Scrittura 01

Vivo dietro una maschera. Ho paura del mondo, ho paura di me stessa. La mia maschera mi
protegge dagli altri, e protegge gli altri da me. È come una barriera che mi isola dal mondo, e
isola esso da me. Tengo tutto dentro, nel piccolo mondo che mi sono creata. Nessuno
conosce la vera me, nemmeno io la conosco. Solo la mia maschera sa chi sia veramente.
La mia maschera recita il ruolo della ragazza gentile, premurosa ed educata, ma da dietro
contengo la rabbia per tutte le ingiustizie, l’abbandono e le prese in giro. La tengo isolata
perché il mondo non è pronto ad accogliere il mostro che ha creato. Non è pronto ad
accettare il demone che si cela dietro ad un angelo.

Luci spente

Dal treno ciò che si vede sono piccole valli con alberi. Casette qua e là che spuntano fuori a piccoli gruppetti.

Chissà quando arriveremo, in questo posto molto atteso…

La sera qui fa freddo, però le luci illuminano la città.

Abbiamo ancora tanta strada da fare a piedi, ma se ti giri e ti guardi attorno, te ne dimentichi quasi.

Stasera la città sembra spenta, il divanetto sul quale sono seduto non è più illuminato dalle luci che prima lo illuminavano, però qualcosa c’è. Parte Calcutta, poi Battisti…

Chissà se questo posto si ricorderà. Di quelle canzoni cantate per strada senza farsi problemi. Se un giorno, resteranno ancora al buio quei divanetti, tra qualche scambio di parole che si sono messe a prendere il volo per un po’.

Anonimo

Poison

Sono solo un’ombra per le strade
e il tuo dolce aroma mi invade:
non posso più scegliere.


Dammi tutto il tuo veleno
non ne sono mai sazio.


Eccoti, con i tuoi occhi rossi bramosi
di qualcosa che potrei (ma non ti voglio) dare
Tu con quegli occhi lussuriosi:
Mi lascerai mai andare?!


Dammi tutto il tuo veleno:
lasciamo la nostra eccitazione fare ciò che le piace!
Dammi tutto il tuo veleno:
non ne sarò mai sazio!


Lascerò le tue dita scorrere dentro me
lacerandomi,
scarnificandomi,
Corrompendomi.


Mi dai tutto il tuo veleno,
Ma io sto esaurendo lo spazio.


Io ti imploro,
Basta col veleno!
Non vedi,che ne sono pieno?!


Ma tu non vuoi vedere,
Ti piaccio solo quando sono in catene…
Sto diventando troppo bravo
a tenere questa maschera che copre il mio viso…


Eccomi in ginocchio
Faccio il gattino davanti a te
Anche se dal dolore che mi arrechi io ringhio:
Non mi lascerai mai andare…


Sto annegando nel tuo veleno,
anche se vorrei farne a meno.


Sto annegando nel tuo veleno,
lo spazio per il vero me sta svanendo
e lentamente mi stai uccidendo…


Warr;or

Scrittura 08

Le maschere ci fanno sembrare diversi
Da quello che siamo in realtà
Ci fanno nascondere i nostri sentimenti
E la nostra personalità

Le maschere ci fanno vivere in menzogna
Ci fanno seguire una falsa morale
Ci fanno rinunciare alla nostra dignità
E alla nostra libertà individuale

Ma noi possiamo liberarci dalla maschera
E mostrare il nostro vero volto
Possiamo vivere secondo la nostra coscienza
E seguire il nostro cuore e il nostro sogno

Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi
E di mostrare al mondo la nostra bellezza
Dobbiamo avere il coraggio di essere diversi
E di mostrare al mondo la nostra ricchezza

Grazie.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 05

Semplicemente a volte indossiamo delle maschere, le indossiamo perché abbiamo paura di ciò che ci circonda e di quello che potrebbe accadere se le togliamo.
Immaginiamoci sopra ad un palco, come degli attori di successo di uno spettacolo, la vita, noi ne siamo protagonisti e decidiamo quale delle nostre svariate maschere indossare, c’è ne sono migliaia, una per ogni occasione, a volte però un attore ha bisogno di mostrare il suo vero lato per avere successo e di non nascondersi celandosi dietro un insulso costume , che lo rende totalmente diverso da quello che lui è ; perciò togliamoci questa maschera e mostriamoci al mondo per quello che siamo, strani, belli, brutti, simpatici, antipatici, perspicaci, intelligenti e soprattutto coraggiosi.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

