Origini degli scacchi

Secondo la storia gli scacchi nacquero in india attorno al VI secolo d.C., deriva da un gioco indiano chiamato caturañga.

Dopo l’occupazione cinese questi li modificarono nel gioco xiangqi, nel quale i pezzi erano disposti nell’intersezione delle caselle, piuttosto che nel centro.

Il gioco degli scacchi prende il suo nome dalla parola persiana Shāh, “re”, e la fine della partita è definita dal termine scaccomatto, “shāh mat”, ovvero “re sconfitto”.

Invece la leggenda narra che il creatore degli scacchi fosse un certo mercante chiamato Sissa Ben Dahir, che inventò il gioco per un principe annoiato. Al principe piacque molto e gli permise di chiedere qualsiasi cosa come ricompensa. Il mercante chiese un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via, sempre raddoppiando il numero per tutte le 64 caselle. I contabili del regno si resero conto che gli dovettero dare un numero impossibile di chicchi (circa 18’446’744’000’000’000’000 chicchi).

Questa leggenda era conosciuta durante il medioevo, e pure Dante ci dedicò un passo della Commedia, il quale utilizza lo schema della leggenda per dare un’idea del numero di angeli presenti in cielo.

“L’incendio suo seguiva ogni scintilla

ed erano tante, che ‘l numero loro

più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla”

Paradiso, Canto XXVIII, v.91-93

Un grande ritrovamento storico sono stati gli scacchi di Lewis, un gruppo di pezzi provenienti dall’era medioevale rinvenuti nella baia di Lewis, in Scozia. Assieme ad essi sono stati trovati numerosi giochi da tavolo, ma questo è l’unico set che è stato rinvenuto intatto e completo.

Il set comprende 79 pezzi scolpiti in avorio di tricheco, tranne alcune eccezioni, e i pezzi sono alti circa 10cm, tranne i pedoni, la cui altezza varia dai 3,5 ai 5,8, questo fa pensare che in origine fossero pezzi appartenenti a diverse scacchiere (anche la presenza di 19 pedoni, quando a set ne bastano 16).

Sono esposti tuttora e permanentemente al British Museum.

Il 20 luglio di ogni anno si festeggia la giornata internazionale degli scacchi

– Frederick Toschetti 2CA

Festival delle Lingue: I edizione

Dare un’unica definizione del nuovo “Festival delle Lingue”, formidabilmente organizzato dai docenti del Ferrari e dagli studenti delle classi seconde, terze, quarte e quinte che hanno partecipato e hanno contribuito con impegno alla sua realizzazione, risulta quasi impossibile. In una serata, quella dello scorso 22 Marzo, i partecipanti hanno avuto la possibilità di sperimentare e divertirsi attraverso una grande quantità di laboratori interattivi, i quali, attraverso la loro varietà, sono riusciti a lasciare qualche nozione di lessico, di cultura e che hanno rappresentato accuratamente l’amore verso le lingue da parte degli organizzatori, provenienti da non solo dall’indirizzo linguistico.

L’inizio delle attività vere e proprie è stato introdotto dalla band scolastica, la quale, con un vario repertorio di canzoni nelle diverse lingue proposte, ha indubbiamente permesso d’intrattenere il pubblico in maniera serena. In seguito si è tenuto l’intervento della nostra Dirigente, che ha colto l’occasione per ricordare a tutti il valore che possiede la conoscenza linguistica e la sua importanza nella creazione di una connessione con altri popoli e con le altre culture che, per quanto possono apparire ineguali dalla nostra, possiedono intrinsecamente una particolarità e una bellezza peculiare.

Gli ospiti hanno avuto ulteriormente modo di scegliere i laboratori linguistici ai quali partecipare grazie ad una iniziale rassegna stampa, che ha illustrato loro i relativi progetti dedicati alla parte pratica o agli scambi culturali.

Passando in rassegna i vari laboratori, partiamo da quelli in lingua inglese.

The Offensive Translator“, a cura dei professori Galante e Gusella e vari studenti del liceo artistico, tra i quali Frederick Toschetti (2CA), è riuscito a combinare divertimento e competenza.

Abbiamo avuto molta affluenza e siamo molto contenti di questo. Mescolando il comico (video in inglese) e serio (traduzione) abbiamo riscontrato molti pareri positivi.

English For Fashion“, a cura della professoressa Ghidoni e della classe 5^CA, tra cui l’alunna Aurora Lacerti, rivolto a tutti coloro con un forte interesse, o una semplice curiosità, verso il mondo della moda.

 “Abbiamo rappresentato gli stilisti più famosi come Chanel, Dior, Prada ma anche artisti più ricercati. Siamo molto contenti del risultato perché tra le prove Invalsi e gita in mezzo ci siamo impegnati tanto.

Victorian’s Secrets“, a cura delle studentesse Giada Gambalonga (5AL), Emma Marchioro (5AL), Erica Spigolon (5BL) e Greta Polonio (5BL), una versione moderna e comica di una possibile conversazione tra figure femminili indimenticabili della letteratura inglese.

La nostra attività consisteva in un talk show ambientato nell’età vittoriana dove le protagoniste erano Jane Eyre dell’opera Jane Eyre, Elizabeth Bennet di Pride and Prejudice e Catherine di Wuthering Heights. Siamo state assolutamente contente dell’affluenza.

The Tudor Family“, a cura della professoressa Scardin e di vari studenti di 4AL tra cui Anna Pavan e Riccardo Belluco, incentrata sulla memorabile dinastia regnante dei Tudor.

Grandissima affluenza e molta creatività nei corridoi, comparabile alla Notte del Liceo Classico.”

CreHAIKUS under the moonlight: poeti per una notte” a cura della professoressa Ditadi e di alcuni alunni di 4BSA, laboratorio in cui i partecipanti “sono stati invitati a creare un Haiku dal primo all’ultimo verso, come dei veri e propri Poeti! Partendo da immagini-stimolo o parole-stimolo proiettate all’interno della classe-laboratorio come ci spiega la professoressa stessa.

Fake or real?” coordinato dalla professoressa Mantoan insieme ad alcune alunne di 4AC che ci dicono: “Era un laboratorio incentrato sul riconoscere le fake news, dove i partecipanti analizzavano un articolo e sulla base di alcuni punti cercavano di capire se fosse vero o meno con, a seguire, dei quiz a premi per fare pratica”.

