A rose in Harlem

Le spine le sono cresciute con il tempo e hanno coperto ogni centimetro del suo corpo.

“Proteggiti dagli altri”, le dicevano.

“Resisti al freddo”, le dicevano.

“Lotta per non farti spezzare”, le dicevano.

Ingenui, cosa ne può sapere un fiore di campo di cosa vuol dire crescere nel cemento?
Tutto inizia quando finisci nella crepa di qualche marciapiede per caso o per destino, trasportato dal vento o
dalle sporche suole di qualcuno troppo preso dalla sua vita per accorgersi della terra che ruota intorno a lui.
All’improvviso sei solo, al buio, confinato in strette pareti che sanno di fumo e sogni infranti. Senti la terra
reclamarti piano ogni volta che cerchi di sbirciare attraverso la fessura che ti separa dal resto dell’atmosfera.
Piccoli “non te ne andare” si mescolano lievemente, fin troppo perché tu ti senta in dovere di prenderli alla
lettera. Così inizi a salire e salire, in cerca di quei raggi di sole che hai visto qualche volta nei tuoi sogni. Ti
contorci, ti allunghi, ti comprimi, ti allarghi, ti riaggiusti. Tutto in virtù di quel fatidico momento in cui sarai
capace di guardare in faccia il sole. Ti sei immaginato spesso come sarebbe stato incontrarlo: avresti alzato la
testa e lui sarebbe stato proprio lì ad aspettarti. Probabilmente, vi sareste sorrisi a vicenda e poi ognuno
avrebbe proseguito con la sua storia, come se condividere lo stesso cielo non vi rendesse già più intimi di due
amanti. Due amanti che, silenziosamente, si professano il loro amore da due parti opposte della stessa stanza.
Eppure, quando quel momento è finalmente arrivato, dopo che hai combattuto contro la pioggia e la siccità,
contro le sigarette e i fazzoletti di carta, contro il sangue di un bambino caduto mentre giocava a pallone e le
lacrime amare di una madre che ha perso il figlio. Alzi la testa e non vedi il sole, vedi solamente una palla di
fuoco troppo timida per farsi guardare negli occhi più di qualche secondo. Non vedi le nuvole ma mucchi di
cristalli di ghiaccio troppo impauriti per potersi separare l’uno dall’altro. Non vedi la luna ma un ammasso di
polvere e sassi troppo arrogante per pensare di mostrarsi solo durante la notte. Non vedi le persone ma
accozzaglie di ossa, muscoli e cuori palpitanti pronti ad essere spezzati dal prossimo sconosciuto che
incontreranno o dalle impervie che il fato deciderà di mettergli sul cammino.


Sei deluso, eh? Tutta questa fatica, tutto questo sudore, tutte queste energie e questo è quello per cui hai
lottato tanto? Un mondo rotto alle appendici e una natura piegata ad esso? Non rimpiangi almeno un po’ le
strette pareti del tuo marciapiede? Oppure sei disposto ad accettare questa dura realtà solo perché sembra più
reale di quella in cui sei nato? Sicuramente non sta a me o a te giudicare, ma di una cosa possiamo essere
certi: una volta sbocciata, la rosa non può più tornare ad essere un seme. Quindi pensaci bene la prossima
volta che sceglierai di seguire i consigli di un fiore di campo.

Anonimo