Fiamme

Il corridoio non era mai stato così vuoto prima d’ora, cosa che creò una parvenza di sgomento dentro il cuore del Dottor V. Solitamente, tra qualche chiacchiera cordiale fatta insieme ai colleghi e piccoli discorsi pieni di irrequietezza dei pazienti, quel tratto dell’ospedale non cessava mai non solo d’essere abbastanza rumoroso, ma anche brulicante di persone, le quali entravano con il viso teso, consapevoli che non né sarebbero uscite né sollevate né serene. Quando si rese conto di quanto quelle mura dall’intonaco ormai rovinato potessero mettere in soggezione, deglutì della saliva che gli si era accumulata appena sotto la lingua ed affrettò il passo, cercando comunque di mantenere la sua classica imperturbabile apparenza distaccata. Nonostante ciò, non riuscì a tenere la testa alta e scrutarsi intorno come era solito fare, limitandosi ad appoggiare un piede dopo l’altro con una strana e non necessaria velocità. Sotto le suole delle scarpe, che si muovevano rapidamente, le mattonelle del pavimento parevano scorrere come se stessero ricoprendo una strada costante e infinita. All’estremità del corridoio, la grande finestra dai rivestimenti in legno di vecchia data che illuminava lievemente l’entrata di alcune stanze era socchiusa, sicché alcuni spiragli d’aria fredda erano riusciti ad insinuarsi all’interno ed a raggelare l’ambiente. Quella mattina le previsioni del tempo avevano previsto una meravigliosa giornata di sole, accompagnata da una identica serena serata; eppure, ormai giunto l’imbrunire, fuori dall’edificio il cielo si faceva sempre più minaccioso. Grandi e voluminosi banchi di nuvole grigie e tetre, cariche di pioggia, si aggiravano nei dintorni insieme ad un forte vento. Questo improvviso cambiamento incutè ulteriore timore nell’uomo, che ora tentava di non rabbrividire a causa della temperatura troppo bassa, in quanto sembrava quasi che la natura stessa si stesse sfogando contro il mondo. Il suo cuore iniziò a pompare sangue con più intensità, battendo con un’energia spaventosa all’interno della sua cassa toracica, quasi nel tentativo di scapparne. Il ritmico susseguirsi frenetico dei suoi battiti venne interrotto dal colpo secco di qualcosa che cadde a terra in un singolo istante. Girò gli occhi e notò un lungo bastone dalla terminazione ricurva e alcune venature scure sulla sua lunghezza, che doveva sicuramente essere l’artefice di quel fulmineo rumore. Qualche secondo dopo, una mano rugosa venne protesa alla ricerca del manico, che afferrò saldamente, portando a sé l’intero oggetto con una certa tranquillità. Si trattava di un signore con pochi capelli, che indossava una semplice giacchina di lana dai colori smarriti con dei pantaloni di materiale rigido, che probabilmente gli erano di difficoltà nel movimento vista l’età. L’anziano non appariva né vigile né tantomeno spaventato; una volta recuperato il suo attrezzo, né appoggiò la punta a terra per testare che fosse ancora ben saldo dopo la caduta, e dopo essersene accertato, avanzò con qualche passo insicuro, senza però dimostrare tempestività nel volersene andare da quel luogo. Probabilmente si sarebbe diretto calmamente verso la sua stanza per riposare, per bere una bevanda calda osservando la tempesta. Prima di sparire dalla vista del dottore, gli fece un breve cenno di saluto con il capo. Quest’ultimo si chiese se fosse veramente l’unico a percepire l’alone di sciagura che si aggirava in quel momento nell’ospedale, e come fosse possibile che tutto potesse scorrere in modo tal normale da essere altrettanto agghiacciante. L’uomo trasse un respiro profondo e tentò di calmare i nervi solo quando realizzò di essere finalmente giunto di fronte alla stanza corretta, dentro la quale si trovava l’ultima paziente che gli era stata assegnata per il giorno.

