La violenza nei videogiochi, tra pregiudizi e realtà

Durante la prima settimana dell’agosto 2019 in seguito a due sparatorie in Texas e nell’Ohio, Stati Uniti, Donald Trump ha parlato di desensibilizzazione della dignità umana a causa dei videogiochi violenti che pongono il videogiocatore dinanzi alla scelta di uccidere come se non nulla fosse. A lui si sono accodati altri rappresentanti del partito repubblicano, come Kevin Mccarthy che ha definito i videogiochi una minaccia per le future sparatorie. Conseguentemente il mondo che gravita attorno alle vendite sia di armi che di videogiochi, ha deciso di togliere dalle vetrine i giochi violenti, non le armi da fuoco.

Andando ad analizzare il caso e a leggere le statistiche, è facile comprendere che il videogioco e le sparatorie non hanno nessuna correlazione. In Paesi come la Corea del Sud e la Cina, nei quali vi è la maggiore vendita di videogames, le sparatorie sono rarissime.

A voi il palese giudizio.

Tuttavia l’accanimento contro i videogiochi non è un caso isolato e silenzioso.

Sempre di più, negli ultimi anni, è facile sentire questa frase:

“I videogiochi portano alla violenza, soprattutto i giovani”

Pronunciata da personalità importanti o da canali di comunicazione rinomati, questa proposizione ha fatto il giro di molte case, instaurando nella collettività e nei genitori quella che possiamo definire una credenza.

Ma è davvero così?

No. Non lo è, tutto parte da una semplice riflessione.

La violenza è ovunque, nei film, nei libri, nelle serie TV, negli anime, nell’arte ma in primis, nella storia. Difatti queste opere come film, quadri o libri, non sono altro che l’estensione della realtà, non producono violenza, la simulano. Così anche i videogiochi. Sarebbe assurdo pensare che una sparatoria è stata causata dalla visione di un film, in un Paese in cui qualsiasi persona può comprarsi una pistola.

Seguendo poi la logica, non ci sono studi scientifici che dimostrano che i videogiochi portano alle sparatorie di massa, inoltre se così fosse almeno la metà delle sparatorie che avvengono negli Stati Uniti dovrebbero verificarsi in tutto il resto del mondo, essendo i videogames diffusissimi. Ma ciò non accade, se non per guerre o motivi più profondi.

I videogiochi possono portare alla violenza tanto quanto lo può fare tutto ciò che ha connotati aggressivi e brutali, ma che è simulativo e, se si usa la testa, le possibilità sono bassissime.

Come qualsiasi cosa che ha su scritto 18+ è il modo in cui la si usa personalmente e la si comprende che conta, non il contenuto in sé. Ci sono giochi che però non sono per maggiorenni e vengono identificati come violenti e inappropriati, perché è sempre più facile incolpare qualcosa di “astratto e soprannaturale” come la tecnologia, in particolare i videogiochi, che analizzare problemi sociali di fondo o il mancato insegnamento da parte di alcune famiglie al rispetto per la vita e ai suoi valori.

Fortunatamente nell’ultimo periodo è arrivata una forte presa di posizione al riguardo.

Durante questa pandemia universale l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha attuato una campagna di sensibilizzazione chiamata #PlayApartTogether che identifica i videogiochi come terapia per la solitudine e la mancanza di contatti, preservando i legami interpersonali attraverso la collaborazione caratteristica del gioco online di gruppo, chiamato tecnicamente multiplayer.

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Dunque, in conclusione, il buon senso e la ragione sconfiggono le fake news e l’ignoranza da parte di chi non riesce ad ammettere l’evidenza. Soprattutto di chi non riesce a godere di questo fenomeno di massa e di intrattenimento che può insegnare, può emozionare, può farti vivere momenti importanti con te stesso, con gli amici e con i partner, facendoci riflettere e immedesimare in mondi fantastici e straordinari, ma soprattutto donandoci divertimento e gioia.

 

Filippo Magaraggia