Ricordi indelebili

La mia testa grida morte

Il mio cuore urla forte,

Insieme aprono il solito dibattito,

Sai, ti dedico ogni mio battito,

Guardo la tua foto e ti parlo,

Mi sorridi ma non rispondi, non puoi farlo,

Esco,

Cammino lungo questa via illuminata,

Da questa leggera notte stellata,

Respiro, guardo il cielo qui su,

E tra tutte le stelle ci sei anche tu.

– Anonimo

Lui

Capisci che è finita

Quando in due occhi marroni

Vedi il mare

Quando non riesci

A staccarti dal suo sguardo

Quando ti accorgi che

Non puoi stare senza quel sorriso

Quando in quella felpa

Vedi voi due abbracciati

Capisci che è finita

Quando se un giorno manca

Diventi triste

Capisci allora che

Ti sei innamorata di lui.

– Anonimo

La Rondine

Una rondine stava tornando al suo nido…

Già immaginava il lieto benvenuto che le avrebbero riservato i suoi piccini!

Non aspettava altro, da tutto il giorno,

da ore la sua mente era catapulta al rivedere i suoi piccoli.

Era rimasta in pensiero tutto il giorno, come ogni volta che va a cacciare:

parte la mattina, sta via il meriggio, e torna la sera, stanca…

Sempre si preoccupa per i suoi piccoli, perché lei è la sola figura protettrice:

ed il padre?

Oh, lui, bè… È impegnato,

sì, molto impegnato!

Diciamo che…

Non tornerà presto,

“ma tornerà…

Vero?”

Bè…

Sì, sicuramente tornerà!

“E quando mamma?”

Ehm…

Tra poco, state tranquilli!

“Ma l’hai già detto settimana scorsa, mamma”

Lo so…

È… vediamo… È-È stato trattenuto.

Piange,

pensa spesso a ciò,

a come i suoi piccoli non abbiano una figura paterna,

si sente inutile,

ha molta rabbia, sì, ma non può sfogarla,

di certo non in presenza dei piccoli.

E poi… È sempre così stanca, tutto il giorno deve stare lontana dal nido.

È un grande rischio, lo sa, ma non può farci niente, o così o tutti morti di fame…

Quindi ogni giorno, all’alba, si arma di forza di volontà e parte, a cercare cibo e oggetti per rinforzare e abbellire il nido.

Tutta sola, nessuna compagnia durante la giornata, solo la notte può, stanca, dormire con i suoi piccoli.

Ormai dovrebbe essere vicina a casa,

sì, riconosce l’area, vede gli alberi, come ogni giorno,

il cielo è grigio, a preannunciare una tempesta imminente, spera di arrivare in tempo per riparare i suoi piccoli…

Sente i soliti rumori, ma ormai è da giorni che va avanti così, non è un problema:

Gli umani ogni tanto passano per di lì con grossi macchinari su quattro o più ruote, si sbraitano addosso qualcosa, dopo tirano fuori un aggeggio con un piatto rotante e vanno avanti a far rumore tutto il giorno.

Non si cura mai di capire cosa facciano, ma ogni giorno qualcosa cambia nell’ambiente

Li vede sempre, quando torna a casa,

ma questa volta c’è qualcosa di insolito.

Poi le mancano le forze, si lascia cadere.

È distante, ma l’ha già notato:

Il suo alber…

Non c’è più,

Al suo posto solo un ceppo…

Non è l’unico, molti alberi mancano all’appello.

Sono tutti distesi, sopra quell’aggeggio su ruote.

Lei non crede a quello che vede, si dispera, non capisce!

Confusione

I suoi piccoli dove sono? Che fine hanno fatto!?

Poi la stanchezza accumulata durante i mesi prende il sopravvento,

si lascia cadere,

libera,

verso il vuoto.

Cade,

la coltre di chiome si avvicina.

Un ramo più spesso degli altri

“Crac” fa il fragile collo della rondine,

poi basta, niente più preoccupazioni…

libertà…

LIBERTÀ!

AH-AH!

“Capo, abbiamo trovato questo nido sopra l’albero da tagliare, guardi che piccoli, questo si è anche appena schiuso, vede il guscio?”

“Vedo sì… Vedo anche che non c’è un adulto, che insensibilità, in natura ai genitori non importa niente dei piccoli, conta solo la propria sopravvivenza” disse.

Frederick Toschetti 2CA

Nitroglicerina

La testa come un barile di esplosivi,
piena zeppa di mille pensieri intrusivi
dove solo una piccola, insulsa, scintilla
può portare alla distruzione di una mente.
Come una nuova “nitroglicerina”.

Lo si sa: è annidata nella gente
qualcosa che crea un malcontento,
ma tutti lo nascondono codardamente
tutti negano di avere questo sentimento,
questa “nitroglicerina”.

