Cultura al tempo del virus

Secondo l’articolo 9 della Costituzione italiana “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. E secondo l’ideale greco anche l’acquisizione di autocontrollo e di razionalità fa parte della cultura di una persona. Però spesso, in questi giorni, sentiamo parlare di atti di razzismo nei confronti di persone di nazionalità cinese, litigi nei negozi di beni essenziali, atti di speculazione o di sciacallaggio agevolati da tale crisi, manifestazione di panico per il virus…
Udendo simili fatti vengono sempre alla mente certe profetiche pagine dei Promessi Sposi in cui si parla delle reazioni della folla alla peste: ciò è dovuto principalmente alla mancanza di razionalità, di autodisciplina, di senso della misura che troppo spesso viene meno a molti in tali situazioni. Ma in moltissimi in queste situazioni interviene anche la mancanza di senso di protezione da parte delle autorità.
Saper reagire razionalmente ai pericoli senza farsi prendere dal panico, al tempo stesso calcolando i rischi e rispettando le regole, è un’abilità essenziale nel viaggio della vita, che si sviluppa vivendo, ma ci viene insegnata tramite gli esempi, dai nostri famigliari, dai nostri insegnanti, dai grandi autori e certamente anche dai politici. La prima forma di cultura che in emergenza Coronavirus lo Stato deve tutelare è la razionalità. Serve stabilire e trasmettere le regole in modo chiaro, per poi farle rispettare: rinunciando di più ora riprenderemo più velocemente le nostre abitudini un domani; serve punire in modo intransigente chi se ne approfitta per trarne vantaggi: senza la salute di tutti lo Stato intero muore, e il benessere viene prima del denaro; serve fare informazione sana, non terrorismo, e ciò per non accrescere l’ansia: la paura è la prima che contribuisce ad indebolire lo spirito e il corpo, favorendo la diffusione del virus. Non parlo solo del Coronavirus, ma anche di un altro: il panico.
Un altro è il problema dell’istruzione e della diffusione della cultura, un tema affrontato sì particolarmente in questa fase, ma generalmente in ogni momento. Coinvolgere gli studenti e fare in modo che le persone si avvicinino alle fonti di conoscenza diventa una sfida sempre più ardua di fronte alla nascita di attività che sono più allettanti, semplici e immediate rispetto ad altre. La cultura, in tutte le sue forme (esclusi gli 8 anni obbligatori di formazione scolastica, necessità primaria per ciascuno), deve essere un bisogno libero e spontaneo che nasce nell’individuo, perché solo se c’è uno slancio si ha conoscenza, e poi progresso. Senza la volontà, essa diventa un’imposizione. La vera cultura non deve essere né una sorta di indottrinamento imposto da un regime totalitario, né un fenomeno di conformismo di massa, cose che scoraggiano dall’essere sé stessi: la cultura non deve essere elitaria, ma semplicemente libera di essere abbracciata da chi ne sente il bisogno interiore.
Credo sia indispensabile, per chi ne ha la necessità, cogliere questo momento come un’occasione di arricchimento, su tutti i fronti. In particolare, per noi studenti è il momento di capire qual è il vero scopo dei nostri studi: non qualcosa che ‘bisogna fare’, ma una crescita per noi stessi, un impegno che prendiamo per il nostro futuro, un edificio che costruiamo per la nostra vita. Ora, in tutti noi, a prescindere dall’età, emerge se la cultura è per ciascuno un obbligo o un desiderio.
Per concludere, la cultura “non è il contrapposto di ‘incultura’, e non intende designare certe attività o prodotti intellettuali che sono o sembrano più elevati, organizzati e consapevoli di altri; vuole denominare invece il complesso delle attività e dei prodotti intellettuali e manuali dell’uomo-in-società, quali che ne siano le forme e i contenuti, l’orientamento e il grado di complessità e consapevolezza, e quale che sia la distanza dalle concezioni e dai comportamenti che nella nostra società vengono più o meno ufficialmente riconosciuti come veri, giusti, buoni, e più in genere ‘culturali’. […] sono cultura nel senso che costituiscono anch’essi un modo di concepire (e di vivere) il mondo e la vita, che può piacerci o no (e che spesso, anzi, deve dispiacerci), ma che è esistito ed esiste e che dunque va adeguatamente studiato nei modi e nella misura in cui la sua conoscenza accresce la nostra consapevolezza storica e la nostra capacità di scelta e di orientamento nella nostra società moderna” (A.M. Cirese, antropologo italiano).

Matilda de Riva, 3^Ac