Ricordi

Collezioniamo ricordi ed emozioni foto in alcune come se non potessimo rivivere più quei momenti o riprovare quelle sensazioni, come se una volta vissuti andassero via per sempre, persi non si sa dove, lontani dalla realtà. Collezioniamo e accumuliamo momenti felici e tristi in alcune foto, come se riguardandole potessimo tornare indietro a quell’istante, immaginarci e sentirci nuovamente felici o tristi come lo eravamo lì. Collezioniamo avventure ed esperienze in alcune foto, come se non potessimo divertirci più come allora, come se non potessimo rivivere la stessa situazione e gli stessi attimi di gioia e spensieratezza. 

Collezioniamo in alcune foto anche i dolori: dolori fisici, dolori d’amore, dolori felici e dolori carnali, come se il ricordo un giorno potesse farci rimembrare i nostri errori, quelli degli altri, gli sbagli ma anche gli antidoti. Collezioniamo gioie, pianti, amori, sorrisi, abbracci e lividi, in foto che rimarranno conservate per sempre in un telefono, ma che potrebbero perdersi da un momento all’altro, sparire nel nulla e volare via con i ricordi. 

Trattiamo la galleria del telefono come se fosse il nostro cuore, in cui dovremmo raccogliere, accumulare e collezionare tutto ciò che cogliamo dalle esperienze che viviamo. Quelle foto dovrebbero essere solo la chiave per aprire le stanze dove sono conservati quei ricordi, e lasciare che pervadano il nostro corpo, la nostra mente e la nostra anima.

Una foto non potrà conservare le emozioni e le sensazioni né per poco né per sempre. 

Il cuore invece le conserva e le protegge con cautela e accortezza. 

Ormai viviamo per ricordare, quando invece dovremmo ricordare di vivere.

blu, 12

Guardami, cosa vedi?

Mi sfiori la mano mentre indico la costellazione che ti sto insegnando, afferri la mia mano e
te la porti al cuore. Ora è me che guardi, sento il tuo sguardo che spoglia il mio, guardami e
guardami ancora, scava dentro di me, per una volta sono felice che qualcuno lo faccia
perché nel tuo sguardo così puro mi vedo riflessa. Guardami, cosa vedi?
Io ti vedo, sei bello come il sole al tramonto e come la luna di notte, io sono solo una stella,
potrò mai essere abbastanza?
Ti guardo e ti guardi me, “promesso” mormori allungando il tuo mignolo, “promesso”.
Leghiamo le dita, le porti alle labbra in piccolo bacio mentre le osservi, cosa vedi? Vorrei
interpretarti più di quanto non sappia già fare, nel tuo sguardo colgo luci contrastanti.
Brilli come una cometa, e io corro, corro per starti dietro, per te farei questo e altro amore
mio.
Oggi sei triste, ti guardo, cosa c’è che non va? Parla con me, ma giace il silenzio e mantieni
una distanza che lacera il mio cuore. Mi sfiori in un abbraccio, gioiosa lo ricambio, ma mi
accorgo anche di come un ragazzo mi fissava insistentemente…è questo il motivo del tuo
improvviso affetto? Mi riempi di baci, che indugio a ricambiare.
Ieri hai insistito perché uscissi col tuo gruppo di amici al mare, ho visto la tua felpa addosso
a quella ragazza, aveva freddo, sei così premuroso…ma perché io invece sono rimasta
senza? è colpa tua marta, stupida, stupida, stupida, taci è ovvio che non si è accorto che
tremavi. Ha voluto assicurarsi che tu ci fossi, ti vuole con te, di cosa ti preoccupi?
Mi lasci un bacio sfuggente e mi guardi silenziosamente, ti rivolgo un sorriso che ricambi
debolmente, dimmi ti sto spegnendo? Non brillo quanto te, ma tutta la luce che ho nell’anima
la sto sfoderando per donartela.
Ti sei arrabbiato, anche ieri in realtà, beh ormai capita spesso…mi guardi mentre urli, sbuffi
quando vedi che non trattengo più le lacrime e mi guardi, senza proferire una sola parola.
Continua a guardarmi, ti prego, cosa vedi? Parlami…
Anche oggi abbiamo litigato, mi hai lasciato uno schiaffo sulla mia guancia sinistra che ho
sfiorato appena con la mano, mi hai chiesto scusa, ma è colpa mia, stupida, stupida marta.
Ora sta piangendo con me, non voleva farlo. Guardami mentre piangiamo, cosa vedi nella
mia anima?
Nei giorni seguenti lo hai rifatto, ancora e ancora, mi hai detto anche che sono una vittima
quando mi sono coperta le orecchie mentre urlavi, non mi hai guardato. Perché non lo fai
più?
Mi hai minacciato che mi lasci se non miglioro, io ci sto provando, sto provando a splendere
come te, ma sono solo una stella e tu la luna.
Oggi mi hai detto che ti sei innamorato di quella ragazza che aveva la tua felpa, vorresti
baciarla. Sono scoppiata a piangere e finalmente mi hai guardato, ma nel tuo sguardo c’era
solo disprezzo, non posso sopportare questo dolore, il tuo sguardo ora è peggio di non
essere amata da te, quindi ti ho aiutato, col cuore a metà.
Le cose tra noi però peggiorano, eppure faccio tutto quello che mi chiedi, ti prego dimmi
cosa sbaglio! Invece ti giri, e preferisci andare via lontano da me.
Ti amo, ma forse non l’ho urlato abbastanza? O forse semplicemente sei tu a non amarmi
più, e a volere trovare difetti ovunque in me, difetti che però ti do ragione, ho.
Ti sto lasciando, e non capisco se faccia più male ora, o quando mi hai detto che amavi lei e
sottinteso, non più me anche se lo negavi.
“Guardami” mi sussurri, e io rivolgo il mio sguardo nel tuo, per tutte le volte che ho
desiderato che tu lo facessi. Ti guardo e tu guardi me, per un momento che sembra infinito.
Guardami, cosa vedi?