La camera riportava un cartellino di riconoscimento direttamente fissato al di sopra del capostipite della porta, che recitava “Numero 2511”.

Quando varcò la soglia dell’entrata in un unico, veloce movimento, intuì con precisione la fonte dello sconforto generale della natura. Davanti ai suoi occhi, sbigottiti e afflitti da tale raccapricciante scena, giaceva quello che gli appariva un cadavere. Il dottor V si portò al volto una mano tremolante e con i polpastrelli si stropicciò le palpebre chiuse non una, ma ben due volte prima di concedersi un secondo sguardo. Ora ciò che gli si presentava davanti era diverso rispetto a quanto osservato in precedenza, ma solo di qualche lieve sfumatura, come il fatto che il corpo, posizionato sopra ad un misero e gelido lettino di metallo, ancora riuscisse a muovere irregolarmente il petto secondo il proprio ritmo respiratorio. Se non fosse stato per la sua ampia esperienza in ambito medico, avrebbe probabilmente vomitato all’istante, nemmeno dando il tempo al cervello di processare le informazioni appena viste e rigettando copiosamente a terra con conati strozzati. Fortunatamente per lui, non era il suo primo contatto con un individuo in condizioni così rischiose. Si trattava di una donna, sicuramente di giovane età, dal corpo esile e di media altezza; ma dell’energia, della gioia, della bellezza della gioventù nulla era ancora visibile dentro a quella carne. Un misero lenzuolo di cotone, macchiato di sangue rappreso, le copriva il busto a malapena grazie ai suoi bordi rovinati, quasi stracciati, sotto i quali si potevano vedere dolorose bolle dal colore giallastro sulla superficie della pelle violacea, tendente al marrone. Queste continuavano ad espandersi, sempre più ripugnanti, per tutta la lunghezza delle gambe e verso le spalle, dove improvvisamente scomparivano per lasciare spazio ad una fascia di cute completamente carbonizzata. Le braccia, lasciate stendersi in maniera molle accanto ai fianchi, erano ancora celate da degli esigui residui di stoffa bruciata; nell’incavo presente tra una spalla e l’altra, piccole gocce di sangue vivo cadevano una dopo l’altra, dopo essere colate giù dalla guancia sinistra, dove era presente un profondo taglio che percorreva la linea dello zigomo. Nonostante ormai la carne fosse ridotta ad un infelice ammasso bruciato, ancora continuava a scorrere imperterrito, a dimostrazione che non fosse stata ferita in quel modo una ormai carcassa, senza speranze, ma un essere umano ancora capace di provvedere alla propria sopravvivenza. Quando quella meschina mano si era avvolta attorno al suo minuto collo, lasciandoci quella impronta rossa che ancora era visibile tra le ustioni, era consapevole; anzi, desiderosa di privare quella innocente anima d’una esistenza che avrebbe potuto prosperare meravigliosamente, ch’ora, come un campo arido e sterile, giaceva inerme nella sua incapacità di poter continuare a produrre nuovi frutti, di poter far rinascere il bocciolo della vita all’interno di sé. Eppure, nascosta nelle profondità più oscure dell’organismo di quella ragazza, ancora una fievole speranza combatteva per continuare a farla respirare anche un singolo istante ancora, aggrappata saldamente alla fragile stabilità di cui poteva godere per il momento. Però il Dottor V poteva vedere benissimo il modo in cui l’anima stava cercando di ritirarsi sempre di più, vergognosa, desiderosa di nascondersi dall’occhio altrui a causa dell’infamia ricevuta. I suoi piccoli occhi immobili guardavano un quadro appeso alla parete, bagnati da grosse lacrime che era impossibile da constatare se fossero di dolore, di tristezza o di rabbia. Dentro la cornice, al centro d’una scena cupa e lugubre che solo un letto di morte può avere, un’entità minacciosa vestita di nero si abbassava il cappuccio scuro, rivelando un volto lucente, dai tratti angelici, e tendeva la mano alla malata che, spaventata, si ritraeva con terrore. L’uomo si domandò se stesse implorando il fato d’essere affetta dalla stessa sorte.