Passando alla lingua francese, la professoressa Fiocco ha affermato: “Le attività sono state totalmente proposte dai ragazzi, sia il quiz sui modi di dire in francese sia la pièce sull’assurdo di Ionesco, preparate tutte nel tempo record di 2 settimane. Ho avuto una grandissima soddisfazione riguardo le loro capacità di applicare la lingua straniera fuori dalla classe.”. I laboratori in questa lingua erano un quiz sui modi di dire in francese tenuto da alcune ragazze di 3AL e una piéce dell’assurdo di Ionesco che i ragazzi di 4AL avevano visto due settimane prima in gita a Parigi e da lì hanno deciso di metterlo in scena in questa serata.

Per quanto riguarda invece lo spagnolo, le classi sono state completamente riempite di spettatori. “Dalle cantigas alle canzoni: un mondo di tradizioni”, con la partecipazione di Sophie Benso (4BL) e Martina Corso (4BL) e numerosi altri ragazzi, ha superato le loro aspettative come da loro riportato: “Essendo un laboratorio letterario non ci aspettavamo così tanta affluenza, siamo rimaste piacevolmente sorprese.” Tra i partecipanti anche Hiba Chaouki (4BL) che ci dice: “è stato interessante portare una lingua diversa da quelle che studiamo poiché ho portato una canzone metà in arabo e metà in spagnolo”.

Tratta di letteratura anche “Federico Garcia Lorca: musica, teatro e poesia”, a cura della professoressa Faccon e dei suoi alunni, i quali insieme sono stati in grado di rappresentare perfettamente l’emozione contenuta dalle poesie. La professoressa ha commentato dicendo: “Con le rappresentazioni teatrali dell’Aurora di New York e La Casa di Bernarda Alba stiamo facendo successo: è la quarta volta che facciamo lo stesso spettacolo. Va studiata la prossima edizione ma ci abbiamo azzeccato, no?”. L’alunna Rowena Polato (5BL), che ha partecipato attivamente, ha aggiunto: “Pieno di gente, non si riusciva quasi a respirare dalla quantità di persone presenti. Ottimo esempio per chi volesse in futuro scegliere il linguistico.

Infine trattiamo delle attività in tedesco, che al pari delle altre lingue hanno riscosso pareri affermativi. Al riguardo, le professoresse Barison e Salvo hanno parlato positivamente delle performance, della partecipazione dimostrata e anche di come gli alunni stessi abbiano avuto l’occasione di divertirsi. Tra i vari, citiamo “Deutsch mit Spaß”, un interessante laboratorio lessicale organizzato dalla professoressa Mazagg e da alcuni alunni di 3AL, insegnavano le basi del tedesco ai partecipanti. Tra gli alunni c’è Alex Sinchevici che la definisce “davvero una bella esperienza, da rifare in futuro”.

Il laboratorio letterario e teatrale “Die Leiden des jungen Werthers: il giovane Werther tra dolori e passioni” sembra essere stato tra i più acclamati, grazie alla capacità degli attori di trascinare i partecipanti all’interno del memorabile romanzo di Goethe. Giulia Pastò (4BL) e Gianmarco D’Onghia (4BL) rivelano: “Abbiamo recitato una volta in più perché il pubblico lo ha richiesto. Ci siamo divertiti moltissimo.

Altro laboratorio in tedesco è stato “Das Brettspiel über Deutschland: un viaggio alla scoperta della cultura tedesca” di alcune studentesse del linguistico tra cui Valentina Grigio (3BL) che ci dice “è stato divertente osservare i primi approcci al tedesco di persone totalmente alle prime armi”

In molti hanno partecipato anche agli interventi riguardo le esperienze internazionali che la scuola propone, per i quali la professoressa Rappo ha espresso una sentita soddisfazione: “La serata sta andando oltre le nostre aspettative, sono veramente felice, sta ripagando tutti i nostri sforzi. Gli studenti si stanno impegnando molto e i progetti internazionali stanno riscuotendo successo. Sono molto soddisfatta anche degli ex studenti che sono venuti per aiutarci.” Gli ex alunni Riccardo Alfonso e Sofia Zhou, che hanno presentato le loro esperienze Erasmus, hanno dichiarato: “Non ci aspettavamo tutta questa partecipazione, i genitori sono emozionati all’idea di mandare i figli all’estero e tornare qua è stato quasi nostalgico.”. Ma sempre a parlare delle loro esperienze c’erano anche Camilla Erbusti (5AA) e Elena Grillo (5BL) che ci dicono: “Ci sono un po’ di persone interessate, soprattutto genitori che chiedono per i figli ed è una cosa molto positiva”.

La serata ha ricevuto riscontri particolarmente positivi da molte persone e di seguito ne riportiamo alcuni, come Marco del Piccolo, DSGA (Direttore dei Servizi Generali Amministrativi) del nostro Istituto che afferma: “Non ho mai visto una cosa del genere, vedere la scuola riempirsi durante questi eventi mette gioia.” o le giovani Livia, Maddalena e Alessia (di rispettivamente 7, 7 e 4 anni) a cui è piaciuta la serata, in particolare “il laboratorio di tedesco e gli indovinelli in francese dove abbiamo vinto le caramelle”, o ancora il parere di Agostino, madrelingua inglese che attualmente è assistente di lingua nella nostra scuola, che ci ha detto: “I think this has been a wonderful evening, all the students were involved into their projects. I’ve been very impressed at the level of English that I saw in the workshops.”.

Anche la Dirigente Scolastica Milena Cosimo si è espressa positivamente riguardo la serata affermando: “c’è tanta partecipazione. Soprattutto gli attori sono bravissimi e tutti i laboratori sono molto interessanti”.

Si può considerare quindi la prima edizione del Festival delle Lingue un successo, la realizzazione concreta dell’impegno di docenti e studenti, ma anche la dimostrazione delle competenze acquisite dagli alunni durante il loro percorso scolastico, come afferma la professoressa Businarolo, docente di lettere che ha partecipato ai laboratori e che ha rivelato la sua ironica preoccupazione: “Sono preoccupata perché ci stanno facendo una grande concorrenza per la Notte del Liceo Classico. Sono bravissimi questi ragazzi del linguistico. Fanno dei laboratori interessantissimi. Quasi quasi verrebbe voglia di imparare le lingue anche a me.