Marta Soster 5CA

Arte 02

Ho scelto questo disegno perché mi trasmette felicità cosa che per me rappresenta il carnevale,
anche se non sempre, nella vita, ci si può nascondere dietro una maschera. Come il pagliaccio con
un naso rosso fa sì che, anche solo per un momento, chi lo vede non pensi alle proprie difficoltà,
ma si faccia una sana risata, penso che nella vita bisogna, a volte, saper trasmettere un po’ di
ottimismo senza risultare superficiali.

Dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 13

Ognuno di noi indossa una maschera, sempre, costantemente.
Essa viene portata per essere accettati dalla società, dal mondo.
Mostrare se stessi per come si è realmente è una sfida quotidiana che
ci viene posta dalla vita.
Le persone da ammirare sono proprio quelle che abbandonano tutte
le proprie paure, le proprie insicurezze, le proprie maschere per
mostrarsi al mondo facendo trasparire la loro essere.
Per immergerci più a pieno in questo argomento, vorrei citare
l’etimologia di questa parola: MASCA = finto volto che nasconde i veri
lineamenti della persona.
Questo significato molto profondo lascia trasparire molti riferimenti
quotidiani
ai quali potremo associare il termine maschera, come ad esempio i
social.
L’avvento di queste piattaforme hanno portato l’introduzione di una
nuova figura: gli Influencer ( termine inglese che sta a significare
persona che ti influenza ). Essi attraverso i social network ci
mostrano una realtà distorta e quasi irreale.
Noi,siamo così spesso infatuati dall’apparenza che ci dimentichiamo
di quanto sia falsa quella concretezza da loro proposta.
Sto parlando in particolare del loro aspetto,dei loro tratti esteriori
che sono i garanti in gran parte della loro popolarità.
Essi nascondono però maschere poiché tramite l’utilizzo dei filtri, che
cambiano i loro connotati, riescono ( come già detto) a cambiare la
realtá.
Come feedback a tutto ció molte persone, soprattutto le ragazze, non
rendendosi conto del loro mascheramento iniziano a sentirsi
inferiori, iniziano a farsi molte paranoie siminuendosi e provocando
così una notevole perdita di autostima.
Ed è qui che parte la costruzione della propria maschera, una
maschera che ti fa perdere l’unicità che ogni
persona porta con se, una maschera che ti omologa agli standard
della società: apprezzati ma tutti uguali proprio come delle mode che
vanno e vengono.
Il mondo è bello perché è vario: quante volte ci è stata detta questa
frase, e quante volte l’abbiamo dimenticata perchè di fronte ad un
minimo inconveniente abbiamo preferito nasconderci, rifugiarci
dietro il nostro travestimento al quale ricorriamo troppo spesso.
Il fatto è che non bisogna mai giocare troppo a nascondino con la
propria maschera perchè alla fine è in grado di trovarti facendoti
rimanere per sempre intrappolato in essa.
La maschera può mettere in contrapposizione il noi interiore, quello
nascosto, celato con il noi esteriore quello scoperto e visibile a tutti.
Questo conflitto è in grado di distruggere il noi interiore che,come un
fuoco d’artificio vorrebbe solamente esplodere e rivelare i suoi colori
nascosti.
Il noi interiore, invece, è la nostra parte migliore perché rivela la
nostra vera natura ed è per questo che non deve essere distrutto.
Spero che ciascuno di noi possa gettare la propria maschera altrove,
dimenticarsene e spostare il focus nel nostro noi interiore che non
deve essere mai più velato da niente e da nessuno.


