Quattro anni di stressante competizione con il grande David Hilbert, che scelse di elaborare matematicamente le teorie esposte da Einstein stesso. Quattro anni che alla fine si conclusero con quello che agli scienziati piace definire “Eureka moment”, ovvero la formulazione di un’unica, semplice ed elegante equazione differenziale non lineare e tensoriale (cose che voi umani non potete neanche immaginare):

Gμv=8π·Tμv
[Questa formula coniuga da una parte la fisica, rappresentata dal tensore di Einstein (Gμv),dall’altra la matematica, rappresentata dal tensore stress-energy (Tμv) e afferma che quanto più un corpo è “massiccio”, tanto più esso riuscirà a curvare lo space-time, e dunque a rallentare il tempo. In corrispondenza dell’event horizon di un black hole, il tempo addirittura si riduce a zero, e la gravità in questa situazione è infinitamente elevata, tanto che nemmeno la luce può scappare da esso]

Ora, Katy Sheen ha calcolato che per portare i regali a più di 3miliardi di bambini nel mondo in una sola notte senza essere vista, la slitta di Babbo Natale dovrebbe viaggiare ad una velocità che è circa quella della luce. Sappiamo anche che le sue renne vengono alimentate esclusivamente con Red Bull e per questo, come insegna la nota pubblicità, possono volare; mentre Babbo Natale preferisce la Coca-Cola, che non a caso sponsorizza ogni anno.

Ma ritornando alla questione della velocità, essa spiegherebbe inoltre perché Santa Claus riesce ad entrare assieme al suo enorme saccone dei regali in ogni tipo di camino, anche il più minuto, infatti ad una velocità prossima a quella della luce, sostiene la dottoressa, le dimensioni della slitta si ridurrebbero, ed in seguito la sua velocità verrebbe bruscamente rallentata dalla presenza di un panettone Motta sotto la cappa del camino. Inoltre questa stessa ipotesi spiegherebbe perché Babbo Natale non invecchia mai né può essere visto dai bambini di tutto il mondo.
In seguito la fisica inglese afferma che Babbo Natale non può essere neppure udito a causa dell’effetto Doppler.

A questo punto, presupposto che il suono sia un’onda che si propaga in un materiale, allo stato solido, liquido o gassoso; l’effetto Doppler può essere spiegato con un semplice esempio: il suono emesso dalla sirena di un’ambulanza ci appare sempre più acuto nel momento in cui questa si avvicina a noi, mentre subito dopo, quando l’ambulanza si allontana, incomincia a diventare sempre più ottuso. Il fenomeno è dovuto al fatto che la frequenza delle onde aumenta a mano a mano che la sorgente sonora si allontana.

Nel caso di Babbo Natale, poiché la slitta viaggia a una velocità prossima a quella della luce, la frequenza degli “oh oh oh” di Santa Claus e dello scampanellio delle sue renne aumenta talmente tanto da superare il range delle frequenze sonore percepibili dall’uomo.

In conclusione vogliamo sottolineare che l’obbiettivo di questo articolo non era quello di annoiarvi, ma di spiegare in modo ironico la teoria della relatività, speriamo di avervi divertiti e auguriamo a tutti un FELICE NATALE!!!