La professoressa Fiocco ha espresso il significato di questa serata, oltre al presentare i vari progetti che la scuola propone: “Sono questi momenti in cui troviamo forse il senso di ciò che facciamo perché in aula si vede qualcosa, ma non si vede tutto quello che i ragazzi sanno fare e come sanno abitare la lingua straniera”.

La professoressa Scardin, insegnante d’inglese, ci ha raccontato come sia nata l’idea di questa serata ed ha esternato il desiderio di riproporre il Festival anche negli anni a venire: “Questa serata è nata dalla voglia di far conoscere ai ragazzi e alle famiglie le varie opportunità dei progetti internazionali che la scuola propone. Partendo da questo obiettivo, ovvero di mostrare le emozioni e i risultati che i ragazzi portano a casa da queste esperienze, siamo arrivati al festival di oggi. Questa non è una serata dedicata solo al linguistico, ma a tutto l’istituto perché questi progetti sono trasversali a tutte le classi di tutti gli indirizzi. Ci siamo messi un po’ in gioco insieme a tanti colleghi e studenti. Ci ha colpito perché non ci aspettavamo così tanta affluenza. Siamo rimasti veramente soddisfatti e spero che sia piaciuta a tutti e ci auguriamo l’anno prossimo di poter fare una seconda edizione.

Francesca Picelli 1AL

Valentina Grigio 3BL

Pietro Grosselle 4BSA

Con le foto di Diletta Sbicego (4BSA) e Irene Morato (5AS)

Scrittura 02

Penso che anche se apparenza e realtà siano 2 cose completamente
diverse, abbiano in fondo un legame comune: entrambe possono essere
interpretate.
L’ apparenza viene creata dal nostro subconscio, dal nostro modo di
pensare e anche se pensata per un certo scopo può ottenere risultati
totalmente contrastanti tra loro.
La realtà, anche se definita oggettiva, può essere letta in mille modi diversi.
Come possiamo sapere con quale criterio viene definita oggettiva?
Le maschere che ognuno di noi costruisce, perché sì, anche le persone più
sincere possiedono varie maschere, sono apparenti, quasi definibili da
copione.
Non vengono costruite per una questione di falsità, ma più per un fatto di
sopravvivenza pacifica.
Tanto più una persona riceve degli obbiettivi da raggiungere, delle
aspettative, tante più maschere crea per non deludere gli altri.
Tanti più ambienti frequentiamo, tanti più amici abbiamo, tante più
maschere saranno.
Ognuno di noi crea apparenze diverse con persone diverse, ma come.
facciamo a riconoscerci per quelli che siamo veramente?
Penso che siamo un po’ un insieme di tutte le maschere, le apparenze che
creiamo.

Pirandello sosteneva questa sua idee delle persone che indossano
maschere adattabili a ogni situazione, e io concordo con lui.
Quindi, direi che ognuno possiede un po’ la sua realtà, dove può
trascorrere le giornate in pace e in serenità.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 14

Io credo che oggi la società impone di pensare che sia più importante far credere di star
bene nei panni di altri, per questo fingersi a proprio agio in atteggiamenti di moda, a tal
punto da perdere chi si è realmente.
Non capivo se ero me stessa, finché non mi hanno iniziano a denigrare per come mi vestivo,
per il mio punto di vista o perché non ero come loro… ma il mio tentativo di comportarmi
“come loro” mi faceva male, mi annullava e quindi non mi stava bene addosso non lo sentivo
mio perché non mi era naturale.
Mi avevano chiesto perché non ero come le altre, direi che è perché non so fingere di essere
omologata come “le altre”.
Un giorno guardando un film ho sentito una risposta a cosa dicono del tuo stile in giro: ‘Un
po’ di offese e insulti, certo. Ma amo dire che “normale” è l’insulto peggiore che esista…’.
Decidi di essere normalmente te stesso sempre e fregatene qualsiasi cosa accada non
cambiare mai, perderesti “solamente” te stesso… che pensandoci “solamente” non è.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

POZZANGHERE

“Ma fai rumore, sì. Che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te”, dice Diodato in una delle sue canzoni.

Il silenzio è bello, però c’è una sorta di limite credo. Questo, arriva quando si inizia a sentire un vuoto. 

Ma non il solito, no.

Non è quel tipo di spazio che si è creato e di cui si sente quasi il bisogno di riempirlo. O anche accettarlo a volte…

Ma fa male.

Fa male

Fa male

Fa male

Male, come quando cerchi di guardarti allo specchio e non ti riconosci. 

Ti guardi negli occhi e non vedi nulla. E se ti va bene, diventano lucidi e poi piangi. Ma è raro che succeda.

È difficile anche quello. Anche piangere all’esterno a volte…

“Diamo da bere” a queste pozze d’acqua, non è abbastanza. Non sgorga ancora acqua, deve arrivare al limite. No?

Vorrei essere leggero. Vorrei saper dire delle cose che non so dire, senza aver paura. Vorrei correre per poi cadere. Rialzarmi, ma prima di farlo stendermi per bene in una pozzanghera e nel mentre aiutarla a riempirsi. 

Poi però, rialzarmi come detto, e correre nuovamente. Girare su me stesso fino a quando non mi girerà la testa e inizierò a sorridere come un cretino, come quando di solito lo faccio. 

Magari urlare, magari condividere la solitudine…

Silenzio, devi startene zitto. Capito?

La libertà è per pochi, la libertà è scoprire di esser soli.

Le foglie cadono, e tu cadi come loro. 

Non lo vedi, ma a terra ci sei e non ti stai alzando.

Svegliati!

Beep beep beep beep (la sveglia che suona)

Che cos’è un uomo nell’infinito?