La solitudine

Le quattro cause aristoteliche

“La parola causa si usa in 4 sensi, di cui uno è che diciamo causa la sostanza e l’essenza, ma un altro la materia e il sostrato; un terzo quello da cui viene il principio del movimento, un quarto la causa contrapposta a questo ossia il fine.”
Marmo: causa materiale.
Soggetto: causa formale.
Scultore: causa efficiente.
Ammirazione: causa finale, motrice.
Aristotele sosteneva fermamente che, trovando queste quattro cause, si potesse definire il mondo, che bastassero a sapere tutto quello che serve su qualsiasi cosa. Trasferendo questo modello nella concretezza si nota come i primi tre fattori siano facilmente identificabili e strettamente legati, dipendenti l’uno dall’altro; per il quarto invece la questione si complica, l’analogia non risulta altrettanto evidente. La causa finale è discorde, si cela nell’ombra delle altre tre, ma in realtà è l’unica in grado di attivare la potenzialità della materia, della forma e del principio. Non è oggettiva. Una statua può essere ammirata, venerata, esposta, studiata, interpretata, può far commuovere, può allo stesso tempo disturbare. Diversi sguardi, diversi fini.
Ragionando su questa immortale teoria filosofica risulta quasi banale comprendere come qualsiasi oggetto o essere esista solo in relazione alle sue cause, e soprattutto in relazione al suo scopo. Una statua si può chiamare statua che sia in bronzo, in marmo o in terracotta; si può chiamare statua nonostante assuma forme di soggetti e personaggi diversi, si può chiamare statua indipendentemente dal suo autore, ma cosa sarebbe una statua chiusa in una stanza buia? Cosa sarebbe un Monet senza occhi che lo contemplino, un ballerino senza applausi, un attore senza teatro, uno scrittore senza penna. Perché si sente spesso dire “questo posto è casa”, oppure “gli amici sono la mia casa”? Perché il fine della casa, non è avere un tetto e un pavimento, ma è dare
sicurezza, conforto, intimità.
Per me un uomo solo è un uomo che ha perso la sua causa finale.
Un uomo che non trova più il suo scopo e lo cerca come si fa con il telecomando della televisione, o le chiavi della macchina; lo cerca disperatamente, ma non lo trova mai nonostante sia sotto ai suoi occhi. E più lo insegue, meno speranze ha di farcela. “Credo che sia questa la prima solitudine, il non sentirci utili”, il non avere più quella forza motrice in grado di spingerci a vivere. Non siamo mai del tutto soli. Abbiamo un compagno fisso, il nostro fine, che rincorriamo imperterriti. A volte però inciampiamo in altre vite e allora ne inseguiamo uno diverso, altre invece cadiamo per terra e lo perdiamo nell’intento di rialzarci. Questi sono i veri momenti di solitudine che spesso vengono fraintesi e definiti come mancanza di compagnia. In realtà credo che l’assenza di attenzioni, l’esclusione, la lontananza, possano generare solitudine, ma non siano da confondere con essa.
“Noia, nulla è così insopportabile all’uomo come essere in pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente allora la sua nullità, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto”. Stare soli genera noia, noia genera solitudine. Noia vista come sentimento di inutilità e vuoto. “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”. La solitudine di Montale non è soltanto quella di aver perso la moglie, ma quella di aver perso il suo scopo ossia amarla, prendersene cura, porgerle il braccio indipendentemente dalle difficoltà, indipendentemente dal numero di gradini.
La solitudine è qualcosa di strettamente legato a noi stessi, alla relazione che creiamo coi nostri pensieri, al rapporto perpetuo che c’è tra “me” e “io”, non tra “me” e “voi”. “La solitudine non è un albero in mezzo a una pianura sconfinata, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia”, tra parti diverse di uno stesso insieme, tra il cuore e la mente, tra i pensieri e le azioni, tra il sopravvivere e il saper distinguersi.
La solitudine non è una barca in mezzo al mare, ma una barca senza equipaggio. Non è una lettera non letta, ma una lettera non inviata. È una bocca che non vuole parlare e una mente che non sa pensare. Non è un addio, ma è un saluto carico di rimpianti. Non è uno strumento musicale lasciato in un angolo, ma un violino non accordato. Non è un “ti amo” tremante proferito nel silenzio, ma è un “ti amo” mai detto. Non è uno “scusa” sussurrato, ma è un perdono mancato.
La solitudine non è un uomo solo, ma un uomo senza scopo.