 babboeinstain

Alberto e Federico Edoni

CI SAPPIAMO SCONOSCIUTI

L’uomo è destinato sin dal primo gemito a vivere divorato dai suoi stessi sentimenti. Come l’avido scrittore, impaurito dalla pagina bianca, egli non conosce il suo domani e dunque lo teme. Come un equilibrista cammina su di una corda tesa ora spinto ora cullato dal maestoso vento della vita che lo costringe ad oscillare perpetuamente tra l’equilibrio e il vuoto sottostante. Egli è impasto di spirito e corpo e ciò che di lui è corpo è destinato a divenire schiavo di quella terra di cui ora mangia i frutti, beve l’acqua e depreda i beni. Per quanto concerne il suo spirito, esso è leggero, più leggero dell’aria e più cupo del più profondo oceano. Viviamo due vite: la vita dei respiri e la vita dei sospiri. E se le leggi della natura si possono comprendere non si può dire lo stesso delle leggi del cuore. L’amore è il re di tutti i sentimenti dal momento che è il padrone di tutti e lo schiavo di nessuno. Esso è motore primo di ogni nostro giorno, di ogni nostra azione, di ogni nostra intenzione. Abbiamo conquistato per amore del potere, studiato per amore della conoscenza, giocato per amore del diletto e sofferto, per amore di un uomo o di una donna. Ma tutto ciò è solo parzialmente realizzabile perché più abbiamo conquistato e più volevamo possedere, più abbiamo giocato e meno eravamo sazi del nostro divertimento, più abbiamo scoperto e più ci siamo accorti di non sapere. Molto spesso non abbiamo il coraggio di lasciarci trasportare dalla vita e analizziamo con la ragione anche il più nobile tra i sentimenti. Dentro noi vive una bestia che non sappiamo controllare, che non sappiamo nutrire, che nessuna lingua potrà mai esprimere. Un qualcosa che ci dilania da dentro, che vuole libertà e a cui doniamo prigionia.
“L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene.”
-Jean Jacques Rousseau
Tutto ciò che noi pensiamo, tutto ciò che io scrivo qui, è frutto di millenni di riflessioni e di pensieri. Esaleremo forse l’ultimo respiro chiedendoci che senso abbia avuto la nostra vita, che senso tutti questi attimi, che senso tutti i nostri passi. Siamo veramente, come diceva Shakespeare costituiti della stessa materia dei sogni? O siamo semplicemente destinati a far prevalere il nostro interesse terreno al prospetto eterno di cui è forse costituita la nostra essenza? Forse che porteremo con noi per sempre il rimorso di non essere stati all’altezza di comprendere ciò che realmente siamo? Continuiamo a tuffarci tra passato e futuro senza renderci conto che stiamo annegando in questo stesso presente. Viviamo una vita che non è per noi, che non è la nostra. Forse che cerchiamo tutto ma nel posto sbagliato?
“L’uomo è l’unico animale per il quale la sua esistenza è un problema che deve risolvere.”
-Erich Fromm

Ermete Protocardio

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LA SUPER LUNA

superluna roma

La notte tra il 14 e il 15 novembre, abbiamo potuto assistere a questo fantastico fenomeno naturale. Tutti con gli occhi rivolti verso il cielo e pronti a immortalare questo spettacolo, causa di stupore, meraviglia, ma anche curiosità. Ed ecco che ci sorgono molte domande, ad esempio: com’è possibile tutto ciò? quando potremo assistere di nuovo alla superluna? esistono leggende e curiosità legate a questo fatto?
Ecco a voi la risposta a queste domande!

Partiamo dal principio: quando si verifica e che cos’è precisamente il fenomeno della superluna?

Una superluna è la coincidenza di una Luna piena con la minore distanza tra Terra e Luna. L’effetto è un aumento delle dimensioni e della luminosità della Luna viste dalla Terra. Il termine “superluna” non è un termine strettamente astronomico, in quanto la definizione scientifica per il momento del massimo avvicinamento della Luna alla Terra è perigeo lunare.

Non è un evento raro, poiché accade in media una volta l’anno, ma era dal gennaio del 1948 che non si raggiungeva una tale grandezza e luminosità.
Dai dati forniti dalla NASA possiamo scoprire che il nostro satellite è stato del 14% più grande e del 30% più luminoso rispetto al solito, anche se altre fonti smentiscono quest’ultimo dato dicendo che era del 20%.

E quando tornerà la Super Moon?