Mercoledì 20 marzo si è tenuto il primo incontro culturale, organizzato da noi redattori di Rompipagina, al Gabinetto di Lettura di Este.
È stato un incontro molto intimo, seppur formale, e a causa di questo i partecipanti hanno potuto dibattere con i tre professori che hanno dato la loro disponibilità per l’organizzazione di tale incontro.
La prof.ssa Businarolo, il prof. Cascio e la prof.ssa Falanga hanno presentato al pubblico il tema dell’infinito; un argomento che ha da sempre affascinato gli uomini, dall’antichità fino ai giorni nostri.
La prof. Businarolo è partita proprio dalle origini di un termine greco simile alla definizione che abbiamo noi di infinito, per approdare poi, attraversando la visione umana del concetto di infinito nel corso dei secoli, all’angoscia di Pascoli nei confronti di questo.
Il prof. Cascio ha citato invece il filosofo Pascal, che ha identificato come uno “spartiacque” nel rapporto tra uomo e infinito, ragionando sull’effetto che la grandezza di ciò ha avuto nell’umanità e su in che posizione si sia posto l’uomo rispetto ad esso. Affrontando il tema dell’infinito da un punto di vista personale ed esistenziale, ha parlato del concetto di scelta e probabilità in Kierkegaard. Ognuno di noi, infatti, ha un’infinita possibilità di scelte che ci porta spesso ad una “paralisi della scelta”; questa è determinata dal fatto che non potremmo mai avere la certezza che la scelta che compiamo sia quella giusta, ma soprattutto perché abbiamo il timore di abbandonare tutte le altre migliaia di possibilità.
Infine la prof.ssa Falanga, partendo dal notissimo simbolo dell’infinito in matematica, ha descritto come a partire dal Cinquecento l’uomo abbia cercato di riprodurre l’idea di infinito attraverso l’architettura, citando Palazzo Barozzi a Vignola, ad esempio. La prof.ssa ha poi mostrato moltissime opere pittoriche per raccontare questo infinito; in particolare, le opere di Friedrich dove l’uomo è posto in secondo piano, fungendo quasi da sfondo alla protagonista che è invece la Natura e le ninfee di Monet. L’ultimo suo intervento riguarda, sempre
attraverso l’architettura, l’infinito nella sfera temporale. Ha citato infatti un’ importante architettura orientale della religione induista: Santuario Ise, in Giappone. Tale edificio, secondo la tradizione, viene abbattuto e ricostruito da capo ogni 20 anni, cosa che dunque potrebbe proseguire per un tempo infinito.
Ringraziamo caldamente il Gabinetto di Lettura di Este per averci permesso di organizzare questi incontri culturali.
Infine, invitiamo caldamente voi lettori a partecipare ai prossimi incontri che riteniamo essere molto educativi e formativi, indirizzati a persone di tutte le età e non solo a noi studenti.

Vi lasciamo di seguito il video registrato durante la serata e le presentazioni in formato pdf dei relatori dell’incontro

Registrazione della serata: https://drive.google.com/file/d/1RvqKOIkipCO6p0GAxfL5OWPL37vVfpDL/view?usp=sharing

Presentazione Letteratura: https://drive.google.com/file/d/1i6Lu1F1acM_qmCWvtFlpa4Skav5IO0th/view?usp=sharing

Presentazione Filosofia: https://drive.google.com/file/d/1UXYu7LCiJF1vMlMdIpHXpTRgCkhVHrfr/view?usp=sharing

Presentazione Arte: https://drive.google.com/file/d/1Ay8v3YfF0vF9Y_6AQoPF2Sq_BuIuY34y/view?usp=sharing

I direttori di RompiPagina

Is Ugly Still Chic?

Non solo le cose “belle” ci attraggono, che sia in amore o nella moda. Il “brutto”, sempre se così si può definire, ha un fascino intrinseco, ha qualità inspiegabilmente percepibili che però sfuggono alla comprensione piena del fenomeno.
L’introduzione del “brutto” nell’arte nasce come provocazione intellettuale contro una patinata noia borghese, come scrive Francesca Milano Ferri per Harper’s Bazaar, e anche più tardi e in ambiti diversi, non è venuto a mancare l’aspetto provocatorio e sovversivo. Un esempio di evento rivoluzionario per la moda fu senza dubbio la SS1996 “mix di colori solforosi” (def. di Anna Piaggi) di Miuccia Prada, collezione aspramente criticata proprio per non aver rispecchiato l’idea di bello e di conforme, che aprì le porte al famosissimo “pretty-ugly”; è sempre Miuccia Prada a dire: “Il brutto è attraente, il brutto è eccitante. Forse perché è più nuovo”.

Prada Spring 1996

Prada Fall 1996


Dello stesso parere è anche l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, il quale, in un’intervista riguardo alla sua collezione “Make The Strange Beautiful” disse: “Più strano sei, più bello sei. A me piacciono i difetti, non c’è niente da fare”.

Gucci Spring 2022 “Love Parade”


Però alla stranezza e alla singolarità, per non parlare direttamente di “bruttezza”, sono stati imposti dei limiti: l’ugly chic di Prada ha avuto un’ascesa e un declino, e l’impero dorato Gucci di Michele è deceduto da ormai un’anno. Ciò che sfila oggi è ricercata e ostentata semplicità, quasi una camicia di forza alle nostre passioni, alle nostre spinte.

Non sentiamoci mai in dovere di conformarci, di diventare lo standard. Rendiamo felici noi stessi, e aggiungiamo quella spilla o quel colore dissonante che ci faranno uscire di casa con un sorriso. Rendiamo il nostro armadio Immature Couture.

-Edoardo Benedusi 5AC

Pioggia silenziosa

Immagino la segreteria telefonica, i messaggi che non si inviano.
Il silenzio, il nulla…
Immagino te, e tutto questo.
Il mio silenzio.
Sono sparito, ma ora eccomi qui.
O forse, ora sono nuovamente diventato il silenzio. Non più quel tipo di vuoto
necessario al tempo, ma quel
niente insignificante nonostante io sia qui questa volta. Non è volontario. Forse, è diventato reale. Quello
spazio necessario di silenzio assordante…
Non ha mai smesso di piovere in questa stanza. Come non ho mai smesso di aspettarla, la pioggia, per
piangere assieme a qualcosa che non fosse una persona.
De André dice: “C’è chi aspetta la pioggia
Per non piangere da solo”
Chissà quante altre persone la aspettano…
I Ricordi, possono riprendere vita da qualche altra parte a noi ignota?
Se è così, vorrei solamente essere per un attimo una persona esterna ai miei ricordi, per guardarli un’ultima
volta da fuori.
Non voglio riviverli in prima persona, no. Perché sennò non sarebbero quel che sono stati.
Non è possibile però, è solo una cosa troppo malinconica accompagnata dalla mancanza di qualcosa forse.
Piangere, è liberatorio. Però, a volte la pioggia “arriva un po’ in ritardo” per farti compagnia nel mentre.
Quindi, non si aspetta più la pioggia per non piangere in solitudine. Piove e basta, anche senza di lei…

– Anonimo

Sei tornato

Sei tornato,

e con te è tornato anche il bisogno di scrivere.

