INTORNO ALLA FAMIGLIA

Ho sempre considerato il parentado sfera collaterale della mia esperienza di vita, incorrendo spesso, causa la mia abissale ignoranza intorno la famiglia, nel paterno biasimo in occasioni quali cresime, cenoni e feste di laurea (insomma, quelle situazioni in cui i vari zio Caio e cugino Sempronio possono spiaggiare i larghi deretani su comode poltroncine e rimpinzarsi a oltranza di voul avant).
Da ciò sufficienza e sbuffi ogni volta che mio padre trascinava la conversazione sul teatro familiare.
Fossi stato conscio di avere consanguinei come lo zio Augusto e la mia considerazione verso queste “rimpatriate” sarebbe schizzata alle stelle.
Ma ormai la diaspora è compiuta: alcuni congiunti sono stati vittima della cosiddetta fuga di cervelli (anche se dove nascondessero tutto ‘sto cervello non saprei), altri, come il nonno, sono allettati da lunghi anni, altri ancora sono addomiciliati in camposanto.
Dello zio Augusto, fino a quella sera, conoscevo solo il nome, un tempo ricorrente nelle bustarelle di compleanno ma scomparso ormai da anni.
L’occasione per narrarmi la sua saga venne a mio padre in una filippica contro il gioco d’azzardo e contro i vizi in generale (influenzato, penso, da questo anello saldato da mio zio Germano alla sua interminabile catena di lussurie non più di due mesi prima)
Ricordo come fosse ieri il discorso sconclusionato, gli esempi contradditori e la morale bigotta che, da sobrio, avrebbe per certo ricusato: <<Devi capire che il gioco non porta alcun guadagno, o meglio lo porta a quelli che…. Anzi no…. Cioè porta guadagno solo a chi vince e l’unico a vincere è chi non gioca o chi tiene il mazzo, insomma è una perdita sia economica che morale, mi hai capito Ugo?>>
Non ricordo però come la corrente lo sballottò, poi, fino alla figura dello zio Augusto citato come unico esempio di uomo in grado di trionfare sulla macchina (intesa come slot machine).
Alle mie domande su questo semisconosciuto personaggio fu ben contento di abbandonare la sua prosopopea (non era certo lui stesso di coscienza linda, nel settore vizi) per un più lineare racconto.
Cominciò quindi a tratteggiare il ritratto di questo zio nababbo e amorale, donnaiolo e perbenista.
Da quanto sono stato in grado di desumere questi,circa cinquant’anni or sono, si era preso tra lo stupore generale l’onere di accudire il padre gravemente malato. Maggiore fu poi lo stupore degli altri fratelli quando misero mano al testamento per dividersi l’eredità: il conto corrente desertificato, i campi passati di mano e le proprietà volatilizzate insieme allo zio Augusto.
Sugli anni successivi mio padre non era ben sicuro: certo era un congruo contrabbando da e verso la Svizzera, seguito da altri affari loschi.
Tornato poi a Este con le tasche traboccanti dobloni si era raccolto una popolana dalla condotta dissoluta, certa Alice, tuttora vivente. Insediatosi nella villa che era stata del padre si era dato al gioco d’azzardo e alle speculazioni immobiliari tosando innumerevoli gonzi.
Era poi corso in volontario esilio al sud dopo una vincita a poker che gli aveva fruttato oltre a una farmacia, innumerevoli minacce di morte.
Si vocifera (<<E non andarlo a dire in giro Ugo, per carità>> ripeteva ossessivamente mio padre) avesse poi approfittato del clima Siciliano per spettacolari abusi edilizi, col tacito assenso delle cosche locali.
Affogatosi nel vino l’ex proprietario della farmacia, lo zio Augusto aveva ripreso la via del nord lasciando al sud (sempre “si vocifera”) un buco di qualche milione. Ripreso possesso delle sue proprietà aveva avviato numerosi agriturismi lungo i colli annichilendo il precedente circolo di bed and breakfasts.
Arrivato così a settant’anni si era ritirato dagli affari per morire non più di due anni dopo.
All’apertura del testamento ci furono due grandi sorprese: da una parte mio padre era stato fatto erede universale e dall’altra era scomparso il foglio con la firma all’atto rendendo il documento del tutto invalido. Fu così che il papà crollò rovinosamente svenuto per ben due volte in un solo giorno.
Ora vi starete chiedendo perché abbia definito lo zio anche perbenista. Ebbene dovete capire che per l’intera durata della sua vita un solo difetto gli era mancato: l’essere bigotto. Resosi conto nell’ultimo anno della grave mancanza aveva deciso di porvi rimedio con tre messe settimanali. Convinto poi che ciò non fosse sufficiente in barba a tutta la famiglia si prese l’onere di ricostruire ex nihilo (senza peraltro farne parola a alcuno) la chiesa del villaggio natale, ormai ridotta a un rudere. Così quella Alice, donna enormemente dissoluta (divenuta frattanto sua moglie) che già pregustava una vita a caviale e storione, ereditò a malapena di che garantirsi una vecchiaia dignitosa, con somma soddisfazione di mio padre, riavutosi giusto in tempo per afferrare l’entità del lascito.

Potessi confabulare con un figuro di tale calibro nelle interminabili rimpatriate di famiglia. Tuttavia tocca accontentarsi delle gesta alimentari dei soliti zio Caio e cugino Sempronio che proprio ora cantano fieri l’eccidio di costolette perpetrato ieri sera alla sagra del raviolo fritto dove il ketchup era corso come l’acqua.

 

– Costantino Porfirogenito