Ansia

Difficile respirare quando una stretta alla gola e un peso che ti si schiaccia il petto ti impediscono
di farlo. Difficile concentrarsi quando uno stormo di pensieri negativi ti invade la testa.
Impossibile scacciare l’ansia che ti dilania improvvisamente. Cerchi di fare quello che ogni volta,
seppur lentamente, funziona. Smetti di fare qualsiasi cosa tu stia facendo, metti via libri,
quaderni, appunti che stavi scrivendo, con un gesto del braccio li sposti tutti da un lato. Ti alzi e
fai i pochi passi che ti separano dal tuo letto. Il tuo dolce caro letto che ha un duplice ruolo nella
tua vita: da una parte rifugio soffice e accogliente che ti culla nei momenti di dormiveglia e ti
accompagna nel mondo dei sogni ogni sera, dall’altra superficie infernale che assiste ai tuoi
momenti peggiori e si inzuppa in alcuni punti a causa della tua cascata di lacrime. Sali sul letto, ti
stendi, cerchi di far svanire tutti questi metaforici pugnali che ti trapassano il cranio. Ma non ci
riesci e ti si inumidiscono gli occhi.
Segue una lunga serie di domande che ti rivolgi sempre quando raggiungi questo punto: perché
devi sempre reagire così, quando smetterai di essere così debole, sarai sempre l’unica persona che
conosci a essere così strana, come farai ad affrontare situazioni peggiori, perché non riesci a darti
una calmata.

Quesiti senza risposta, naturalmente, e allora passi alle offese: sei proprio senza speranza, anche
tu non ti sopporti più, che pesante, che imbecille, che disastro, che noia. E vai avanti a lungo fino
a quando non ti accorgi che stai ormai piangendo, che stai ormai tremando e singhiozzando, che
stai ormai lasciando il controllo a questa parte di te. Tutta la settimana l’hai repressa, hai provato
a tenerle testa, occupando la tua mente in varie attività, hai cercato di parlare coi tuoi amici
costantemente, di ascoltare solo quel genere di musica che, invece di farti affrontare la realtà del
tuo stato, ti fa ballare per la camera, hai impegnato tutte le tue energie ad evitare di rimanere in
solitudine coi tuoi pensieri. E a poco è servito, perché il secondo lato di te prende il sopravvento
quando e dove vuole. Non si cura di quanto hai da fare, di che ore sono, di che stato d’animo
avevi il momento prima. Abbassi per un attimo la guardia: una canzone triste, un pensiero di
troppo a qualcosa che ti porta a ricordarti di ciò che non vorresti mai farti tornare in mente.
E click, scatta quel qualcosa nella tua testa. Te ne accorgi subito e ti maledici immediatamente
per averlo fatto di nuovo. Sai già dove di porterà tutto ciò, ma ti illudi che questa volta sarà
diverso. Non è mai diverso, però, finisce sempre allo stesso modo e lo sai. Con te in preda
all’ansia, alla paura, all’odio per la tua stessa persona, alla disperazione, ai rimpianti, alla sfiducia
nel futuro, ai dubbi sul presente.

E tutto ciò capita se decidi di arrenderti, se cedi a questa forza maggiore, consapevole
dell’inutilità del cercare di continuare con quello che aveva la tua attenzione fino all’attimo
precedente. È solo così che ci metti meno a riprenderti e dopo un po’ arrivi anche a dimenticare
l’intensità di quello che avevi provato.

Ma se, invece, in un momento di ingenuità, credi che riuscirai ad andare avanti lo stesso, a
studiare quelle poche pagine che ti mancano o a sistemare gli ultimi vestiti del tuo armadio,
perché pensi che riuscirai ad avere il controllo, che non crollerai come l’ultima volta che hai
provato a resistergli, ti sbagli di grosso.

Perché fermarti subito ti evita di peggiorare la situazione, di avere un mental breakdown di quelli
spaventosi, di quelli che non vuoi mai provare, di quelli da cui è molto più difficile riprendersi,
di quelli che ti rovinano l’intera giornata. Se ti fermi e lasci che tutto ciò si impossessi di te, fai
meglio.

Anzi, sarebbe meglio non provare nulla del genere, sarebbe meglio non perdere tutto questo
tempo solo per non essere più sofferente, sarebbe meglio non dover attraversare tutto ciò nella
solitudine della tua stanza.