Ciascuno si racconcia la maschera come può

la maschera esteriore.
Perché dentro poi c’è l’altra, che spesso non s’accorda
con quella di fuori.
Luigi Pirandello.

Dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 09

Le Maschere
Le maschere sono un accessorio che tutti costantemente indossano grazie alle parole, alle menzogne che ci
riguardano. Indossare una maschera ci fa sentire più sicuri, nasconde le nostre insicurezze che non vogliamo
mostrare agli occhi degli altri e ci rende accettabili alla società. È molto più comodo evitare il giudizio,
spesso non richiesto, delle persone, che esporre parti troppo vulnerabili di noi stessi. Ci adattiamo alle
esigenze degli altri assumendo personalità ed atteggiamenti che non ci appartengono, annullandoci e
dimenticando la nostra reale identità. Indossando una maschera possiamo rimanerne prigionieri,
condanniamo noi stessi a vivere in modo ripetitivo e automatico. Proprio per questo motivo bisogna essere
sinceri e abbracciare il vero Se, imparando ad amare ed accettare anche i nostri difetti, perché, se vogliamo
essere amati, dobbiamo prima essere innamorati di noi stessi.

Dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 01

Vivo dietro una maschera. Ho paura del mondo, ho paura di me stessa. La mia maschera mi
protegge dagli altri, e protegge gli altri da me. È come una barriera che mi isola dal mondo, e
isola esso da me. Tengo tutto dentro, nel piccolo mondo che mi sono creata. Nessuno
conosce la vera me, nemmeno io la conosco. Solo la mia maschera sa chi sia veramente.
La mia maschera recita il ruolo della ragazza gentile, premurosa ed educata, ma da dietro
contengo la rabbia per tutte le ingiustizie, l’abbandono e le prese in giro. La tengo isolata
perché il mondo non è pronto ad accogliere il mostro che ha creato. Non è pronto ad
accettare il demone che si cela dietro ad un angelo.

Luci spente

Dal treno ciò che si vede sono piccole valli con alberi. Casette qua e là che spuntano fuori a piccoli gruppetti.

Chissà quando arriveremo, in questo posto molto atteso…

La sera qui fa freddo, però le luci illuminano la città.

Abbiamo ancora tanta strada da fare a piedi, ma se ti giri e ti guardi attorno, te ne dimentichi quasi.

Stasera la città sembra spenta, il divanetto sul quale sono seduto non è più illuminato dalle luci che prima lo illuminavano, però qualcosa c’è. Parte Calcutta, poi Battisti…

Chissà se questo posto si ricorderà. Di quelle canzoni cantate per strada senza farsi problemi. Se un giorno, resteranno ancora al buio quei divanetti, tra qualche scambio di parole che si sono messe a prendere il volo per un po’.

Anonimo

Poison

Sono solo un’ombra per le strade
e il tuo dolce aroma mi invade:
non posso più scegliere.


Dammi tutto il tuo veleno
non ne sono mai sazio.


Eccoti, con i tuoi occhi rossi bramosi
di qualcosa che potrei (ma non ti voglio) dare
Tu con quegli occhi lussuriosi:
Mi lascerai mai andare?!


Dammi tutto il tuo veleno:
lasciamo la nostra eccitazione fare ciò che le piace!
Dammi tutto il tuo veleno:
non ne sarò mai sazio!


Lascerò le tue dita scorrere dentro me
lacerandomi,
scarnificandomi,
Corrompendomi.