Sarà perché sei in ogni pagina di questo quaderno,

sarà che l’ho cominciato quando sei entrato a far parte della mia vita,

sarà che quando te ne sei andato non ho più avuto nulla da scrivere.

Avrei potuto, tutto sarebbe andato bene.

Eppure non ne trovavo il senso.

Ho continuato a scrivere,

a disegnare,

a ballare ad occhi chiusi.

Diversamente,

con altre persone,

con vuoti dentro differenti.

Sei tornato,

ed è tornato questo spazio che, come facevo con te, ogni tanto mi fermavo a riguardare.

Pensando a com’era averlo sempre con me,

a come mi sentivo libera aprendomi,

sapendo che non sarei stata giudicata.

Sapendo che sarei stata ascoltata in questo silenzio,

forse non più troppo rumoroso, perché ora sappiamo.

Ciò che serve.

Ci manchiamo.

Quello che non sai è che queste pagine vuote,

il vuoto che hai lasciato,

non l’ho mai voluto riempire.

Ed è rimasto qui,

ad aspettarti.

Un po’ come ho fatto io.

Sperando un giorno di essere riempito ancora.

blu, 12

La guerra di nessuno

Dormi sepolto in un campo di sterco
Livido il cadavere d’un uomo sincero
Colpevole d’umiltà e d’un alterco
con un nemico assai mortifero


Creatura mostruosa zittisce, serpeggia
dove l’omertà da tempo aleggia
Bestia orrida dalle mille mani
Vive se tutti ce ne stiamo buoni


Cane il maresciallo che volse la testa
Di fronte al mostro del suo Paese
Lui non poté nulla, subito s’arrese
Ora se ne va e più non si arresta


Sospetta di tutti, sospetta e fai bene
Il mostro è in ognuno, scorre nelle vene
Ninetta mia non aspettarmi stasera
Ché mi hanno privato d’una vita libera

– Martina Buttarello, 3BL

21 Marzo XXXX

Il 21 marzo è per tutti il primo giorno di primavera, ma per noi italiani è anche la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”. Vi domando: quanti di voi conoscono questa ricorrenza? Secondo un sondaggio de “La Repubblica” solo un quarto tra di voi conosce questa giornata. Per curiosità, se volete, provate a verificare questo dato. 

Il titolo di questa giornata è un titolo lungo che in sé racchiude i nomi e le storie di tutte le vittime di mafia. 1069, questa è la conta ufficiale dei morti. Non mi è possibile elencare tutti i loro nomi, ma voglio almeno darvi un’idea su chi erano queste persone. Erano: politici, magistrati, prefetti, poliziotti, imprenditori, medici, giornalisti, impiegati, sacerdoti, attivisti, tuttofare…uomini e donne…anziani e adolescenti…e bambini. Eroi che hanno perso la loro vita per aver combattuto la mafia o per aver detto un semplice “no”, e innocenti che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.   

Come per capire bene la matematica servono degli esempi, ora desidero raccontarvi una storia, ma non una di quelle che probabilmente conoscete già o di cui avete sentito parlare per caso e di cui, forse, vi stanchereste a riascoltare; bensì una tragedia con la quale spero di toccare i vostri cuori e farvi comprendere quale razza di mostro cancerogeno sia la mafia.                                                                                  

Quindi, torniamo indietro nel 1993. Ci troviamo in un periodo molto importante: l’anno precedente la mafia aveva ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il 15 gennaio 1993 viene arrestato Totò Riina, il boss dei boss. Per l’Italia è una vittoria e la gente inizia a tirare un sospiro di sollievo, ma la mafia ha risorse, è forte, è potente e reagisce mostrando all’Italia e al mondo intero di cosa è veramente capace. È la notte tra mercoledì 26 e giovedì 27 maggio 1993 e ci troviamo a Firenze in via dei Georgofili, una strada che accosta il museo degli Uffizi, per capirci, e che tutt’oggi porta i segni di quella terribile notte. Lì i mafiosi hanno parcheggiato un furgoncino (un Fiat Fiorino). A Prato lo avevano imbottito con più di 250 chili tra tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina. Una miscela esplosiva devastante. Sono le 01:04 e BOOM!!! all’improvviso Firenze si sveglia. All’inizio nessuno capisce quale tragedia sia avvenuta: il 25% delle opere custodite nella Galleria degli Uffizi viene danneggiata gravemente, abitazioni e palazzi interi completamente distrutti. Ci sono quarantotto feriti e cinque morti tra cui Dario Capolicchio, uno studente universitario di ventidue anni (bruciato vivo) e la famiglia Nencioni tra cui: Angela Fiume, Fabrizio Nencioni e le loro due figlie. La più piccola si chiamava Caterina. Sapete quanti anni aveva? Forse 17? No! Forse 13? No! Forse 10? No! Forse 7? No! Forse 3? No! Allora 1? No, 50 giorni, non aveva neanche due mesi di vita. Il suo corpicino fu ritrovato tra le macerie del palazzo in cui abitava. L’intervento dei vigili del fuoco e dei medici fu completamente vano. Le vite di queste vittime, di queste persone innocenti e comuni sono state totalmente stravolte e cancellate. Erano persone normalissime di circa la nostra età e dell’età che potrebbe avere un nostro fratello o sorella o cucino o cugina o noi stessi: la 1069esima vittima aveva diciotto anni, si chiamava Francesco Pio Maimone ed è stato ucciso da un proiettile vagante il 20 marzo 2023 mentre si trovava casualmente sul lungomare di Napoli.                                                                                                               

Spesso cadiamo in due principali errori:

Il primo è quello di catalogare la mafia come una questione del Sud. Magari fosse così! La mafia esiste e logora il nostro paese da oltre un secolo e mezzo. In centocinquant’anni non siamo riusciti ad ucciderla e, come dice il detto “ciò che non uccide, fortifica”, la mafia ha messo radici molto in profondità in tutto il nostro territorio ma soprattutto all’estero: sia in Europa che in America. Ci sono decine, centinaia di crimini che sono stati commessi e che sono commessi tutt’oggi dalla mafia. Se vi può interessare un esempio clamoroso è la strage di Duisburg, in Germania. È talmente tanto radicata e presente nelle nostre vite che ci abbiamo fatto l’abitudine ormai. In Veneto sono presenti le mafie? Certo che sì. L’Università di Padova ha stimato che 30mila aziende venete siano nell’area di interesse della mafia. Come agiscono? Praticano uno dei mestieri più antichi: l’usura. Prestano soldi ad aziende in difficoltà con tassi d’interesse elevatissimi (fino al 600%). Quando l’imprenditore non è in grado ripagare il prestito, è obbligato a cedere la sua azienda che finisce inesorabilmente nelle mani mafiose. E nel nostro territorio? Nella bassa Padovana? Ovvio. Avevate dubbi? L’anno scorso la guardia di finanza ha sequestrato beni appartenenti a William Alfonso Cerbo, un associato a Cosa Nostra, per un valore complessivo di 10 milioni e 700 mila euro. Dov’era la sua base operativa? A Este? A Monselice? No, Sant’Elena. Non credo neanche che ognuno di voi la conosca. (Informazioni prese dal giornale “La Sicilia”)

