Pettirosso

Fitta pioggia

La fitta nebbia limita il guardo

che solitario corre attraverso le confuse sagome sfocate.

Analizzandole passivamente,

senza mai soffermarsi abbastanza su nessuna di esse,

le identifica tutte sotto la stessa voce: ‘sagome’.

Egoisticamente le rende tutte uguali,

prive di alcuna singolarità.

Un fioco raggio di sole,

illumina debole le foglie colorate

e come tali anche l’osservatore, con esse, risplende.

S’intravede un pettirosso camminare,

solitario tra la foschia della prima mattina.

Zampetta timidamente.

La sua esile sagoma minuta, canta.

La sua stanza era la numero 111.

Sulla parete sopra al letto vi era una così rassicurante baionetta.

L’intonaco bluastro dei muri era pressoché cadente.

Impregnato dagli anni passati,

trasmetteva una malinconia pungente che gli penetrava nelle vertebre.

Fece qualche passo incerto verso quella che apparentemente era l’unica finestra dell’appartamento.

Guardò fuori,

i corpi inermi degli amanti catturati giacevano a terra sull’asfalto freddo e bagnato dall’insistente e fitta pioggia.

Poco più distante trovò una scrivania.

Tirando il vecchio cassetto centrale,

scoprì 20 dardi per il fucile ancorato alla parete, che in seguito gli si rivelò brutalmente utile.

La schiena gli faceva tremendamente male.

Non riusciva a spalmare la pomata da sé.

Ancora non sapeva quanto triste fosse essere soli.

Aveva fame.

Lo stomaco stonava con rumori sordi nel silenzio della sala.

Non mangiò quasi nulla.

Si limitò ad osservare quella che all’apparenza era un’inutile mezzobusto segnato profondamente dal tempo.

La statua era posta davanti a una vetrata e dava le spalle ad un edificio anch’esso consumato dagli anni,

dal quale spuntavano trecce d’edera che stringevano forte le pareti sgretolate e sbiadite del complesso.

Il volto rovinato della scultura,

assumeva un’espressione angosciata che pareva rimpiangere la vita terrena.

Mentre la guardava gli salì una forte nostalgia.

Quel blocco di gesso sgretolato gli era così familiare e così sconosciuto allo stesso tempo che lo turbava a tal punto di scolpire in lui un’opprimente nausea.

Con la stessa calma con cui se n’era andato, ritornò nella sua cupa e lugubre stanza.

Senza nemmeno pensarci andò per affacciarsi alla vecchia finestra malconcia per osservare il paesaggio.

Notò una coppia.

Le fredde dita del ragazzo,

di una temperatura nettamente inferiore al corpo di lei,

scivolavano veloci sulla sua pelle come lame di pattini su un canale ghiacciato.

Avevano entrambi il naso tinto di un rosso acceso.

Contrastava con la candida pelle resa ancora più pallida dalla scarsa luminosità del cielo.

Sentì un forte colpo.

D’un tratto uno stormo di cornacchie si alzò spaventato e disorientato nella volta grigiastra.

I corpi dei ragazzi caddero con un tonfo a terra.

La gabbia quale era il loro fisico si era aperta e aveva lasciato libere due anime che finalmente volteggiavano leggere in una sinfonia di danze passionali.

L’amore in quel mondo era proibito.

Solo la morte rendeva pace a tutti coloro che ne cadevano in inganno.

Marchetto Sara 3CA