Non sai nemmeno come definire questo stato, questa condizione, questi momenti. Ci hai provato
qualche volta a parlarne a qualcuno, consapevole che nessun individuo che non lo abbia provato
potrebbe capirlo. Ti chiedi anche se ci sia effettivamente qualcun altro, oltre a te, ad averlo
provato. Forse potresti spiegarlo se sapessi di cosa si tratta. È facile che risulti una forma di
pigrizia, di incapacità di organizzarsi: una persona che, proprio quando ha raggiunto il picco di
impegni, proprio quando ha la scrivania colma di libri, pronta a finalmente dedicarvisi, dopo aver
a lungo posticipato questo momento per paura di andare incontro all’ennesimo crollo, deve
fermarsi. Non vorrebbe farlo, non è pigra, né irresponsabile. Semplicemente è incapace di andare
avanti, non riesce. Deve smettere, almeno per un po’.

Probabilmente è un effetto collaterale dell’ansia, ma non dell’ansia di cui si parla comunemente,
della lieve agitazione che si prova prima di un compito. Ma l’ansia con l’iniziale maiuscola,
l’ansia che ti impedisce di fare ciò che vorresti fare, di pronunciare le parole che vorresti dire, di
alzarti dal letto quando sai che sarà una giornata particolarmente stressante.

L’ansia che porta conseguenze sul tuo fisico, l’ansia che ti fa perdere peso, l’ansia che ti dà mal di
testa, mal di pancia, male al petto, l’ansia che fa sudare le tue mani, l’ansia che porta rossore sul
tuo petto e sul tuo collo, l’ansia che fa tremare la tua voce, l’ansia che ti fa pensare che da un
momento all’altro il tuo cuore evaderà dalla cassa toracica.
Strano, però, come un fenomeno del genere sia così sottovalutato.
Il fatto è che non è facile immaginare il mondo che c’è dietro una persona, tutto ciò che avviene
al suo interno oppure nella sua abitazione. Siamo spesso portati ad avere una certa idea delle
persone che ci circondano e, effettivamente, di ogni singolo individuo al mondo esistono mille
diverse versioni nella testa di chiunque lo abbia incontrato oppure ne abbia anche solo sentito
parlare. In “Uno, nessuno e centomila”, libro che mi ha aperto gli occhi, Pirandello si sofferma in
una maniera affascinante su questo aspetto. Non conosceremo mai completamente una persona,
perché siamo condizionati da un insieme di fattori nel pensare agli altri e a noi stessi.
Inevitabile, alla luce di ciò, sottolineare l’importanza della comunicazione. Dobbiamo aprirci di
più, esprimere le nostre insicurezze, i nostri dubbi, ciò che ci turba o ci rende felici. Questo è
l’unico modo che abbiamo per aiutare gli altri a comprenderci, l’unica arma per combattere la
distanza che c’è tra un individuo e l’altro, evitando di arrivare ad un punto di non ritorno, dove
pesanti silenzi fluttuano nell’aria tra noi e gli altri.

Parliamoci, guardiamoci, supportiamoci. Se non ci sentiamo a nostro agio con nessuno e
proviamo un turbine di emozioni, non teniamole per noi stessi. Rivolgiamoci agli specialisti che
sono in grado di aiutarci a conoscerci.

L’ansia stessa è un fenomeno che, quando arriva a creare determinate situazioni, dovrebbe essere
affrontata con l’aiuto di qualcuno che, grazie alla sua formazione, sa come guidarci. Perché
curare la salute mentale è importante tanto quanto mettersi una sciarpa al collo quando fa freddo,
solo che è meno spontaneo.

Spero, quindi, che chiunque si sia rivisto in queste righe, sia consapevole del fatto che non è solo
e che non deve affrontare tutto ciò senza alcun aiuto. Nel mio piccolo, vorrei aver acceso una
scintilla di speranza in coloro che temono di esprimersi su questi argomenti, perché,
ricordiamolo, non esiste il contrasto tra persone “sbagliate” e persone “normali”. Ci sono solo
persone, tutte importanti allo stesso modo e degne del medesimo aiuto.

Andra Bandrabulea 4AL