Sporcizia

L’unico sapore che percepisco è quello della sporcizia, mentre il sangue scivola tra le
fessure dei miei denti. Lo stesso sapore che rimaneva sulla mia lingua quando ero piccola e
sputavo la terra ingoiata durante le mie cadute. Ero indifesa: nella mia maglietta a fiori, i miei
leggins neri, il mio cerchietto con le rose e il lucidalabbra rosso, non sapevo cosa
significasse vivere in questo mondo. In un pianeta dove se sei debole devi venire sopraffatto
e abusato; un pianeta dove, se non sei come gli altri vogliono, devi soffrire per loro mano.
Quando questi anche solo scorgevano la mia presenza, diventavo l’attrazione più divertente
di tutta la scuola. L’accanimento su di me, per loro, era fonte di grosse risate, soprattutto
quando con le loro scarpe sudicie, con cui avevano corso per il cortile, mi calciavano la
schiena, buttando il mio esile corpo a terra. Solo lui ha cercato di sollevarmi, guardandomi
dritta negli occhi quando cercavo di pulirmi lo sporco via dai vestiti, con i brividi lungo la
schiena e gli occhi gonfi di lacrime. Solo lui mi ha raccontato delle sue giornate, senza
ignorarmi come se fossi un mostro disgustoso. Solo lui mi ha invitato a casa sua per studiare
insieme, spostandomi i capelli dal viso quando appoggiavo la fronte al tavolo, esausta dallo
sforzo. Nella mia fragile dormiveglia, lo sentivo spostare le dita sul mio corpo: dalla nuca alle
spalle, dalle spalle alla schiena, dalla schiena ai fianchi, dai fianchi alle cosce. Solo lui mi
sussurrava all’orecchio di essere solo sua e di nessun altro. Me lo ripeteva ogni giorno,
come se fosse una preghiera che dovevo imparare a memoria e tatuarmi nella testa. Me lo
ripeteva anche mentre mi coprivo gli ematomi che mi procurava, picchiettando il correttore
con la spugnetta sui lividi neri. Diceva che provare lo stesso male che provava lui quando mi
vedeva insieme ad altri era l’unico modo per imparare a rispettare le regole che mi dava.
Che fosse mio padre o mio fratello, vedermi vicino ad altri maschi lo faceva ribollire di rabbia
all’interno: lo potevo percepire dal tremolio della sua voce quando mi intimava di non fare
cazzate o avrei dovuto pagarne le conseguenze. Senza nemmeno pensarci però, credevo
ad ogni sua singola parola e cercavo la tonalità di rossetto più scarlatta, chiedendomi se gli
sarebbe piaciuto vedere sulle mie labbra lo stesso colore del mio sangue. Lui era l’unico
uomo che mi meritavo e che potevo permettermi, colui che era destinato ad accompagnarmi
fino alla tomba.
Queste situazioni erano aumentate notevolmente da quando la nostra scuola aveva
annunciato il ballo di fine anno, a cui ovviamente volevo andare. Emozionata dalla nuova
esperienza a cui potevo partecipare, mi ero precipitata a girare per negozi per cercare l’abito
perfetto. Nessun dettaglio tralasciato, massima attenzione per ogni singola caratteristica del
modello. Tutto curato nei minimi dettagli per renderlo felice. Avevo preparato anche un
piccolo regalo per lui, mentre lo aspettavo seduta sul divano a casa, con il cuore in gola per
l’ansia. Non potevo aspettare un minuto in più.
Quando però ho sentito il rumore dei suoi passi sul vialetto di casa e un click metallico alla
porta, che ne indicava l’apertura, un sapore amaro è salito dall’interno del mio stomaco fino
alla gola. Perché sapevo benissimo che mi aveva proibito di comprare abiti di quel tipo, ma
io lo avevo ignorato completamente e lo avevo fatto comunque. Avevo commesso una
sciocchezza. Avevo dato importanza al cuore e non alla mente. Quando il primo schiaffo ha
colpito la mia guancia, infatti, ne ero già a conoscenza. Quello che però non potevo sapere
era che, qualche istante dopo, la persona che avevo più amato in tutta la mia vita e a cui
avevo perdonato ogni peccato mi avrebbe presa e costretta a terra, con la pancia giù e il
bacino alto. Ha messo una mano davanti alla mia bocca, non permettendomi di emettere
nemmeno un gemito, e ha fatto entrare due dita, posizionandole sopra la lingua, così che se
avessi provato a dimenarmi mi sarebbero saliti dei forti e naturali conati di vomito. Il tintinnio
della fibbia che segnalava la cintura caduta a terra mi ha portata a scontrarmi con la gravità
della situazione. Ho provato a mormorare di smetterla, che avrei fatto qualsiasi cosa,
veramente qualsiasi. Ma lui non ha sentito, e ha deciso con un colpo deciso di rompermi il
cuore, dato da un dolore istantaneo che mi ha trafitta dall’interno del mio corpo. Ha
continuato a usarmi come la sua bambola per una quantità di tempo che non saprei
precisare, dato che ogni movimento mi è sembrato durare un’eternità. Un infinito inferno in
cui le mie pareti venivano strappate senza ritegno. Ho capito che aveva finito di soddisfare la
sua indole solo quando sono caduta, con un sonoro schiaffo, sulle mattonelle fredde del
pavimento.
Ed è qui, intrappolata, incollata nel luogo del crimine, ora ricoperto di sangue, sudore e fluidi
appiccicosi che colano dalle mie gambe, che riconosco di avere sbagliato tutto nella mia
vita.
Riconosco di essere stata una stupida.
Riconosco di essere stata ingenua.
So benissimo che ogni speranza è vana. Forse farei meglio a lasciarle volare via da me ed
arrendermi al mio destino che, nonostante cerchi di pensare il contrario, mi sono scelta da
sola.
Ora però devo pensare ad alzarmi, con le mie gambe instabili e la mia debolezza, e lavarmi
di dosso questo miscuglio di schifezze. Avere una mania del pulito è un gran problema a
volte.

Valentina Grigio 2BL