Scrittura 02

Penso che anche se apparenza e realtà siano 2 cose completamente
diverse, abbiano in fondo un legame comune: entrambe possono essere
interpretate.
L’ apparenza viene creata dal nostro subconscio, dal nostro modo di
pensare e anche se pensata per un certo scopo può ottenere risultati
totalmente contrastanti tra loro.
La realtà, anche se definita oggettiva, può essere letta in mille modi diversi.
Come possiamo sapere con quale criterio viene definita oggettiva?
Le maschere che ognuno di noi costruisce, perché sì, anche le persone più
sincere possiedono varie maschere, sono apparenti, quasi definibili da
copione.
Non vengono costruite per una questione di falsità, ma più per un fatto di
sopravvivenza pacifica.
Tanto più una persona riceve degli obbiettivi da raggiungere, delle
aspettative, tante più maschere crea per non deludere gli altri.
Tanti più ambienti frequentiamo, tanti più amici abbiamo, tante più
maschere saranno.
Ognuno di noi crea apparenze diverse con persone diverse, ma come.
facciamo a riconoscerci per quelli che siamo veramente?
Penso che siamo un po’ un insieme di tutte le maschere, le apparenze che
creiamo.

Pirandello sosteneva questa sua idee delle persone che indossano
maschere adattabili a ogni situazione, e io concordo con lui.
Quindi, direi che ognuno possiede un po’ la sua realtà, dove può
trascorrere le giornate in pace e in serenità.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 14

Io credo che oggi la società impone di pensare che sia più importante far credere di star
bene nei panni di altri, per questo fingersi a proprio agio in atteggiamenti di moda, a tal
punto da perdere chi si è realmente.
Non capivo se ero me stessa, finché non mi hanno iniziano a denigrare per come mi vestivo,
per il mio punto di vista o perché non ero come loro… ma il mio tentativo di comportarmi
“come loro” mi faceva male, mi annullava e quindi non mi stava bene addosso non lo sentivo
mio perché non mi era naturale.
Mi avevano chiesto perché non ero come le altre, direi che è perché non so fingere di essere
omologata come “le altre”.
Un giorno guardando un film ho sentito una risposta a cosa dicono del tuo stile in giro: ‘Un
po’ di offese e insulti, certo. Ma amo dire che “normale” è l’insulto peggiore che esista…’.
Decidi di essere normalmente te stesso sempre e fregatene qualsiasi cosa accada non
cambiare mai, perderesti “solamente” te stesso… che pensandoci “solamente” non è.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

POZZANGHERE

“Ma fai rumore, sì. Che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te”, dice Diodato in una delle sue canzoni.

Il silenzio è bello, però c’è una sorta di limite credo. Questo, arriva quando si inizia a sentire un vuoto. 

Ma non il solito, no.

Non è quel tipo di spazio che si è creato e di cui si sente quasi il bisogno di riempirlo. O anche accettarlo a volte…

Ma fa male.

Fa male

Fa male

Fa male

Male, come quando cerchi di guardarti allo specchio e non ti riconosci. 

Ti guardi negli occhi e non vedi nulla. E se ti va bene, diventano lucidi e poi piangi. Ma è raro che succeda.

È difficile anche quello. Anche piangere all’esterno a volte…

“Diamo da bere” a queste pozze d’acqua, non è abbastanza. Non sgorga ancora acqua, deve arrivare al limite. No?

Vorrei essere leggero. Vorrei saper dire delle cose che non so dire, senza aver paura. Vorrei correre per poi cadere. Rialzarmi, ma prima di farlo stendermi per bene in una pozzanghera e nel mentre aiutarla a riempirsi. 

Poi però, rialzarmi come detto, e correre nuovamente. Girare su me stesso fino a quando non mi girerà la testa e inizierò a sorridere come un cretino, come quando di solito lo faccio. 

Magari urlare, magari condividere la solitudine…

Silenzio, devi startene zitto. Capito?

La libertà è per pochi, la libertà è scoprire di esser soli.

Le foglie cadono, e tu cadi come loro. 

Non lo vedi, ma a terra ci sei e non ti stai alzando.

Svegliati!