Mi dai tutto il tuo veleno,
Ma io sto esaurendo lo spazio.


Io ti imploro,
Basta col veleno!
Non vedi,che ne sono pieno?!


Ma tu non vuoi vedere,
Ti piaccio solo quando sono in catene…
Sto diventando troppo bravo
a tenere questa maschera che copre il mio viso…


Eccomi in ginocchio
Faccio il gattino davanti a te
Anche se dal dolore che mi arrechi io ringhio:
Non mi lascerai mai andare…


Sto annegando nel tuo veleno,
anche se vorrei farne a meno.


Sto annegando nel tuo veleno,
lo spazio per il vero me sta svanendo
e lentamente mi stai uccidendo…


Warr;or

Scrittura 08

Le maschere ci fanno sembrare diversi
Da quello che siamo in realtà
Ci fanno nascondere i nostri sentimenti
E la nostra personalità

Le maschere ci fanno vivere in menzogna
Ci fanno seguire una falsa morale
Ci fanno rinunciare alla nostra dignità
E alla nostra libertà individuale

Ma noi possiamo liberarci dalla maschera
E mostrare il nostro vero volto
Possiamo vivere secondo la nostra coscienza
E seguire il nostro cuore e il nostro sogno

Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi
E di mostrare al mondo la nostra bellezza
Dobbiamo avere il coraggio di essere diversi
E di mostrare al mondo la nostra ricchezza

Grazie.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 05

Semplicemente a volte indossiamo delle maschere, le indossiamo perché abbiamo paura di ciò che ci circonda e di quello che potrebbe accadere se le togliamo.
Immaginiamoci sopra ad un palco, come degli attori di successo di uno spettacolo, la vita, noi ne siamo protagonisti e decidiamo quale delle nostre svariate maschere indossare, c’è ne sono migliaia, una per ogni occasione, a volte però un attore ha bisogno di mostrare il suo vero lato per avere successo e di non nascondersi celandosi dietro un insulso costume , che lo rende totalmente diverso da quello che lui è ; perciò togliamoci questa maschera e mostriamoci al mondo per quello che siamo, strani, belli, brutti, simpatici, antipatici, perspicaci, intelligenti e soprattutto coraggiosi.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