Il secondo errore è quello di sottovalutare la mafia. Solo perché non uccide da tempo in maniera palese non vuol dire che siano in crisi. Al contrario, la mafia è intelligente, è furba e in tutti questi anni si è evoluta ramificandosi soprattutto nei settori più redditizi: edile, finanziario e immobiliare.

Ora, non che non abbia fiducia nella vostra memoria, ma credo ciò che ho scritto fino ad ora rimarrà nei vostri ricordi al massimo per qualche giorno o qualche settimana a voler esagerare. Tra un anno, quando uscirà un altro articolo per questa ricorrenza (sicuramente scritto meglio del mio), la maggior parte di voi sarà tornata in quel 75% di giovani che non conoscono questa giornata. È normale? Lascio a voi rispondere. 

L’ultima cosa che vi racconto è il motivo per il quale è stato scelto il 21 marzo come “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”. Il motivo è filosofico e semplice: con l’inizio della primavera si simboleggia la speranza della rinascita di un Paese libero, guarito dal cancro chiamato mafia. 

Grazie dell’attenzione

Federico Roberto 4AS, ringrazio i professori Roberto Cascio e Guido D’Alessandro per i loro preziosi consigli.

21/03

art.21 Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione nei limiti del rispetto altrui.”


Le discriminazioni razziali e religiose hanno un impatto devastante sulle società di tutto il mondo, tracciando una storia di ingiustizia, oppressione e conflitto. Tuttavia, dietro le battaglie contro queste forme di discriminazione si celano storie di resistenza, coraggio e vittorie che hanno plasmato il corso della storia umana. La storia delle discriminazioni razziali è segnata da periodi oscuri di schiavitù, segregazione e violenza contro persone di diversi gruppi etnici e razze. Le lotte per i diritti civili, come il movimento per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti, hanno dimostrato la determinazione nel combattere l’ingiustizia e ottenere significativi progressi verso l’uguaglianza di diritti e opportunità.
Ad esempio, durante l’era della schiavitù negli Stati Uniti, milioni di africani furono brutalmente sfruttati e trattati come proprietà. La segregazione razziale, come le leggi Jim Crow, ha istituzionalizzato la discriminazione contro gli afroamericani, limitando i loro diritti civili. Inoltre, l’Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale è un triste esempio di discriminazione razziale estrema, in cui sei milioni di ebrei furono sterminati dai nazisti a causa della loro origine etnica.
Questo genocidio ha lasciato un’indelebile cicatrice nella storia umana, evidenziando gli orrori della discriminazione razziale portata all’estremo.
Tuttavia, la lotta continua, poiché il razzismo persiste in molte parti del mondo, richiedendo un impegno costante per promuovere la diversità, l’inclusione e la giustizia. Allo stesso modo, le discriminazioni religiose hanno lasciato un segno indelebile nella storia umana, alimentando conflitti e persecuzioni in tutto il mondo. Dall’inquisizione alle persecuzioni religiose moderne, le persone hanno subito discriminazione e violenze a causa delle proprie credenze spirituali. Tuttavia, la storia è anche arricchita da esempi di tolleranza, rispetto e coesistenza pacifica tra diverse comunità, evidenziando il potere della compassione e della comprensione nel superare le divisioni religiose. È essenziale comprendere che dietro ogni individuo, indipendentemente dalla razza e dalla religione, si nasconda una persona con un cuore, dei sentimenti e delle emozioni. Il rispetto per la diversità e la consapevolezza della nostra umanità comune sono fondamentali per promuovere la pace, l’armonia e la solidarietà tra i popoli. Non giudicare gli altri in base alla loro apparenza o alle loro convinzioni, ma piuttosto abbracciare la ricchezza della diversità umana e lavorare insieme per costruire un mondo in cui tutti possono essere accettati e rispettati per chi sono.
In conclusione, combattere le discriminazioni razziali e religiose richiede un impegno collettivo per la giustizia, l’uguaglianza e il rispetto reciproco.


È attraverso la comprensione della storia delle lotte e delle vittorie contro queste forme di discriminazione che possiamo trarre ispirazione per un futuro in cui l’unità e la fratellanza prevalgono sulle divisioni e sull’odio.


– Rigotti Angelica 3ASA

Scleranthus

“Per coloro che soffrono molto per l’incapacità di decidere fra due cose, considerando
giusta ora una ora l’altra, in particolare quando sono posti di fronte a due alternative
contrarie; per coloro che manifestano una carenza di equilibrio, data dalla loro
costante incertezza, celando notevoli conflitti interiori.”

Non credo sia veritiero affermare che da tutte le cadute ci si può rialzare. Può accadere di scivolare e poi alzarsi tranquillamente, dimenticandosi dell’accaduto, oppure di ammaccarsi un gomito, di sbucciarsi un ginocchio, di rompersi una gamba. Tutte ferite che con il tempo e con la cura possono cessare d’esistere, come è risaputo. Colui che si è scalfito dunque, anche se prova una dolorosa fatica, cerca in qualche modo di tirarsi su come gli è possibile e di raggiungere i soccorsi il prima possibile.

Se invece però si sprofonda in una stretta gola vertiginosa, soffocante e tetra da far perdere il senno, nulla si può fare per migliorare la situazione se non lasciarsi sopprimere dall’atmosfera di disperazione generale. Aspettando, in un primo momento con riluttanza, che qualcuno s’affretti ad accorgersi della scomparsa.