Beep beep beep beep (la sveglia che suona)

Pioggia silenziosa

Immagino la segreteria telefonica, i messaggi che non si inviano.
Il silenzio, il nulla…
Immagino te, e tutto questo.
Il mio silenzio.
Sono sparito, ma ora eccomi qui.
O forse, ora sono nuovamente diventato il silenzio. Non più quel tipo di vuoto
necessario al tempo, ma quel
niente insignificante nonostante io sia qui questa volta. Non è volontario. Forse, è diventato reale. Quello
spazio necessario di silenzio assordante…
Non ha mai smesso di piovere in questa stanza. Come non ho mai smesso di aspettarla, la pioggia, per
piangere assieme a qualcosa che non fosse una persona.
De André dice: “C’è chi aspetta la pioggia
Per non piangere da solo”
Chissà quante altre persone la aspettano…
I Ricordi, possono riprendere vita da qualche altra parte a noi ignota?
Se è così, vorrei solamente essere per un attimo una persona esterna ai miei ricordi, per guardarli un’ultima
volta da fuori.
Non voglio riviverli in prima persona, no. Perché sennò non sarebbero quel che sono stati.
Non è possibile però, è solo una cosa troppo malinconica accompagnata dalla mancanza di qualcosa forse.
Piangere, è liberatorio. Però, a volte la pioggia “arriva un po’ in ritardo” per farti compagnia nel mentre.
Quindi, non si aspetta più la pioggia per non piangere in solitudine. Piove e basta, anche senza di lei…

– Anonimo

Sei tornato

Sei tornato,

e con te è tornato anche il bisogno di scrivere.

Sarà perché sei in ogni pagina di questo quaderno,

sarà che l’ho cominciato quando sei entrato a far parte della mia vita,

sarà che quando te ne sei andato non ho più avuto nulla da scrivere.

Avrei potuto, tutto sarebbe andato bene.

Eppure non ne trovavo il senso.

Ho continuato a scrivere,

a disegnare,

a ballare ad occhi chiusi.

Diversamente,

con altre persone,

con vuoti dentro differenti.

Sei tornato,

ed è tornato questo spazio che, come facevo con te, ogni tanto mi fermavo a riguardare.

Pensando a com’era averlo sempre con me,

a come mi sentivo libera aprendomi,

sapendo che non sarei stata giudicata.

Sapendo che sarei stata ascoltata in questo silenzio,

forse non più troppo rumoroso, perché ora sappiamo.

Ciò che serve.

Ci manchiamo.

Quello che non sai è che queste pagine vuote,

il vuoto che hai lasciato,

non l’ho mai voluto riempire.

Ed è rimasto qui,

ad aspettarti.

Un po’ come ho fatto io.

Sperando un giorno di essere riempito ancora.

blu, 12

15/03

“Ciao, ti va se sabato usciamo? È da tanto che non ci vediamo. Magari facciamo un giro dove vuoi tu, dopo scuola, e poi stiamo in giro come al solito fino a sera se ti va”


“per me va bene, avviso i miei ma in teoria mi lasciano sì…”


Sabato
“Io ho fame e infatti ora credo mi prenderò qualcosa da mangiare, però mangi anche tu eh,
così mi fai anche compagnia”
Come glielo spiego, non glielo spiego…
Non saprei nemmeno come farlo. Far vedere cos’ho dentro realmente, farebbe paura forse.
Io faccio paura. Come sono finita così?
Vabbè ora non c’è tempo per pensarci, devo dire qualcosa sennò sospetterà che forse sto pensando troppo, e nel mio silenzio c’è qualcosa che non va.
“Ho mangiato tanto stamattina a colazione, poi oggi a merenda i miei compagni di classe hanno portato del cibo e direi che ho mangiato anche abbastanza. Sono apposto io, però ti accompagno pure a prendere qualcosa.”


“Sicura?”