La solitudine

Le quattro cause aristoteliche

“La parola causa si usa in 4 sensi, di cui uno è che diciamo causa la sostanza e l’essenza, ma un altro la materia e il sostrato; un terzo quello da cui viene il principio del movimento, un quarto la causa contrapposta a questo ossia il fine.”
Marmo: causa materiale.
Soggetto: causa formale.
Scultore: causa efficiente.
Ammirazione: causa finale, motrice.
Aristotele sosteneva fermamente che, trovando queste quattro cause, si potesse definire il mondo, che bastassero a sapere tutto quello che serve su qualsiasi cosa. Trasferendo questo modello nella concretezza si nota come i primi tre fattori siano facilmente identificabili e strettamente legati, dipendenti l’uno dall’altro; per il quarto invece la questione si complica, l’analogia non risulta altrettanto evidente. La causa finale è discorde, si cela nell’ombra delle altre tre, ma in realtà è l’unica in grado di attivare la potenzialità della materia, della forma e del principio. Non è oggettiva. Una statua può essere ammirata, venerata, esposta, studiata, interpretata, può far commuovere, può allo stesso tempo disturbare. Diversi sguardi, diversi fini.
Ragionando su questa immortale teoria filosofica risulta quasi banale comprendere come qualsiasi oggetto o essere esista solo in relazione alle sue cause, e soprattutto in relazione al suo scopo. Una statua si può chiamare statua che sia in bronzo, in marmo o in terracotta; si può chiamare statua nonostante assuma forme di soggetti e personaggi diversi, si può chiamare statua indipendentemente dal suo autore, ma cosa sarebbe una statua chiusa in una stanza buia? Cosa sarebbe un Monet senza occhi che lo contemplino, un ballerino senza applausi, un attore senza teatro, uno scrittore senza penna. Perché si sente spesso dire “questo posto è casa”, oppure “gli amici sono la mia casa”? Perché il fine della casa, non è avere un tetto e un pavimento, ma è dare
sicurezza, conforto, intimità.
Per me un uomo solo è un uomo che ha perso la sua causa finale.
Un uomo che non trova più il suo scopo e lo cerca come si fa con il telecomando della televisione, o le chiavi della macchina; lo cerca disperatamente, ma non lo trova mai nonostante sia sotto ai suoi occhi. E più lo insegue, meno speranze ha di farcela. “Credo che sia questa la prima solitudine, il non sentirci utili”, il non avere più quella forza motrice in grado di spingerci a vivere. Non siamo mai del tutto soli. Abbiamo un compagno fisso, il nostro fine, che rincorriamo imperterriti. A volte però inciampiamo in altre vite e allora ne inseguiamo uno diverso, altre invece cadiamo per terra e lo perdiamo nell’intento di rialzarci. Questi sono i veri momenti di solitudine che spesso vengono fraintesi e definiti come mancanza di compagnia. In realtà credo che l’assenza di attenzioni, l’esclusione, la lontananza, possano generare solitudine, ma non siano da confondere con essa.
“Noia, nulla è così insopportabile all’uomo come essere in pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente allora la sua nullità, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto”. Stare soli genera noia, noia genera solitudine. Noia vista come sentimento di inutilità e vuoto. “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”. La solitudine di Montale non è soltanto quella di aver perso la moglie, ma quella di aver perso il suo scopo ossia amarla, prendersene cura, porgerle il braccio indipendentemente dalle difficoltà, indipendentemente dal numero di gradini.
La solitudine è qualcosa di strettamente legato a noi stessi, alla relazione che creiamo coi nostri pensieri, al rapporto perpetuo che c’è tra “me” e “io”, non tra “me” e “voi”. “La solitudine non è un albero in mezzo a una pianura sconfinata, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia”, tra parti diverse di uno stesso insieme, tra il cuore e la mente, tra i pensieri e le azioni, tra il sopravvivere e il saper distinguersi.
La solitudine non è una barca in mezzo al mare, ma una barca senza equipaggio. Non è una lettera non letta, ma una lettera non inviata. È una bocca che non vuole parlare e una mente che non sa pensare. Non è un addio, ma è un saluto carico di rimpianti. Non è uno strumento musicale lasciato in un angolo, ma un violino non accordato. Non è un “ti amo” tremante proferito nel silenzio, ma è un “ti amo” mai detto. Non è uno “scusa” sussurrato, ma è un perdono mancato.
La solitudine non è un uomo solo, ma un uomo senza scopo.

Scrittura 02

Penso che anche se apparenza e realtà siano 2 cose completamente
diverse, abbiano in fondo un legame comune: entrambe possono essere
interpretate.
L’ apparenza viene creata dal nostro subconscio, dal nostro modo di
pensare e anche se pensata per un certo scopo può ottenere risultati
totalmente contrastanti tra loro.
La realtà, anche se definita oggettiva, può essere letta in mille modi diversi.
Come possiamo sapere con quale criterio viene definita oggettiva?
Le maschere che ognuno di noi costruisce, perché sì, anche le persone più
sincere possiedono varie maschere, sono apparenti, quasi definibili da
copione.
Non vengono costruite per una questione di falsità, ma più per un fatto di
sopravvivenza pacifica.
Tanto più una persona riceve degli obbiettivi da raggiungere, delle
aspettative, tante più maschere crea per non deludere gli altri.
Tanti più ambienti frequentiamo, tanti più amici abbiamo, tante più
maschere saranno.
Ognuno di noi crea apparenze diverse con persone diverse, ma come.
facciamo a riconoscerci per quelli che siamo veramente?
Penso che siamo un po’ un insieme di tutte le maschere, le apparenze che
creiamo.

Pirandello sosteneva questa sua idee delle persone che indossano
maschere adattabili a ogni situazione, e io concordo con lui.
Quindi, direi che ognuno possiede un po’ la sua realtà, dove può
trascorrere le giornate in pace e in serenità.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 14

Io credo che oggi la società impone di pensare che sia più importante far credere di star
bene nei panni di altri, per questo fingersi a proprio agio in atteggiamenti di moda, a tal
punto da perdere chi si è realmente.
Non capivo se ero me stessa, finché non mi hanno iniziano a denigrare per come mi vestivo,
per il mio punto di vista o perché non ero come loro… ma il mio tentativo di comportarmi
“come loro” mi faceva male, mi annullava e quindi non mi stava bene addosso non lo sentivo
mio perché non mi era naturale.
Mi avevano chiesto perché non ero come le altre, direi che è perché non so fingere di essere
omologata come “le altre”.
Un giorno guardando un film ho sentito una risposta a cosa dicono del tuo stile in giro: ‘Un
po’ di offese e insulti, certo. Ma amo dire che “normale” è l’insulto peggiore che esista…’.
Decidi di essere normalmente te stesso sempre e fregatene qualsiasi cosa accada non
cambiare mai, perderesti “solamente” te stesso… che pensandoci “solamente” non è.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

POZZANGHERE

“Ma fai rumore, sì. Che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te”, dice Diodato in una delle sue canzoni.