Ma è un pensiero assillante, ridondante
una droga per il cuore, una nuova cocaina;
ma questa è alla portata di tutti,
di un adulto così come di un poppante
è strabiliante, ma anche assassina
questa “nitroglicerina”.

e tu, ce l’hai?
sai che cos’è?
fammelo sapere, quando lo scoprirai
perché a tutti appartiene, ma nessuno può sapere cosa sia per te;
non ci sono rime per descriverlo
lo puoi solo intuire:
è qualcosa dentro di te!
A cui pensi,
su cui rifletti,
ma che non sai.

Ogni volta che hai una risposta, passa in sordina
questa pericolosa “nitroglicerina”.

Frederick Toschetti 2CA

Due lune

C’erano una volta due ragazze che frequentavano la stessa scuola. Avendo tre anni di differenza non avevano mai davvero prestato attenzione alla presenza l’una dell’altra. Probabilmente penserete che sia una normale storia, e sì, forse lo è. Ma la loro è una storia più, come dire?, particolare: una storia in realtà mai iniziata e mai finita. Loro non erano il solito cliché del “una era la luna e l’altra il sole che l’illuminava”. No, erano due lune. Ebbene sì. Due lune destinate ad illuminare a malapena se stesse, due lune solitarie. Ma un giorno, proprio per caso, o per destino, le loro strade si incrociarono per un piccolo istante, cambiando tutto. Successe come un lampo di fulmine, in modo totalmente inaspettato, ma con la stessa potenza e devastazione. La prima, annoiata dalla lezione, scrutava fuori dalla porta che dava sul corridoio. La seconda, invece, passò di lì per accompagnare una sua compagna alla segreteria, fermandosi per pura curiosità, o per destino, ad osservare la classe della prima. In quell’istante i loro sguardi si incrociarono, e loro rimasero così, incatenate l’una negli occhi dell’altra, senza un apparente motivo, per caso, o per destino. E così si conclude la storia. Delusi? Probabilmente sì. Ma si dia il caso che loro non si rividero mai più, né per caso, né per destino.

-Anonimo

Dove noi siamo davvero

Si può dire che la casa di ognuno sia
ovunque si senta di appartenere.

Ma cosa si intende per casa?

Un luogo? Un’abitazione? Un corpo?

Siamo polvere di altre galassie.
Gli atomi che ci compongono sono materia dell’universo
che ha viaggiato nel cosmo per centinaia di migliaia di anni luce,
per poi diventare parte di noi.

Nei momenti di vero equilibrio riesco ancora a percepire questo pensiero.

La nostra casa
è ovunque noi ci sentiamo bene.
Nel cuore di una persona,
nel centro di una città,
su un confortevole divano
davanti a un camino che arde la legna.

Siamo così piccoli in un mondo così grande.

Mariavittoria 3BL

Fiamme

Il corridoio non era mai stato così vuoto prima d’ora, cosa che creò una parvenza di sgomento dentro il cuore del Dottor V. Solitamente, tra qualche chiacchiera cordiale fatta insieme ai colleghi e piccoli discorsi pieni di irrequietezza dei pazienti, quel tratto dell’ospedale non cessava mai non solo d’essere abbastanza rumoroso, ma anche brulicante di persone, le quali entravano con il viso teso, consapevoli che non né sarebbero uscite né sollevate né serene. Quando si rese conto di quanto quelle mura dall’intonaco ormai rovinato potessero mettere in soggezione, deglutì della saliva che gli si era accumulata appena sotto la lingua ed affrettò il passo, cercando comunque di mantenere la sua classica imperturbabile apparenza distaccata. Nonostante ciò, non riuscì a tenere la testa alta e scrutarsi intorno come era solito fare, limitandosi ad appoggiare un piede dopo l’altro con una strana e non necessaria velocità. Sotto le suole delle scarpe, che si muovevano rapidamente, le mattonelle del pavimento parevano scorrere come se stessero ricoprendo una strada costante e infinita. All’estremità del corridoio, la grande finestra dai rivestimenti in legno di vecchia data che illuminava lievemente l’entrata di alcune stanze era socchiusa, sicché alcuni spiragli d’aria fredda erano riusciti ad insinuarsi all’interno ed a raggelare l’ambiente. Quella mattina le previsioni del tempo avevano previsto una meravigliosa giornata di sole, accompagnata da una identica serena serata; eppure, ormai giunto l’imbrunire, fuori dall’edificio il cielo si faceva sempre più minaccioso. Grandi e voluminosi banchi di nuvole grigie e tetre, cariche di pioggia, si aggiravano nei dintorni insieme ad un forte vento. Questo improvviso cambiamento incutè ulteriore timore nell’uomo, che ora tentava di non rabbrividire a causa della temperatura troppo bassa, in quanto sembrava quasi che la natura stessa si stesse sfogando contro il mondo. Il suo cuore iniziò a pompare sangue con più intensità, battendo con un’energia spaventosa all’interno della sua cassa toracica, quasi nel tentativo di scapparne. Il ritmico susseguirsi frenetico dei suoi battiti venne interrotto dal colpo secco di qualcosa che cadde a terra in un singolo istante. Girò gli occhi e notò un lungo bastone dalla terminazione ricurva e alcune venature scure sulla sua lunghezza, che doveva sicuramente essere l’artefice di quel fulmineo rumore. Qualche secondo dopo, una mano rugosa venne protesa alla ricerca del manico, che afferrò saldamente, portando a sé l’intero oggetto con una certa tranquillità. Si trattava di un signore con pochi capelli, che indossava una semplice giacchina di lana dai colori smarriti con dei pantaloni di materiale rigido, che probabilmente gli erano di difficoltà nel movimento vista l’età. L’anziano non appariva né vigile né tantomeno spaventato; una volta recuperato il suo attrezzo, né appoggiò la punta a terra per testare che fosse ancora ben saldo dopo la caduta, e dopo essersene accertato, avanzò con qualche passo insicuro, senza però dimostrare tempestività nel volersene andare da quel luogo. Probabilmente si sarebbe diretto calmamente verso la sua stanza per riposare, per bere una bevanda calda osservando la tempesta. Prima di sparire dalla vista del dottore, gli fece un breve cenno di saluto con il capo. Quest’ultimo si chiese se fosse veramente l’unico a percepire l’alone di sciagura che si aggirava in quel momento nell’ospedale, e come fosse possibile che tutto potesse scorrere in modo tal normale da essere altrettanto agghiacciante. L’uomo trasse un respiro profondo e tentò di calmare i nervi solo quando realizzò di essere finalmente giunto di fronte alla stanza corretta, dentro la quale si trovava l’ultima paziente che gli era stata assegnata per il giorno.