Quando nessuno si presenta, la realizzazione della scomoda verità viene alla luce e scalfisce come una lama affilata, che si ritorce nel petto mossa dal rancore. Prima appare rimorso, poi viene oppresso dal terrore, dalla paura di non riuscire a sopravvivere con le proprie forze, di non respirare mai più l’aria esterna che sa di
libertà. Così il corpo inizia a fremere, a sudare, a contorcersi in preda all’angoscia, perché viene al corrente del fatto che ogni tentativo è vano, che nemmeno graffiando le pareti di roccia fino a staccare le unghie si riuscirebbe a risalire da quella pozza di sconforto che dimostra la sua superiorità naturale. Si fanno grandi respiri, si cerca di calmare la mente sferzata dalla follia riportandola alla lucidità del riposo, eppure ciò è
impossibile da ottenere, in quanto l’irritante idea della speranza è sempre presente e non abbandona mai nessuno di noi. Si è divisi da due sentimenti contrastanti, da due correnti opposte che con la loro voce creano un frastuono tale da portare a desiderare un’infinita quiete che possa durare in eterno. Non sempre queste due emozioni sono qualcosa di intollerabile, spesso si associano a concetti semplici, come l’impegnarsi o il riposarsi, la perfezione e l’imperfezione, l’audacia e il timore.


Quelli che conosco meglio personalmente sono il vuoto e il pieno.


Il tutto e il niente, la presenza e l’assenza.


Il vuoto è una sensazione incredibilmente subdola, che si insinua all’interno dell’anima come una serpe indiavolata e inizia a nutrirsi di ciò che trova, riducendo al minimo ogni risorsa, privando d’ogni ricchezza interiore. L’attimo in cui ci si fa sopraffare da questo è quello in cui la negativa leggerezza lascia un quesito spinoso al nostro cervello. Che significato ha una vita senza un contenuto da elaborare, senza una base solida dalla quale partire? La risposta viene ricercata nel ripristino immediato ed avido della materia, temendo questa possa sparire come ha fatto in precedenza.
Eppure, una volta sazi, l’effetto tanto atteso non si presenta, anzi, lascia solo una gravosa pesantezza che si riflette sulla propria percezione. Ancorati al presente da un fardello insormontabile, cancellabile solo tramite la sua eliminazione totale.
Il cerchio ricomincia, ripetendo in successione questi due stati contrastati che lasciano solo una continua pena, la quale sembra non terminare mai. Ed i tormenti della mente prima o poi si proiettano su quelli della carne, coinvolgendola inevitabilmente nella propria afflizione. Nasce anche dalla frequente e banale noia, dalla sottile preoccupazione di non avere un vero e proprio significato in un mondo vasto e vario, dove vivono tante personalità forti dai numerosi talenti. Per colmare il buco s’ingerisce voracemente tutto ciò che si trova senza criterio, senza distinzione, spinti dall’unico desiderio di sentirsi pieni e realizzati. Tuttavia le conseguenze non si possono evitare, e neppure ignorare. Il peso ingente limita in ogni suo lato ed occupa con egoismo tutto lo spazio possibile, accumulandosi sempre di più ed occludendo anche le vie che dovrebbero essere lasciate libere. Arriva allora la necessità di lasciarsi cedere, di svuotarsi, di infilare due dita in bocca e farle scendere il più possibile giù per la gola, di rigurgitare il tutto, di rigettare non solo l’eccesso, ma anche l’essenziale. Infine, solo l’infelicità di una volontà tesa e in procinto di rottura a causa di due forze dalla stessa natura distruttiva.


Basterebbe solo raggiungere una stabilità, un equilibrio adatto tale da soddisfare, anche solo in minima parte, la fame umana di compiacimento personale. Malgrado ciò, anche l’armonia indica uno stato di staticità controproducente.


Nemmeno la sazietà potrà portarci alla pace interiore.


Non ce ne libereremo mai.


Non me ne libererò mai, e consumerò in eterno nel fondo di quella gola.

– Valentina Grigio, 3BL

15/03

“Ciao, ti va se sabato usciamo? È da tanto che non ci vediamo. Magari facciamo un giro dove vuoi tu, dopo scuola, e poi stiamo in giro come al solito fino a sera se ti va”


“per me va bene, avviso i miei ma in teoria mi lasciano sì…”


Sabato
“Io ho fame e infatti ora credo mi prenderò qualcosa da mangiare, però mangi anche tu eh,
così mi fai anche compagnia”
Come glielo spiego, non glielo spiego…
Non saprei nemmeno come farlo. Far vedere cos’ho dentro realmente, farebbe paura forse.
Io faccio paura. Come sono finita così?
Vabbè ora non c’è tempo per pensarci, devo dire qualcosa sennò sospetterà che forse sto pensando troppo, e nel mio silenzio c’è qualcosa che non va.
“Ho mangiato tanto stamattina a colazione, poi oggi a merenda i miei compagni di classe hanno portato del cibo e direi che ho mangiato anche abbastanza. Sono apposto io, però ti accompagno pure a prendere qualcosa.”


“Sicura?”


“Sì, tranquilla”


Ogni giorno controllo che il mio polso sia diminuito di circonferenza, testo sempre se riesco a farci passare un dito o più nello spazio che si crea quando cerco di afferrarlo con una mano.
Se non ci passa mi arrabbio, non so bene il perché, o forse sì…
Ogni mattina verifico che io sia rimasta ad almeno dei chili in meno dal giorno precedente.
Se non è così, mi metto a fare ginnastica in camera, oppure vado a correre.
Solo il pensiero che possa anche questa cosa sfuggirmi di mano, non lo riesco a sopportare.
Vorrei avere almeno una cosa sotto controllo in mezzo a tutto il caos che mi sento attorno…”


“Se prima era l’autolesionismo a placare un qualcosa che non riuscivo più a tenere dentro, ora si è tramutato in qualcos’altro…
Non so come ci sono finita qui. Ormai è diventata routine.
Il cibo è “mio amico”. Quando mi sento sola, quando vorrei farmi del male, quando c’è qualcosa in me che sembra essere ingestibile, io so di avere un amico al mio fianco…
È lì, lui non se ne va mai.
Mi accompagna nei pianti, quando sono nervosa.
Quando sento che non vorrei essere qui, essere viva…
Rido e continuo a mangiare. Mi abbuffo di cibo, tanto ormai sono grassissima. La mia autostima è a pezzi, a cosa serve che io mi preoccupi?”
“Non voglio guardarmi, devo solamente passare davanti allo specchio velocemente senza riuscire a guardarmi anche solo per un pò. Non riesco…
Sono io quella? Dio, quanto faccio schifo. Perché l’ho fatto. Perchè ho mangiato così tanto oggi? Devo consolarmi con qualcosa. Ho bisogno di qualcosa, mi manca qualcosa. Ecco trovato, nella dispensa dovrebbero esserci degli altri biscotti…”


I disturbi del comportamento alimentare (DCA), non sono capricci. Sono patologie e disagi di natura psicologica. Se ritieni e ti accorgi che avresti bisogno di aiuto, o ti rendi conto che qualcuno ne avrebbe bisogno, non aver paura di chiedere aiuto. È importante, tu sei importante, tutti noi lo siamo…

– Anonimo

#ColoriamociDiLilla

Ammasso di voci opprimenti,
pitturano lacrime che celano infiniti tormenti.


