Società e bellezza

In una società guidata da canoni estetici irraggiungibili e stili di vita spesso fuori dalla portata della maggior parte della massa, la sensazione di sentirsi “sbagliati” continua ad espandersi in modo sistematico nelle menti di tutti noi. Ogni nostra valutazione di noi stessi è resa possibile dal fatto di possedere degli “standard”, il nostro giudizio è frutto di un confronto tra ciò che vediamo allo specchio e ciò che invece rappresenta il nostro stesso “ideale di bellezza”; maggiore è il divario più il nostro senso di inadeguatezza sarà destinato a crescere.

A tal punto sorgerebbe spontaneo chiedersi cosa concretamente rappresenti per noi il termine “bellezza”, ma la realtà è che ognuno di noi darebbe una risposta differente. La bellezza non è intrinseca negli oggetti, ma bensì nella valutazione che noi effettuiamo nei confronti delle loro caratteristiche fisiche e dunque non può che essere soggettiva. I nostri ideali di perfezione derivano dalle nostre esperienze, dai canoni estetici e dalle mode che ogni giorno partecipano alla nostra quotidianità, dall’epoca stessa in cui viviamo e perciò soggetti a cambiamento. Cosa dunque ci spinge a voler essere come la società propone? Cosa ci spinge a mirare alla tanto ambita perfezione?

L’insoddisfazione che sentiamo potrebbe non dipendere dal nostro aspetto esteriore ma dai comportamenti e dagli atteggiamenti con cui noi stessi lo vediamo. Ognuno di noi gode di una rappresentazione mentale del proprio corpo costituita dalla prospettiva di un osservatore esterno, più semplicemente, ciò che siamo certi gli altri vedano quando ci guardano e definita dagli psicologi: rappresentazione di “sé come oggetto estetico”. La nostra insicurezza ha impatto soprattutto a livello comportamentale, l’insoddisfazione per il nostro aspetto fisico passa spesso dall’essere una semplice preoccupazione, ad un’ossessione compulsiva che condiziona inevitabilmente il nostro umore e di conseguenza le nostre relazioni interpersonali. In casi estremi ciò comporta addirittura a forme di isolamento sociale ed ad altri tipi di patologie come il disturbo narcisistico della personalità, vigoressia, dismorfofobia, o più comunemente, ad anoressia e bulimia che interessano in particolar modo i giovani, i quali si vedono costretti a cambiare il proprio stile di vita ed alimentazione. Il tempo che trascorriamo di fronte uno specchio o sopra una bilancia continua ad aumentare e i canoni estetici proposti con insistenza da social network e pubblicità, ormai alla portata di tutti, ci spingono a lasciare in secondo piano ciò che è realmente importante, ossia il rapporto positivo col nostro corpo.

Vivere in funzione della propria immagine, osservando rigorosamente mode e risultati concretamente inarrivabili può realmente ritenersi “vivere”? Curarsi del nostro aspetto, senza esagerare, risulta essere in ogni caso importante per rimanere in buona salute. Dobbiamo riconoscere che ogni cambiamento che apportiamo al nostro aspetto non ha il semplice ed unico scopo di compiacere noi stessi, ma nella maggioranza dei casi, seppur in piccola parte, anche di compiacere gli altri. L’essere umano è un animale sociale che per natura ha bisogno di un confronto con ciò che lo circonda, ma in particolar modo con i suoi simili; affinché tale confronto non ci ferisca tendiamo a “proteggerci” omologandoci agli altri e a ciò che la maggioranza ritiene “bello”. Non cambiamo mai unicamente per noi stessi, ma una volta compreso ciò, è essenziale capire allo stesso modo che il giudizio altrui non può e non deve definire chi siamo. Vivere di apparenze ci porta inevitabilmente a dimenticare quelle caratteristiche che tanto ci rendono speciali rispetto a tutti gli altri, ci porta a dimenticare la nostra sostanza, così come del resto tutti gli altri pregi che ci contraddistinguono ma che tuttavia, necessitano un impegno maggiore per essere scoperti. Il rischio di risultare “vuoti” una volta tolta la nostra maschera superficiale diventa quasi inevitabile.

Negli ultimi anni forse come forma di protesta o riscatto sociale, si sono radicati in quantità sempre maggiore modelli alternativi che distorcono il concetto di bellezza classico, proponendone invece uno mai visto prima. Che si tratti del campo dell’abbigliamento o di qualunque altro aspetto che coinvolga la nostra esteriorità, questa crescente voglia di novità, di creare stupore o talvolta perfino perplessità, non finirà a sua volta per divenire un ulteriore moda a cui potersi conformare? Omologarsi al “diverso” risulta dunque essere tanto lontano dal voler corrispondere ai canoni di bellezza imposti di norma dalla società stessa?

Accettarci per quello che siamo nonostante i nostri innumerevoli difetti, per quanto possa sembrare un concetto tanto lontano quanto sopravvalutato, rimane un punto chiave per il nostro benessere personale. Accettare il fatto che non raggiungeremo mai standard concretamente innaturali sta alla base per poter amare chi siamo e cosa rappresentiamo. Si tratta semplicemente di equilibrio, curasi troppo del parere altrui così come di conseguenza del nostro aspetto fisico, nuoce allo stesso identico modo di non curarsene affatto; si tratta di coniugare il fatto che gli altri non smetteranno mai di giudicarci al fatto che la loro opinione non deve condizionare la visione che abbiamo di noi stessi. Risultare “belli” sotto tutti i punti di vista per un’unica persona spesso si rivela più benefico di risultarlo per molti. Si tratta semplicemente di amarsi.

Emily Zecchin, 3^Bl