La camera riportava un cartellino di riconoscimento direttamente fissato al di sopra del capostipite della porta, che recitava “Numero 2511”.

Quando varcò la soglia dell’entrata in un unico, veloce movimento, intuì con precisione la fonte dello sconforto generale della natura. Davanti ai suoi occhi, sbigottiti e afflitti da tale raccapricciante scena, giaceva quello che gli appariva un cadavere. Il dottor V si portò al volto una mano tremolante e con i polpastrelli si stropicciò le palpebre chiuse non una, ma ben due volte prima di concedersi un secondo sguardo. Ora ciò che gli si presentava davanti era diverso rispetto a quanto osservato in precedenza, ma solo di qualche lieve sfumatura, come il fatto che il corpo, posizionato sopra ad un misero e gelido lettino di metallo, ancora riuscisse a muovere irregolarmente il petto secondo il proprio ritmo respiratorio. Se non fosse stato per la sua ampia esperienza in ambito medico, avrebbe probabilmente vomitato all’istante, nemmeno dando il tempo al cervello di processare le informazioni appena viste e rigettando copiosamente a terra con conati strozzati. Fortunatamente per lui, non era il suo primo contatto con un individuo in condizioni così rischiose. Si trattava di una donna, sicuramente di giovane età, dal corpo esile e di media altezza; ma dell’energia, della gioia, della bellezza della gioventù nulla era ancora visibile dentro a quella carne. Un misero lenzuolo di cotone, macchiato di sangue rappreso, le copriva il busto a malapena grazie ai suoi bordi rovinati, quasi stracciati, sotto i quali si potevano vedere dolorose bolle dal colore giallastro sulla superficie della pelle violacea, tendente al marrone. Queste continuavano ad espandersi, sempre più ripugnanti, per tutta la lunghezza delle gambe e verso le spalle, dove improvvisamente scomparivano per lasciare spazio ad una fascia di cute completamente carbonizzata. Le braccia, lasciate stendersi in maniera molle accanto ai fianchi, erano ancora celate da degli esigui residui di stoffa bruciata; nell’incavo presente tra una spalla e l’altra, piccole gocce di sangue vivo cadevano una dopo l’altra, dopo essere colate giù dalla guancia sinistra, dove era presente un profondo taglio che percorreva la linea dello zigomo. Nonostante ormai la carne fosse ridotta ad un infelice ammasso bruciato, ancora continuava a scorrere imperterrito, a dimostrazione che non fosse stata ferita in quel modo una ormai carcassa, senza speranze, ma un essere umano ancora capace di provvedere alla propria sopravvivenza. Quando quella meschina mano si era avvolta attorno al suo minuto collo, lasciandoci quella impronta rossa che ancora era visibile tra le ustioni, era consapevole; anzi, desiderosa di privare quella innocente anima d’una esistenza che avrebbe potuto prosperare meravigliosamente, ch’ora, come un campo arido e sterile, giaceva inerme nella sua incapacità di poter continuare a produrre nuovi frutti, di poter far rinascere il bocciolo della vita all’interno di sé. Eppure, nascosta nelle profondità più oscure dell’organismo di quella ragazza, ancora una fievole speranza combatteva per continuare a farla respirare anche un singolo istante ancora, aggrappata saldamente alla fragile stabilità di cui poteva godere per il momento. Però il Dottor V poteva vedere benissimo il modo in cui l’anima stava cercando di ritirarsi sempre di più, vergognosa, desiderosa di nascondersi dall’occhio altrui a causa dell’infamia ricevuta. I suoi piccoli occhi immobili guardavano un quadro appeso alla parete, bagnati da grosse lacrime che era impossibile da constatare se fossero di dolore, di tristezza o di rabbia. Dentro la cornice, al centro d’una scena cupa e lugubre che solo un letto di morte può avere, un’entità minacciosa vestita di nero si abbassava il cappuccio scuro, rivelando un volto lucente, dai tratti angelici, e tendeva la mano alla malata che, spaventata, si ritraeva con terrore. L’uomo si domandò se stesse implorando il fato d’essere affetta dalla stessa sorte.