Dolce e serena scorreva l’acqua dal limpido aspetto. Più tempo passava, più la sua temperatura continuava ad abbassarsi, ed il suo piacevole tepore si dileguava per lasciare posto ad un freddo innaturale. Le sue lievi oscillazioni non erano nemmeno degne d’essere notate, così deboli che la loro forza poteva essere considerata totalmente trascurabile, tanto calma da non riuscire nemmeno a spostare il corpo che si trovava ormai quasi sommerso in essa. Il liquido trasparente, muovendosi lentamente e con imprecisione, andava a coprire e lavare il sangue e lo sporco dalla pelle nuda della giovane, la quale non aveva altra scelta se non sprofondare sempre di più verso l’abisso che si trovava sotto di lei, sebbene nessuna corrente d’aria la stesse trascinando con la sua furia distruttiva. Si lasciò trasportare dal corso del bacino finché il livello dell’acqua non ebbe quasi raggiunto le sue narici; in un attimo fulmineo, quasi ad indicare l’attimo decisivo, una serie di strazianti ricordi le attraversarono la mente uno dopo l’altro. Memorie che per quanto vicine potessero essere sembravano distare miglia dallo spiacevole presente, ombra d’una vigorosa realtà passata, quando dentro di lei ancora ardevano l’impeto e il fervore d’una ragazza che mai avrebbe potuto aspirare ad altro se non il proprio bene. La sua unica ma fatale colpa, quella di desiderare una vita spensierata, contornata dalla tranquillità e dall’amore che ogni individuo merita di ricevere. Il momento stesso in cui la scura sostanza irritante s’era accesa, e lei era riuscita a cogliere il ghigno maligno sul volto dell’infame aggressore, in cenere non erano andati solo i semplici vestiti, che tanto facilmente si erano lasciati incendiare, ma con loro anche l’entusiasmo che solo una determinazione forte può conservare. Insieme a sogni, aspirazioni e promesse andate in fumo, si era spenta la sua volontà, ridotta in brandelli dalle spietate fiamme, lasciandola sola ad annegare in un gelido pozzo di triste acqua stagnante. Immobile si lasciò togliere il respiro, abbandonandosi ad un destino che avrebbe potuto essere combattuto con delle energie e una speranza che non le appartenevano più. Affondò, portando con sé quello che era stata e che non avrebbe mai potuto essere nuovamente, senza un minimo di rimorso per la sua scelta.

Valentina Grigio, 3BL.

SIMBOLOGIA, ASPETTI e RIFERIMENTI

  1. Dottor V: la lettera V, se osservata, può indicare sia i genitali maschili che femminili, così che il protagonista della storia si trovi in una posizione neutrale.
  2. L’ambientazione: serve ad aiutare il lettore ad entrare nell’ottica corretta ed iniziare a sospettare della sciagura che verrà in seguito.
  3. L’anziano: rappresenta il modo in cui la massa non bada alle gravi situazioni se non se le trova di fronte. A confronto con il protagonista, rappresenta la stoltezza e il menefreghismo della società.
  4. Numero della stanza “2511”: data della giornata contro la violenza sulle donne.
  5. Quadro alla parete: ispirato all’opera “L’angelo della morte” di Horace Vernet e rivisitato in chiave da rispettare l’andamento della storia.
  6. Il pozzo d’acqua: il luogo astratto che ospita l’anima della giovane morente in contrapposizione con il fuoco (sia materiale che effimero).
  7. Climax crescente e decrescente: il climax della lunghezza del testo è decrescente, in quanto inizialmente si dilunga in dettagli per poi compattarsi alla fine. Quello dell’intensità contenutistica invece parte scarsamente e finisce con pesantezza.