Una lotta morbosa
contro quella creatura schifosa,
che si nutre di un mito incessabile e persistente,
mi tormenta continuamente.


Un largo maglione mi copre,
per soffocare quella voce mediocre;
voce che tutti possono ascoltare,
che nessuno osa mutare.
– Rigotti Angelica 3ASA

15 Marzo

Prima di scrivere questo,volevo avvertirvi tutti che questo è un argomento estremamente sensibile ed estremamente personale.

79,198,560 calorie,sempre in testa,ad ogni momento del giorno e della notte.

Non c’è modo di non pensarci,il pensiero è sempre li.

Essere magri,essere belli,essere accettati per come si è, anche se ritenuto impossibile

Perché non ci si riesce a vedere belli o anche accettabili.

Saltare I pasti,troppo esercizio,dimagrimento estremo oppure no.

Questi sono i segnali visibili,ma quelli dentro se stessi,i divieti,i riempimenti,le punizioni,quelle non sono visibili.

Per descriverli pienamente servirebbero mesi,ma con questo vi chiedo di trattare le persone con disturbi alimentari con una delicatezza particolare,magari con delicatezza maggiore di quella con cui trattereste tutti.

Non potete mai sapere cosa sta passando nella testa di una persona.

– Anonimo

Convivere con un mostro

Mi sveglio, mi alzo dal letto e come ogni mattina mi dirigo verso il bagno. Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo; tiro fuori la bilancia, non sono ancora arrivata al mio obiettivo. Mi vesto, salto la colazione e vado a scuola, mi gira la testa ma ormai è abitudine, la pancia brontola da vuoto ma è una sensazione bellissima. A merenda mi nascondo in bagno, non voglio che nessuno mi veda mentre mangio il frutto. I sensi di colpa iniziano a farsi sentire, devo muovermi. A casa salto il pranzo, studio e cammino, ho male i piedi ma non posso fermarmi, devo anche andare in palestra. Torno da palestra, vado a letto e so che il giorno dopo sarà uguale. I medici sono preoccupati, non mi interessa, si stanno sbagliando, io sto bene, posso spingermi oltre. La dietista mi ha dato i nutri drink e spero che mamma non si accorga che li butto. Va tutto bene fino a che un giorno svengo a scuola e mi risveglio in ospedale con il sondino e le flebo. Non posso muovermi, mi sposto con la sedia a rotelle. In camera ho una ragazza che ha il problema contrario al mio, sono tanti anni che è dentro a questa malattia. Mi dispiace è una persona così dolce, le voglio bene, è speciale. Uscita dall’ospedale mi mandano in comunità, ci sto per tanti tanti mesi, non vedo i miei genitori mi mancano tanto però so che mi sostengono e che ogni mio piccolo traguardo è per loro una felicità enorme. In comunità conosco Niki, è una ragazza che soffre di anoressia nervosa atipica, è normopeso e quindi non è stata presa in considerazione per troppo tempo; i suoi esami sono critici, lei sta male. Un giorno vengo a scoprire dalle infermiere che Niki non ce l’ha fatta; il mio dolore è talmente forte che torno a isolarmi, continua ricadute, tentati suicidi, tagli sulla pelle, non voglio più vivere. Il peso scende, mi rimettono il sondino, smetto di bere, sto lasciando alla malattia di prendersi tutto di me. Torno a casa dopo mesi e scopro che anche la ragazza che era con me in ospedale non ce l’ha fatta. Capisco che così non posso continuare, oggi inizia la mia rinascita.

I disturbi alimentari non hanno un peso, si può stare male a qualunque BMI, però purtroppo si prendono in considerazione solo le persone sottopeso. I DCA sono malattie mentali e come tali non hanno un aspetto estetico, ci vuole tanta forza e un lavoro d’équipe per poter andare contro alla patologia. Non sono i numeri di ricoveri, l’avere o no il sondino, l’aver perso tanto peso o avere continue abbuffate per determinare la gravità di una persona. Tutti sono importanti e hanno bisogno di attenzione e di un percorso strutturato in maniera soggettiva. I casi sono in continuo aumento, ma le liste di attesa per la prima visita sono lunghissime; purtroppo l’ignoranza a riguardo è ancora tanta e troppo spesso le persone con DCA sono considerate capricciose. Non è così anzi, il disagio psicologico che è dentro ogni persona con disturbi alimentari è tanto e a volte anche un solo “ti sono vicina” è importante. C’è bisogno di un cambiamento, di una presa di coscienza e di vicinanza verso coloro che ogni giorno si svegliano e soffrono in silenzio. Il 15 marzo è la giornata del fiocchetto lilla ossia la giornata di prevenzione per i disturbi alimentari. Di DCA si può morire, facciamo in modo che non accada più, riduciamo le liste di attesa, siamo più vicini a coloro che soffrono, sosteniamoli, solo così possiamo fare la nostra parte.

– Giada Gambalonga, 5AL

NOI

Noi, così distanti.
“Perché?” mi domando.
Attimi ansanti,
Pieni di dolore,

mi alzo urlando.
Nel cuore del tuono
C’è solo una risposta
È la mia eco
Che dolcemente vaga.
“Perché?”
Urlo al vento
“Dimmi almeno il perché…”
Singhiozzando, attendo.
Ma una risposta mai ci sarà
Destinate ad un legame che finirà
Migliore Amicizia la definivamo
E ora guarda che cosa siamo:
Stranieri
Con un passato comune
Sconosciuti
Con esperienze condivise
Estranei
Permeati di apatia
Incubi erranti
Tra le correnti, in balìa
Della tempesta
Che ci porta via.