Dolce e serena scorreva l’acqua dal limpido aspetto. Più tempo passava, più la sua temperatura continuava ad abbassarsi, ed il suo piacevole tepore si dileguava per lasciare posto ad un freddo innaturale. Le sue lievi oscillazioni non erano nemmeno degne d’essere notate, così deboli che la loro forza poteva essere considerata totalmente trascurabile, tanto calma da non riuscire nemmeno a spostare il corpo che si trovava ormai quasi sommerso in essa. Il liquido trasparente, muovendosi lentamente e con imprecisione, andava a coprire e lavare il sangue e lo sporco dalla pelle nuda della giovane, la quale non aveva altra scelta se non sprofondare sempre di più verso l’abisso che si trovava sotto di lei, sebbene nessuna corrente d’aria la stesse trascinando con la sua furia distruttiva. Si lasciò trasportare dal corso del bacino finché il livello dell’acqua non ebbe quasi raggiunto le sue narici; in un attimo fulmineo, quasi ad indicare l’attimo decisivo, una serie di strazianti ricordi le attraversarono la mente uno dopo l’altro. Memorie che per quanto vicine potessero essere sembravano distare miglia dallo spiacevole presente, ombra d’una vigorosa realtà passata, quando dentro di lei ancora ardevano l’impeto e il fervore d’una ragazza che mai avrebbe potuto aspirare ad altro se non il proprio bene. La sua unica ma fatale colpa, quella di desiderare una vita spensierata, contornata dalla tranquillità e dall’amore che ogni individuo merita di ricevere. Il momento stesso in cui la scura sostanza irritante s’era accesa, e lei era riuscita a cogliere il ghigno maligno sul volto dell’infame aggressore, in cenere non erano andati solo i semplici vestiti, che tanto facilmente si erano lasciati incendiare, ma con loro anche l’entusiasmo che solo una determinazione forte può conservare. Insieme a sogni, aspirazioni e promesse andate in fumo, si era spenta la sua volontà, ridotta in brandelli dalle spietate fiamme, lasciandola sola ad annegare in un gelido pozzo di triste acqua stagnante. Immobile si lasciò togliere il respiro, abbandonandosi ad un destino che avrebbe potuto essere combattuto con delle energie e una speranza che non le appartenevano più. Affondò, portando con sé quello che era stata e che non avrebbe mai potuto essere nuovamente, senza un minimo di rimorso per la sua scelta.

Valentina Grigio, 3BL.

SIMBOLOGIA, ASPETTI e RIFERIMENTI

  1. Dottor V: la lettera V, se osservata, può indicare sia i genitali maschili che femminili, così che il protagonista della storia si trovi in una posizione neutrale.
  2. L’ambientazione: serve ad aiutare il lettore ad entrare nell’ottica corretta ed iniziare a sospettare della sciagura che verrà in seguito.
  3. L’anziano: rappresenta il modo in cui la massa non bada alle gravi situazioni se non se le trova di fronte. A confronto con il protagonista, rappresenta la stoltezza e il menefreghismo della società.
  4. Numero della stanza “2511”: data della giornata contro la violenza sulle donne.
  5. Quadro alla parete: ispirato all’opera “L’angelo della morte” di Horace Vernet e rivisitato in chiave da rispettare l’andamento della storia.
  6. Il pozzo d’acqua: il luogo astratto che ospita l’anima della giovane morente in contrapposizione con il fuoco (sia materiale che effimero).
  7. Climax crescente e decrescente: il climax della lunghezza del testo è decrescente, in quanto inizialmente si dilunga in dettagli per poi compattarsi alla fine. Quello dell’intensità contenutistica invece parte scarsamente e finisce con pesantezza.

Cara la mia ragazzina

Sei ancora piccola cara la mia ragazzina, i primi avvertimenti: “stai attenta, guarda dove vai, non parlare con gli sconosciuti!”

Generali regole di vita, per femmine e per maschi

Cresci, “non indossare quello, sei sicura di volerti vestire proprio così?”

Ti affacci alla società, non ci dai molta importanza però, non ne comprendi la gravità, è giusto.

Notizie alla TV, “povera ragazza, lui va punito”, un normale crimine, omicidio, uno come tanti.

Cresci ancora, “mamma, ma perché sono uccise così tante donne? Cos’è lo stupro?”, come possono essere questi i discorsi di una ragazzina di appena 11 anni?

Bellissima questa età: esci con le amiche, incontri il tuo primo amore, pensi che duri per sempre e ti senti grande.

Ti stai formando, le tue prime curve! Ne sei così felice, sei DONNA!

Non lo noti solo tu, ma anche loro.