Il silenzio è bello, però c’è una sorta di limite credo. Questo, arriva quando si inizia a sentire un vuoto. 

Ma non il solito, no.

Non è quel tipo di spazio che si è creato e di cui si sente quasi il bisogno di riempirlo. O anche accettarlo a volte…

Ma fa male.

Fa male

Fa male

Fa male

Male, come quando cerchi di guardarti allo specchio e non ti riconosci. 

Ti guardi negli occhi e non vedi nulla. E se ti va bene, diventano lucidi e poi piangi. Ma è raro che succeda.

È difficile anche quello. Anche piangere all’esterno a volte…

“Diamo da bere” a queste pozze d’acqua, non è abbastanza. Non sgorga ancora acqua, deve arrivare al limite. No?

Vorrei essere leggero. Vorrei saper dire delle cose che non so dire, senza aver paura. Vorrei correre per poi cadere. Rialzarmi, ma prima di farlo stendermi per bene in una pozzanghera e nel mentre aiutarla a riempirsi. 

Poi però, rialzarmi come detto, e correre nuovamente. Girare su me stesso fino a quando non mi girerà la testa e inizierò a sorridere come un cretino, come quando di solito lo faccio. 

Magari urlare, magari condividere la solitudine…

Silenzio, devi startene zitto. Capito?

La libertà è per pochi, la libertà è scoprire di esser soli.

Le foglie cadono, e tu cadi come loro. 

Non lo vedi, ma a terra ci sei e non ti stai alzando.

Svegliati!

Beep beep beep beep (la sveglia che suona)

Pioggia silenziosa

Immagino la segreteria telefonica, i messaggi che non si inviano.
Il silenzio, il nulla…
Immagino te, e tutto questo.
Il mio silenzio.
Sono sparito, ma ora eccomi qui.
O forse, ora sono nuovamente diventato il silenzio. Non più quel tipo di vuoto
necessario al tempo, ma quel
niente insignificante nonostante io sia qui questa volta. Non è volontario. Forse, è diventato reale. Quello
spazio necessario di silenzio assordante…
Non ha mai smesso di piovere in questa stanza. Come non ho mai smesso di aspettarla, la pioggia, per
piangere assieme a qualcosa che non fosse una persona.
De André dice: “C’è chi aspetta la pioggia
Per non piangere da solo”
Chissà quante altre persone la aspettano…
I Ricordi, possono riprendere vita da qualche altra parte a noi ignota?
Se è così, vorrei solamente essere per un attimo una persona esterna ai miei ricordi, per guardarli un’ultima
volta da fuori.
Non voglio riviverli in prima persona, no. Perché sennò non sarebbero quel che sono stati.
Non è possibile però, è solo una cosa troppo malinconica accompagnata dalla mancanza di qualcosa forse.
Piangere, è liberatorio. Però, a volte la pioggia “arriva un po’ in ritardo” per farti compagnia nel mentre.
Quindi, non si aspetta più la pioggia per non piangere in solitudine. Piove e basta, anche senza di lei…

– Anonimo

Sei tornato

Sei tornato,

e con te è tornato anche il bisogno di scrivere.

Sarà perché sei in ogni pagina di questo quaderno,

sarà che l’ho cominciato quando sei entrato a far parte della mia vita,

sarà che quando te ne sei andato non ho più avuto nulla da scrivere.

Avrei potuto, tutto sarebbe andato bene.

Eppure non ne trovavo il senso.

Ho continuato a scrivere,

a disegnare,

a ballare ad occhi chiusi.

Diversamente,

con altre persone,

con vuoti dentro differenti.

Sei tornato,

ed è tornato questo spazio che, come facevo con te, ogni tanto mi fermavo a riguardare.