“Sì, tranquilla”


Ogni giorno controllo che il mio polso sia diminuito di circonferenza, testo sempre se riesco a farci passare un dito o più nello spazio che si crea quando cerco di afferrarlo con una mano.
Se non ci passa mi arrabbio, non so bene il perché, o forse sì…
Ogni mattina verifico che io sia rimasta ad almeno dei chili in meno dal giorno precedente.
Se non è così, mi metto a fare ginnastica in camera, oppure vado a correre.
Solo il pensiero che possa anche questa cosa sfuggirmi di mano, non lo riesco a sopportare.
Vorrei avere almeno una cosa sotto controllo in mezzo a tutto il caos che mi sento attorno…”


“Se prima era l’autolesionismo a placare un qualcosa che non riuscivo più a tenere dentro, ora si è tramutato in qualcos’altro…
Non so come ci sono finita qui. Ormai è diventata routine.
Il cibo è “mio amico”. Quando mi sento sola, quando vorrei farmi del male, quando c’è qualcosa in me che sembra essere ingestibile, io so di avere un amico al mio fianco…
È lì, lui non se ne va mai.
Mi accompagna nei pianti, quando sono nervosa.
Quando sento che non vorrei essere qui, essere viva…
Rido e continuo a mangiare. Mi abbuffo di cibo, tanto ormai sono grassissima. La mia autostima è a pezzi, a cosa serve che io mi preoccupi?”
“Non voglio guardarmi, devo solamente passare davanti allo specchio velocemente senza riuscire a guardarmi anche solo per un pò. Non riesco…
Sono io quella? Dio, quanto faccio schifo. Perché l’ho fatto. Perchè ho mangiato così tanto oggi? Devo consolarmi con qualcosa. Ho bisogno di qualcosa, mi manca qualcosa. Ecco trovato, nella dispensa dovrebbero esserci degli altri biscotti…”


I disturbi del comportamento alimentare (DCA), non sono capricci. Sono patologie e disagi di natura psicologica. Se ritieni e ti accorgi che avresti bisogno di aiuto, o ti rendi conto che qualcuno ne avrebbe bisogno, non aver paura di chiedere aiuto. È importante, tu sei importante, tutti noi lo siamo…

– Anonimo

#ColoriamociDiLilla

Ammasso di voci opprimenti,
pitturano lacrime che celano infiniti tormenti.


Una lotta morbosa
contro quella creatura schifosa,
che si nutre di un mito incessabile e persistente,
mi tormenta continuamente.


Un largo maglione mi copre,
per soffocare quella voce mediocre;
voce che tutti possono ascoltare,
che nessuno osa mutare.
– Rigotti Angelica 3ASA

15 Marzo

Prima di scrivere questo,volevo avvertirvi tutti che questo è un argomento estremamente sensibile ed estremamente personale.

79,198,560 calorie,sempre in testa,ad ogni momento del giorno e della notte.

Non c’è modo di non pensarci,il pensiero è sempre li.

Essere magri,essere belli,essere accettati per come si è, anche se ritenuto impossibile

Perché non ci si riesce a vedere belli o anche accettabili.

Saltare I pasti,troppo esercizio,dimagrimento estremo oppure no.

Questi sono i segnali visibili,ma quelli dentro se stessi,i divieti,i riempimenti,le punizioni,quelle non sono visibili.

Per descriverli pienamente servirebbero mesi,ma con questo vi chiedo di trattare le persone con disturbi alimentari con una delicatezza particolare,magari con delicatezza maggiore di quella con cui trattereste tutti.

Non potete mai sapere cosa sta passando nella testa di una persona.

– Anonimo

Convivere con un mostro

Mi sveglio, mi alzo dal letto e come ogni mattina mi dirigo verso il bagno. Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo; tiro fuori la bilancia, non sono ancora arrivata al mio obiettivo. Mi vesto, salto la colazione e vado a scuola, mi gira la testa ma ormai è abitudine, la pancia brontola da vuoto ma è una sensazione bellissima. A merenda mi nascondo in bagno, non voglio che nessuno mi veda mentre mangio il frutto. I sensi di colpa iniziano a farsi sentire, devo muovermi. A casa salto il pranzo, studio e cammino, ho male i piedi ma non posso fermarmi, devo anche andare in palestra. Torno da palestra, vado a letto e so che il giorno dopo sarà uguale. I medici sono preoccupati, non mi interessa, si stanno sbagliando, io sto bene, posso spingermi oltre. La dietista mi ha dato i nutri drink e spero che mamma non si accorga che li butto. Va tutto bene fino a che un giorno svengo a scuola e mi risveglio in ospedale con il sondino e le flebo. Non posso muovermi, mi sposto con la sedia a rotelle. In camera ho una ragazza che ha il problema contrario al mio, sono tanti anni che è dentro a questa malattia. Mi dispiace è una persona così dolce, le voglio bene, è speciale. Uscita dall’ospedale mi mandano in comunità, ci sto per tanti tanti mesi, non vedo i miei genitori mi mancano tanto però so che mi sostengono e che ogni mio piccolo traguardo è per loro una felicità enorme. In comunità conosco Niki, è una ragazza che soffre di anoressia nervosa atipica, è normopeso e quindi non è stata presa in considerazione per troppo tempo; i suoi esami sono critici, lei sta male. Un giorno vengo a scoprire dalle infermiere che Niki non ce l’ha fatta; il mio dolore è talmente forte che torno a isolarmi, continua ricadute, tentati suicidi, tagli sulla pelle, non voglio più vivere. Il peso scende, mi rimettono il sondino, smetto di bere, sto lasciando alla malattia di prendersi tutto di me. Torno a casa dopo mesi e scopro che anche la ragazza che era con me in ospedale non ce l’ha fatta. Capisco che così non posso continuare, oggi inizia la mia rinascita.