Un fischio di là, un altro di qua, tutto normale, succede sempre, cosa vuoi che sia?

Cara la mia piccola ragazzina, hai scoperto cos’è una molestia.

Non lo capiscono, è un concetto astruso e difficile comprendere un semplice “NO NON VOGLIO, NON MI PIACE!”

La tua volontà, la nostra non conta, se “la carne è carne” si è giustificati.

“Ultime notizie: donna uccisa dal fidanzato! Donna stuprata da un ragazzo!”

Diventano tutti attivisti, tutti ne parlano; telegiornali, politici, giornalisti, ma dopo un mese il rumore è più silenzioso.

Tanto casino, tante frasi che si ripetono uguali da anni. Mai una volta però che siano ascoltate e capite da tutti: si commettono sempre gli stessi errori.

“Anche lei comunque ha colpa, lo ha provocato, come si era vestita? SE L’È CERCATA!”

Ho sempre una domanda, la stessa domanda quando sento qualcuno dire ciò: sul serio pensate che cambi le cose il modo in cui ci vestiamo?

Siamo noi stesse colpevoli di ciò che non vogliamo per un vestito troppo attillato, o una gonna troppo corta?

Una volta ero in bici, sudata fradicia, tornavo da un’uscita, era inverno.

Dei ragazzi mi fischiano.

Come spiegate adesso? Secondo voi avevo un vestito addosso? una gonna corta? profumavo?

No

Non deve esserci UNA giornata contro la violenza sulle donne, ma ogni giorno dovrebbe esserlo.

Il caso di Giulia è l’ennesima dimostrazione che la società non funziona, non è diverso dagli altri, la sostanza è sempre quella: una donna è stata uccisa per la possessività e per l’ossessione dell’ex compagno.

“Non sono tutti così”

è vero, ma aiutami, dimmi di chi mi posso fidare, ti prego, AIUTO! Ormai non lo so più e non lo sai neanche tu.

Cari ragazzi, pensate prima di agire. E non con gli ormoni, ma con la testa, non siamo oggetti, siamo persone.

Ed ecco, cara la mia ragazzina, questa è la società patriarcale in cui viviamo.

“Mamma, ma io non voglio più crescere”

Purtroppo, però, alcune volte, neanche quando siamo piccole siamo al sicuro

Eppure devi sempre essere fiera di essere donna

“Perché?”

Perché da secoli lottiamo, ma non ci arrendiamo mai.

– Anonimo

490 anni e 0 cambiamenti

<<NO!>> Un rifiuto, una negazione, un impedimento, una semplice parola, ma che molte volte viene ignorata, non ascoltata e minimizzata. Una barriera, uno scudo, un riparo che viene infranto e un limite che viene spesso oltrepassato. Una bolla di cristallo frantumata in mille pezzi da oppressione, gelosia, manipolazione e mai più
riparabile, nemmeno con il perdono.
L’amore non è possesso, non è restrizione e non è una prigione, ma purtroppo non tutti lo comprendono. Fin da tempi remoti esistono le cosiddette “relazioni tossiche”, dalle quali, purtroppo, molte donne non riuscirono a liberarsi. Donne che hanno subito e tuttora subiscono violenza di tipo fisico e psichico, donne che hanno
vissuto e vivono nell’ombra della paura, e purtroppo donne alle quali è stata tolta la libertà di vivere.
Barbara, Sofia, Francesca, Teresa, Giulia sono solo pochi nomi dei centocinque casi di femminicidio che solo nel 2023 coprirono poco a poco l’Italia di terrore e che videro molte donne come loro spegnersi per sempre.
Donne considerate come un oggetto, un qualcosa da raggiungere a qualsiasi costo, costrette in questo modo alla perenne fuga da atteggiamenti di soffocamento, prepotenza e costrizione, caratteristiche di una storia che negli anni si ripete e si ripete, ma non cambia mai, e che negli uomini colpevoli di tali atrocità sono tutte presenti.<Non esci vestita cosi!>>,<<Fammi vedere il telefono!>>,<<Dove credi di andare?>>.
In poche parole non riuscire a ricevere un rifiuto alle loro richieste, non essere in grado di vivere una relazione paritaria, senza prigionie e divieti, senza violenza, senza minacce non appartiene a questi ultimi, che di essere chiamati umani non ne hanno il merito.
Moltissime ragazze e donne nel corso della storia fino ai nostri giorni si trovarono a fuggire, cercare riparo da quello che, nonostante fosse definito tale, non era AMORE.
Perché uno schiaffo non corrisponde ad una carezza, un pugno non è un bacio e un’offesa non significa “ti amo”.

– Anonimo

Colpevole di amare

Né più tornerai a casa tu, colpevole di amare,

né troverai la fiamma accesa del camino,

né altri troveranno il biglietto in cui scrivesti

“Ti voglio bene” prima di uscire.

Nei tuoi occhi il sole, la luce:

una maschera rossa li ha coperti,

una mano sola è bastata a serrarli.

Bambina mia, chi ha fatto questo?

La tua sedia è fredda,

il tuo letto è impolverato,

la mensola da cui prendesti un libro quel sabato mattina è vuota,

il silenzio urla.