Pensando a com’era averlo sempre con me,

a come mi sentivo libera aprendomi,

sapendo che non sarei stata giudicata.

Sapendo che sarei stata ascoltata in questo silenzio,

forse non più troppo rumoroso, perché ora sappiamo.

Ciò che serve.

Ci manchiamo.

Quello che non sai è che queste pagine vuote,

il vuoto che hai lasciato,

non l’ho mai voluto riempire.

Ed è rimasto qui,

ad aspettarti.

Un po’ come ho fatto io.

Sperando un giorno di essere riempito ancora.

blu, 12

15/03

“Ciao, ti va se sabato usciamo? È da tanto che non ci vediamo. Magari facciamo un giro dove vuoi tu, dopo scuola, e poi stiamo in giro come al solito fino a sera se ti va”


“per me va bene, avviso i miei ma in teoria mi lasciano sì…”


Sabato
“Io ho fame e infatti ora credo mi prenderò qualcosa da mangiare, però mangi anche tu eh,
così mi fai anche compagnia”
Come glielo spiego, non glielo spiego…
Non saprei nemmeno come farlo. Far vedere cos’ho dentro realmente, farebbe paura forse.
Io faccio paura. Come sono finita così?
Vabbè ora non c’è tempo per pensarci, devo dire qualcosa sennò sospetterà che forse sto pensando troppo, e nel mio silenzio c’è qualcosa che non va.
“Ho mangiato tanto stamattina a colazione, poi oggi a merenda i miei compagni di classe hanno portato del cibo e direi che ho mangiato anche abbastanza. Sono apposto io, però ti accompagno pure a prendere qualcosa.”


“Sicura?”


“Sì, tranquilla”


Ogni giorno controllo che il mio polso sia diminuito di circonferenza, testo sempre se riesco a farci passare un dito o più nello spazio che si crea quando cerco di afferrarlo con una mano.
Se non ci passa mi arrabbio, non so bene il perché, o forse sì…
Ogni mattina verifico che io sia rimasta ad almeno dei chili in meno dal giorno precedente.
Se non è così, mi metto a fare ginnastica in camera, oppure vado a correre.
Solo il pensiero che possa anche questa cosa sfuggirmi di mano, non lo riesco a sopportare.
Vorrei avere almeno una cosa sotto controllo in mezzo a tutto il caos che mi sento attorno…”


“Se prima era l’autolesionismo a placare un qualcosa che non riuscivo più a tenere dentro, ora si è tramutato in qualcos’altro…
Non so come ci sono finita qui. Ormai è diventata routine.
Il cibo è “mio amico”. Quando mi sento sola, quando vorrei farmi del male, quando c’è qualcosa in me che sembra essere ingestibile, io so di avere un amico al mio fianco…
È lì, lui non se ne va mai.
Mi accompagna nei pianti, quando sono nervosa.
Quando sento che non vorrei essere qui, essere viva…
Rido e continuo a mangiare. Mi abbuffo di cibo, tanto ormai sono grassissima. La mia autostima è a pezzi, a cosa serve che io mi preoccupi?”
“Non voglio guardarmi, devo solamente passare davanti allo specchio velocemente senza riuscire a guardarmi anche solo per un pò. Non riesco…
Sono io quella? Dio, quanto faccio schifo. Perché l’ho fatto. Perchè ho mangiato così tanto oggi? Devo consolarmi con qualcosa. Ho bisogno di qualcosa, mi manca qualcosa. Ecco trovato, nella dispensa dovrebbero esserci degli altri biscotti…”


I disturbi del comportamento alimentare (DCA), non sono capricci. Sono patologie e disagi di natura psicologica. Se ritieni e ti accorgi che avresti bisogno di aiuto, o ti rendi conto che qualcuno ne avrebbe bisogno, non aver paura di chiedere aiuto. È importante, tu sei importante, tutti noi lo siamo…

– Anonimo

#ColoriamociDiLilla

Ammasso di voci opprimenti,
pitturano lacrime che celano infiniti tormenti.


Una lotta morbosa
contro quella creatura schifosa,
che si nutre di un mito incessabile e persistente,
mi tormenta continuamente.


Un largo maglione mi copre,
per soffocare quella voce mediocre;
voce che tutti possono ascoltare,
che nessuno osa mutare.
– Rigotti Angelica 3ASA