LA QUINTA COSA DEL FERRARI A CUI NON AVETE MAI PRESTATO ATTENZIONE (e sta volta è un insegnante)

Buon giorno miei cari ragazzi, sono sempre io che vi tormento l’esistenza. Vi ricordate la tipa che, non avendo niente di meglio da fare, contava le macchie per terra? Bene cerchiamo di tornare un attimo seri, o almeno con i piedi un po’ più per terra, perché la quinta curiosità merita un briciolo del nostro rispetto.
Sicuramente se dite a una persona qualsiasi “Ferrari”, la prima cosa che le verrà in mente dovrebbe essere LA Ferrari; quella rossa, nata dal genio di un certo Enzo, che corre a millemila all’ora ma che quando è ferma si fa ammirare da tutti. Avrete presente spero. Ecco, se fate lo stesso giochino con chi vive a Este, o nei dintorni, è possibile che colleghino il nome anche a un certo edificio rosso mattone fatto a ferro di cavallo. Però, quello che in pochi si sono chiesti è chi sia questo G.B Ferrari che dà il nome alle nostre gioie e sofferenze quotidiane. In realtà, a questa domanda è possibile dare più di una risposta perché a questo nome rispondono (o meglio rispondevano) almeno tre persone. In ogni caso, se pensate che c’entri qualcosa con la Ferrari, mi spiace deludervi. Infatti, sebbene questi egregi signori siano vissuti in periodi diversi, vi posso assicurare che gli unici cavalli esistenti erano quelli che correvano nelle praterie. Questo caso di omonimia mi ha causato un bel po’ di grattacapi perché mi è subito sorta spontanea una domanda: come cavolo faccio a sapere qual è quello giusto? Le date non mi hanno aiutato più di tanto e nemmeno i luoghi di nascita. Un bresciano un senese e un modenese sembravano più tre personaggi di una barzelletta più che prestanomi per un liceo veneto. Che fare quindi? Beh semplice sono andata a intuito e ho deciso di scegliere il senese. Il motivo ve lo dico dopo, ora cominciamo che sennò faccio notte.
Il nostro Giovanni Battista, per gli amici G.B., senese di annata tardorinascimentale, era, guarda a caso, un professore.
“Professore” però è un’etichetta che gli sta certamente stretta. Proverò a spiegarvi quello che intendo dire con una metafora e, sarà che sono affetta da una grave forma di deformazione professionale, ma non posso fare a meno di immaginare Ferrari come uno studente del Ferrari.
Il nostro scolaretto cominciò a frequentare il liceo dell’epoca (che allora era la città di Roma), si unì successivamente alla compagnia di Gesù (e non a quella dei celestini), studiò teologia e filosofia.
Era uno studente modello e pertanto seguì anche i corsi opzionali che non erano certo tedesco o teatro bensì bazzecole come il siriaco e l’ebraico.
Dopo aver ricevuto via gufo la spilla da prefetto, si prese cura degli studenti più giovani dando loro ripetizioni di grammatica. Dopo la maturità (100, lode e bacio accademico come minimo) divenne anche professore di lettere e d’ebraico. La sua conoscenza delle lingue orientali, arabo in primis, aveva raggiunto un così alto livello che il signorino fece parte della commissione voluta dal papa per tradurre la Bibbia in arabo.
Di lui sappiamo inoltre che era un teologo molto esperto e che spesso amava mettere in luce le sue doti di oratore predicando e poi pubblicando il tutto.
La sua passione, che coltivava nel tempo libero, era senza dubbio la botanica. G.B. amava infatti passeggiare per i giardini romani catalogando tutti i fiori e le piante che vedeva. Tutto il materiale raccolto sbocciò poi sotto forma di una specie di enciclopedia pubblicata, corredata da illustrazioni, con il titolo di “De florum cultura”. Nonostante quest’opera non sia stata rivoluzionaria come le scoperte di Mendel, venne comunque tenuta in considerazione dagli studiosi successivi.
Quest’uomo, però, non era certamente tutto rose e fiori ma aveva, come tutti, anche dei difetti; per esempio il carattere malinconico, poco energico se non addirittura flemmatico e per giunta godeva di pessima salute tanto che fu costretto in vecchiaia ad abbandonare Roma per ritirarsi nella sua città natale dove morì il primo febbraio 1655.

Bene ragazzi, queste sono in breve le eroiche gesta del nostro “Gibi”, se siete interessati ad approfondire l’argomento vi invito a curiosare sull’enciclopedia Treccani dove troverete la versione seria e integrale delle sue vicende.

Ah giusto, mi stavo quasi dimenticando di dirvi perché tra i tre è stato lui il prescelto. Beh semplice, perché oltre a prestare il suo nome al nostro edificio, ne era pure l’emblema. Mi spiego meglio: rappresenta il classico grazie al periodo in cui è vissuto, ai suoi studi filosofici e alla sua non indifferente produzione scritta; rappresenta il linguistico con l’impegno riservato alla conoscenza delle lingue che gli hanno poi permesso di aiutare a tradurre l’eterno best seller in arabo; infine rappresenta l’area scientifica grazie alla sua passione per la botanica. Mica poco!
Per gli amici dell’artistico (il cui edificio è dedicato ad un altro illustre signore) non sentiatevi esclusi ma sappiate che il G.B. bresciano era un pittore.

Detto questo vi auguro un felice proseguimento di cazzeggio quotidiano,
E.T.