Bambina mia, dove l’hai lasciato quel libro?

Dove l’hai lasciato, che lo rimetto al suo posto?

Bambina mia, perché ti sento piangere?

C’è uno scatolone in camera tua,

e tanti vestiti in esso:

rosso, rosso e ancora rosso,

il tuo colore preferito, ti si addice.

Anche il tuo collo è rosso,

i tuoi occhi pesti,

e le mani tremano come foglie.

I calzini minuscoli che portavi da piccola sono ancora là,

se mai vorrai venire a riprenderteli.

È da tanto che non ti vedo, bambina mia,

dove sei?

– Anna Desolei

25 novembre

Stop violence: break the silence
No màs violencia: rompe el silencio
Stopp die Gewalt: brecht das Schweigen


Il giorno 25 novembre viene ricordato ciò che non bisognerebbe mai dimenticare.
La Treccani definisce la violenza come tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale.
Spesso le donne sottovalutano quei segnali tipici di violenza, tanto fisica come psicologica.
Ne sono un esempio le numerose vittime, che ogni giorno vivono con il timore dell’uomo che hanno accanto.
“Mi fa piacere che sia un po’ geloso, vuol dire che ci tiene”: Domenica Caligiuri, accoltellata a 71 anni dal marito per gelosia.
“Non sto più bene con lui, voglio separarmi”: Nadia Zanatta, uccisa a 57 anni perché aveva intenzione di separarsi.
“Sono solo delle sue paranoie, gli passeranno”: Valentina Di Mauro, uccisa a 32 anni dal marito per accuse di tradimento.
“Mi dispiace che abbiamo litigato, però mi fa paura, ho bisogno di chiamare i carabinieri”: Silvana Arena, trovata a 74 anni dai carabinieri in fin di vita con delle ferite alla testa.
“Papà dormiamo insieme oggi?”: Laura Russo 11 anni, uccisa dal padre a coltellate nel sonno.
“Mi ha tradita, adesso gli parlo io”: Giulia Tramontano, uccisa dal ragazzo con 37 coltellate, cerca di sbarazzarsi del corpo e lo nasconde dietro un muro. Incinta di 7 mesi.
“Mi dispiace che il mio ex stia male per me”: Giulia Cecchettin, uccisa a 22 anni dal suo ex ragazzo.
Queste tragiche fini avvengono e sono avvenute in tutte le epoche.
Riportiamo l’ esempio di Artemisia Gentileschi, una pittrice italiana seicentesca della scuola di Caravaggio, la quale è stata abusata da Agostino Tassi, artista amico del padre.
Tutto ciò per dire che è da tempo che le donne combattono in favore dei loro diritti, al fine di limitare la violenza di genere.
La denuncia è sicuramente il metodo più efficace.
Tuttavia non è sempre facile dichiarare a viso aperto ciò che si prova, spesso per paura di non essere credute o di non essere aiutate o per vergogna. Sicuramente però parlarne è indispensabile.


Die Gewalt ist nicht die Lösung.
“No” no es solo una palabra.
¡Cuando es no es no!

True love doesn’t humiliate, trample or betray.
True love doesn’t scream, beat or kill.

Frammenti di un cuore violentato

“Ormai queste sensazioni si sono radicate nella sua mente come una filastrocca:
il rombo del motore mentre la macchina si parcheggia,
il suono della porta d’ingresso che si chiude,
il ritmo dei suoi passi…
Guarda furtivamente attraverso lo spioncino:
non è un ospite o uno sconosciuto, peccato…
È una persona familiare,
eppure non capisce quanto mi faccia soffrire.
Vorrei che trovasse il coraggio di rispondere, ma sembra incapace anche di fuggire…
Lei, con un cuore impotente e vile come il mio, non merita tutto ciò,
inizio a sentire anche io la pelle bruciare, nonostante sia protetto dentro di lei,
nascosto dietro il suo corpo vestito di lividi.
Perché sento anch’io le ferite? Sono state così profonde da raggiungermi…?
È arrivato. Ora devo farle fare la brava, altrimenti soffrirò ancora.”


25 Novembre, Giornata contro la violenza sulle donne
La giornata internazionale contro la violenza sulle donne è celebrata il 25 novembre di ogni anno. Questa giornata ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla violenza di genere e promuovere azioni concrete per combatterla.
La storia di questa giornata risale al 1981, quando le attiviste del movimento femminista delle Repubblica Dominicana hanno proposto di dedicare una giornata per commemorare le sorelle Mirabal, tre donne attiviste che sono state assassinate il 25 novembre 1960.
Nel 1999, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente designato il 25 novembre come la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
La giornata serve ad evidenziare la necessità di porre fine a tutte le forme di violenza contro le donne, comprese violenze domestiche, stupri e molestie sessuali.
La storia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne ci ricorda che la lotta per i diritti delle donne e contro la violenza di genere è ancora in corso, motivata da continui avvenimenti odierni. È un momento per unire le forze, far accrescere la consapevolezza e lavorare insieme per costruire un mondo in cui tutte le donne possano vivere in sicurezza, libertà e rispetto.
– Rigotti Angelica 3ASA

Silenzio

Silenzio.
Femminicidi.
Cosa succede?