Beh, la Super Moon, come detto in precedenza, si verifica mediamente una volta all’anno, quindi chi non è riuscito a vedere quella di novembre potrà assistere a quella nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 2016, ma ovviamente non sarà una delle più grandi e luminose.
Per averne una come quella del 14 novembre dovremo aspettare il 25 novembre 2034. Iniziamo quindi un countdown lungo 18 anni…

E poi ovviamente, arrivano anche le leggende e le curiosità legate a questo fatto, quindi perché non raccontarvene qualcuna?

Negli anni i popoli di diverse culture hanno provato a trovare una spiegazione alla SuperLuna si sono sbizzarriti trovando influenze su animali e uomini.
Ad esempio i lupi che ululano alla Luna per ringraziarla, come racconta una leggenda indiana di una mamma lupo che aveva smarrito il piccolo e che chiese più luce per ritrovarlo.

Da molti invece è ritenuto credibile, ma resta una leggenda, che il nostro satellite, nel momento di massimo avvicinamento alla Terra, quando la sua influenza su essa è maggiore, farebbe aumentare la violenza e l’aggressività.
La Superluna, bella e inquietante per l’uomo, secondo alcune credenze sarebbe alla base di casi di vampirismo, alcolismo, suicidi, e violenze varie.

Inoltre si ritiene che il fenomeno della Super Luna provochi devastanti sismi. E’ il caso della ‘marea solida’, cioè il quasi impercettibile alzarsi anche della crosta terrestre sotto l’influenza della Luna, ma tutto ciò non è in grado di scatenare terremoti.

Il nome ‘Super Moon’ (ovvero Super Luna) è stato coniato da Richard Nolle, astrologo americano, nel 1979.
lo fece per sostenere la sua teoria sull’influenza negativa sulla Terra del perigeo lunare, facendo anche un elenco delle catastrofi legate al fenomeno. Fino ad oggi c’era sempre una certa discrepanza tra le date delle catastrofi e l’apparizione del disco luminoso notturno, ma il terremoto in Nuova Zelanda per l’astronomo è una specie di rivincita che lo riporta alla ribalta dopo tante smentite dal mondo scientifico. Nolle in un articolo, dove spiega la sua teoria, azzarda anche un collegamento con il terremoto italiano del 31 ottobre di magnitudo 6.5 con l’epicentro tra Norcia, Castel Sant’Angelo sul Nera e Preci.

La Super Luna del 14 novembre viene chiamata anche ‘Beaver Moon’ (beaver= castoro) perché cade nel periodo nel quale i coloni americani cacciavano i castori in vista dell’inverno.

E ovviamente, come si fa a parlare di astronomia senza pensare agli UFO (per chi non lo sapesse, questa sigla significa Unidentified Flying Objects, ovvero ‘oggetti volanti non identificati)?
Infatti, c’è addirittura qualcuno che ha visto strani oggetti aggirarsi nei paraggi della Super Moon.

Ora non resta altro che aspettare le prossime lune speciali!

-Alice Bottaro

LIBERTA’

Per Libertà s’intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, ricorrendo alla volontà di ideare e mettere in atto un’azione, mediante una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a realizzarla. liberta

Ma veramente siamo in grado di apprezzarla questa libertà di cui seguitiamo a parlare, di cui ci facciamo vanto… La libertà è sempre stata il motivo (altro…)

LABORATORIO TEATRALE IMPEGNATO NEL SOCIALE

Lunedi scorso una parte dell’ormai noto laboratorio teatrale del liceo si è recata presso la casa circondariale maschile di Venezia per recitare “Il Malato Immaginario” davanti ad alcuni dei carcerati.
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Questa nuova esperienza è stata fortemente sentita dagli attori, che si sono confrontati con un pubblico molto particolare, ma che ha saputo cogliere appieno i significati dello spettacolo. Gli spettatori, detenuti e guardie carcerarie, hanno più volte ringraziato al termine della rappresentazione i ragazzi e i loro accompagnatori, chiedendo di tornare presto in modo da avere qualche altra occasione di svago e distrazione dalla loro condizione.
Tutti i ragazzi presenti si sono sentiti particolarmente coinvolti nell’iniziativa, e per questo hanno

(altro…)