I disturbi alimentari non hanno un peso, si può stare male a qualunque BMI, però purtroppo si prendono in considerazione solo le persone sottopeso. I DCA sono malattie mentali e come tali non hanno un aspetto estetico, ci vuole tanta forza e un lavoro d’équipe per poter andare contro alla patologia. Non sono i numeri di ricoveri, l’avere o no il sondino, l’aver perso tanto peso o avere continue abbuffate per determinare la gravità di una persona. Tutti sono importanti e hanno bisogno di attenzione e di un percorso strutturato in maniera soggettiva. I casi sono in continuo aumento, ma le liste di attesa per la prima visita sono lunghissime; purtroppo l’ignoranza a riguardo è ancora tanta e troppo spesso le persone con DCA sono considerate capricciose. Non è così anzi, il disagio psicologico che è dentro ogni persona con disturbi alimentari è tanto e a volte anche un solo “ti sono vicina” è importante. C’è bisogno di un cambiamento, di una presa di coscienza e di vicinanza verso coloro che ogni giorno si svegliano e soffrono in silenzio. Il 15 marzo è la giornata del fiocchetto lilla ossia la giornata di prevenzione per i disturbi alimentari. Di DCA si può morire, facciamo in modo che non accada più, riduciamo le liste di attesa, siamo più vicini a coloro che soffrono, sosteniamoli, solo così possiamo fare la nostra parte.

– Giada Gambalonga, 5AL

NOI

Noi, così distanti.
“Perché?” mi domando.
Attimi ansanti,
Pieni di dolore,

mi alzo urlando.
Nel cuore del tuono
C’è solo una risposta
È la mia eco
Che dolcemente vaga.
“Perché?”
Urlo al vento
“Dimmi almeno il perché…”
Singhiozzando, attendo.
Ma una risposta mai ci sarà
Destinate ad un legame che finirà
Migliore Amicizia la definivamo
E ora guarda che cosa siamo:
Stranieri
Con un passato comune
Sconosciuti
Con esperienze condivise
Estranei
Permeati di apatia
Incubi erranti
Tra le correnti, in balìa
Della tempesta
Che ci porta via.

OSSESSIONE

Bella la scuola, vero? Soprattutto la nostra.

Tanti progetti, canzoni, iniziative, viaggi e professori simpatici. Porta gioia, in qualche modo. Io non riesco a staccarmene, è diventato fondamentale. Ti fa sentire grande essere al liceo, tanto che inizi a pensare solo a quello e alle persone che hai intorno. Abbiamo persino delle pagine Instagram dove trovarci. Ma poi peggiora, in modo inaspettato. Inizi a pensare a ciò che devi fare per domani e per il giorno dopo, alle persone che incontri, e poi ad una sola in particolare. E ti ossessioni.

Romaissaa Watki, 1AL

Funny Hell

i can still feel your hand on my knee,

while you talked to me.

and i can still see the way you looked

directly in my eyes

with that h0rny smirk on your face.

i still remember those ‘soft’ words:

“you’re so cute, lil girl”

the same words that changed my life.

that day was one year ago

and i still see you in every man i meet,

and i can’t help it but be terrified

at the thought of meeting you again.

the thought of you still keeps me up at night,

still makes me panic when i’m alone

it follows me at every step i do.

you scared the shit out of me,

just because you wanted a little bit of fun

and you created a ‘funny’ hell

i have to live with

every    single     day

– Anonimo