11 anni sono passati…
Quando mi guardo allo specchio
vedo una ragazza con tanta forza,
con la forza di aver parlato.


Mi guardo e dico: “brava, ce l’hai fatta!”
Aver raccontato a mamma cosa mi era successo
di quei giorni da bambina infranti,
di quelle parole e di quei gesti,
abuso,
famiglia…


25 novembre,
“giornata mondiale contro la violenza sulle donne” sì,
ma non solo quel giorno.
tutti i giorni bisogna ricordalo,
ricordare di non toccare mai una donna.


viviamo in una società bigotta e di mente medioevale,
dove la donna è ancora soggetta a stupri,
omicidi,
violenze
di qualsiasi tipo.


Stereotipi ignoranti,
che pensano tutti allo stesso modo,
che pensano l’uomo più forte.


No, non è più forte,
nessuno dei due è più forte dell’altro:
siamo tutti alla pari.
La legge dovrebbe eguagliarci,
ma non fa altro che distinguerci invece,
ogni giorno.


La paura di camminare da sole,
per strada,
ovunque.


11 anni fa,
una bambina di 6 anni
abusata,
fisicamente e verbalmente,
da un familiare.


Paura di parlare,
di non essere compresa,
di essere presa per bugiarda,
quello che succede quasi ogni giorno.


Certi uomini non accettano la divisione,
non sanno stare da soli.


Un insulto costante è violenza psicologica.


Schiaffi,
urla,
litigi
e infine?
Omicidio.


Cosa risolvi?
Una vita in meno per aver fatto cosa?
Perché sei stato lasciato?


Paura costante,
commenti fuori posto per strada,
fischi come ai cani,
stupro.


Paura di denunciare,
di parlare,
di avere giustizia.
Perché già si sanno le conseguenze
e giustizia non viene fatta.

– Deborah Zagolin 4CA

Donne

Donne,

Allora?

Un altro femminicidio?

Quanti sono stati?

105 in tutto nel 2023.

Più del 2022

e di molti anni passati.

Vergogna!

Dov’è la giustizia?

Donne violentate,

donne picchiate,

donne uccise

ma da chi?

Da uomini che non accettano cosa?

Una separazione,

un rifiuto.

Donne che hanno paura

di andare in giro da sole,

di sentirsi seguite,

di dire di no.

Giulia…

Un’altra anima,

adesso?

Un’altra donna verrà uccisa?

Dov’è la giustizia?

Dov’è la ragione?

Non solo femminicidi,

anche stupri

e violenza di ogni tipo.

Siamo stanche.

un minuto di silenzio?

MAI PIÙ SILENZIO!

Ci vuole voce!

Dare voce a ciò che accade!

Riuscire a parlare!

Parlare di ciò che sta succedendo

qualsiasi cosa sia.

Fare il concreto, non il superficiale!

Capire che tutti siamo coinvolti.

L’indifferenza è la peggior cosa.

Giustizia!

Per le povere donne vittime.

Giustizia!

per mettere l’uguaglianza prima di tutto.

Questo dimostra che l’articolo 3 della costituzione non si legge abbastanza. Non lo si applica.

Ricordiamocelo.

105 donne.

Cos’altro ci dobbiamo aspettare?

Per favore basta!

È una vergogna,

lo sappiamo tutti.

Giustizia!

– Deborah Zagolin 4CA

Essere Donna

Essere donna è facile, dicono.
Ma essere donna non è facile,
si affrontano problemi ogni giorno,
senza accorgersene.
Si cresce con la paura,
si viene giudicata male,
il “una donna non rutta”,
il “sei una donna, curati di più”,
il “sei una gallina/cornacchia, smettila”,
“devi essere più femminile”,
“perché non hai ancora un figlio?”
“se vuoi questo lavoro non potrai avere una famiglia”
“se hai i peli vuol dire che sei LESBICA”
ce ne sono molti altri ancora,
ma sono troppi da elencare.
Quello che mi fa riflettere di più è,
La paura,
di cosa?
Di uscire, di parlare, di camminare da sole,
di bere, di non potercela fare
Uscire con una gonna un po’ più corta?
Guai, sei una prostituta.
Uscire con due o tre ragazzi perché sono tuoi amici?
Guai, sono più di amici, non esiste l amicizia maschio-femmina
Uscire senza essersi messe in tiro?
Guai, sei una stracciona.
E molti altri ancora…
Una ragazza violentata da un gruppo,
7 ragazzi,
chiedeva di smetterla,
l hanno anche registrata…
Schifo? Vergogna?
Solo quello?
Un giudice che non da una pena ai ragazzi, perché uno ha confessato?
Dove siamo arrivati?
Femminicidi ogni giorno,
se non ogni giorno,
ogni settimana.
Basta
BASTA!

25

Fa che sia l’ultima

Non è amore se alza le mani: la violenza non fa parte dell’amore.

Amore è colui che ti protegge, colui che ti tiene per mano e ti porta in un luogo lontano e migliore di questo, colui che ti accarezza per asciugare le lacrime durante un periodo buio, colui che ti ama e deve amarti ogni giorno della sua vita. La violenza è una malattia da debellare, non bisogna accontentarsi di stare accanto ad una persona che non ci piace per paura di rimaner soli. Se quella persona non vuole che ci vestiamo scollate, non vuole che usciamo con le nostre amiche, non vuole che parliamo con una persona, non vuole che parliamo in un certo modo, non vuole che facciamo qualcosa per urtarla,

allora forse non è la persona giusta per noi.

Oggi è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Non può però bastare un giorno di memoria. C’è bisogno di agire ogni giorno, ovunque, per sconfiggere questo crimine odioso frutto di una cultura misogina. Uguaglianza di genere, riconoscimento dei diritti e dei ruoli nelle comunità, nei luoghi di lavoro e di produzione.

Mi sorge però un dubbio,

come sono cresciuti questi uomini che si permettono di mancare di rispetto, di usare violenza o addirittura di uccidere le donne che gli sono accanto? Le donne che li hanno amati, le madri dei loro figli. Cosa hanno insegnato loro le madri? E i loro padri?

Ecco, partiamo da qui. Partiamo dall’educazione in famiglia, partiamo dall’educazione dei figli. Insegniamo loro il rispetto, l’amore, insegniamo loro che una persona non ci appartiene solo perché l’amiamo, spieghiamo loro cos’è la libertà, la costruzione di un rapporto, la parità in un rapporto, l’impegno.

Molti ragazzi al giorno d’oggi ritengono che i femministi siano coloro che privilegiano la donna, come se fosse matriarcato. Il femminismo è movimento che mira all’uguaglianza sociale dei diritti, di entrambi i sessi.

“Noi non viviamo più in un mondo maschilista, sei tu che ti monti la testa e pensi di essere sottovalutata”.

Qualche giorno fa un ragazzo mi scrisse questo messaggio. Quotidianamente mi sento sopraffatta da discorsi fatti da giovani adolescenti che sottovalutano le donne pensando che sia “divertente”.

Ogni anno in Italia le donne vengono assassinate, molestate e stuprate. Vengono uccise per mano di uomini che volevano possederle fino a volerle addirittura cancellare dalla faccia della terra: “o con me, o con nessun altro”.

Lo Stato italiano non fa nulla per evitare ciò, anzi, identifica questo fenomeno con la parolina ‘emergenza’. Sì esatto, la chiamo un’emergenza, eppure mi sembra che nessuno si sia mai mosso per fare veramente qualcosa di concreto, mi pare che nessuno si sia allarmato all’ultima notizia su un femminicidio.

La chiamano emergenza, ma nessuno si preoccupa mai della denuncia che sporge una donna sotto molestie.

La chiamano un’emergenza sui giornali, ma nella pagina dopo scrivono casi di cronaca sui delitti passionali. È un’ emergenza, come quando non ti aspetti che succeda.

Ma ditemi davvero, voi non ve l’aspettate un altro femminicidio nei prossimi giorni?

Qualche giorno fa è venuta a galla la notizia di Giulia Cecchettin, giovane ragazza di 22 anni che frequentava la facoltà d’ingegneria all’università Ca’ Foscari di Venezia. Giulia, uscita con l’intento di chiarire con l’ex ragazzo Filippo, scompare la sera del 13 novembre. Vengono rinvenute delle tracce di sangue di fronte al marciapiede di una fabbrica. Filippo, un semplice ragazzo di 22 anni, stava per laurearsi anche lui nella facoltà d’ingegneria, un ragazzo malato o magari troppo geloso? È proprio questo il dubbio che sorge in tutti noi, Giulia ha avuto qualche segnale? Giulia è stata avvisata prima di questo comportamento possessivo e maniacale da parte dell’ex fidanzato? Purtroppo non possiamo darci una risposta concreta, possiamo solamente essere certi che, nonostante le speranze da parte di tutta Italia che i due fossero fuggiti da questa società intrinseca, il 18 novembre è rinvenuto il corpo della giovane ragazza; abbandonata giù da un cavalcavia nei pressi del lago di Barcis, dopo essere stata accoltellata ben 20 volte e avvolta tra sacchi neri. Ma Filippo Turetta è davvero un bravo ragazzo come lo descrive il padre? Per quale motivo 20 volte? Che cosa ha fatto questa giovane per meritarsi questo?

Nella speranza che sia l’ultima, nella speranza che giovani donne possano aprire gli occhi e mollare prima la presa.

A Giulia un grande abbraccio ad un’amica ed una compaesana, ti è stata tolta la possibilità di diventare una donna meravigliosa e realizzare i tuoi sogni.

La mia dedica da donna a tutti coloro che leggeranno questa lettera, qualunque sia il vostro carattere, il vostro vissuto e la vostra vera essenza, vi sono vicina oggi non più di tutti gli altri giorni dell’anno.

– Mariavittoria Castaldelli 3BL