…et non s’arresta una hora…

Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac…
Non lo senti? Davvero non lo senti? No, impossibile che tu non lo senta.
Io sì che lo sento. Eccome se lo sento. Lo sento scorrere, lo sento fluire, lo sento scandire ogni ora, ogni minuto, col suo singolare ticchettio…
Sì, è proprio lui, il Tempo. No, non un tempo qualsiasi. Il Tempo, con la T maiuscola, quello che a buon diritto i latini definivano edax, vorace, affamato, che divora e trascina con sé tutto ciò che incontra lungo il suo cammino.
Oggi come mai prima lo sento, questo Tempo, proprio oggi che cammino verso il tramonto della mia esperienza liceale. Quanto Tempo “frastorna la mia memoria”, per dirla con Montale, ricordando i primi attimi della prima superiore. Passi incerti, impauriti, intimoriti da questa scuola così grande e così dannatamente immensa – o almeno così mi sembrava. Uno di quei luoghi nei quali, per chi frequenta, viene quasi istintivo farsi il segno della croce quando vi si entra (sì, lo ammetto, mi è capitato di farlo).
E se ora, alla fine ormai prossima di questi cinque intensi anni, mi volto indietro a ripensare a tutta la strada percorsa, a tutte le persone incontrate, a tutto il Tempo vissuto… beh, non posso far altro che dire “Grazie”. Un Grazie vero, di quelli che partono dal cuore, di quelli sinceri e non costruiti su vuote e arzigogolate architetture retoriche.
Sì, lo so, a molti sembrerà paradossale, se non addirittura assurdo. Spesso, forse troppo spesso, ci riferiamo alla scuola – e soprattutto al nostro liceo – parlandone in modo negativo, sottolineando tutta la fatica che ogni giorno sopportiamo, tutta la stanchezza sulle spalle che immancabilmente, ogni Maggio, grava su di noi. Ce l’abbiamo ben chiara.
Ma non sono qui per i rimpianti o per le lamentele. Vorrei adesso porre l’accento, semplicemente, sulle cose belle. Su quelle cose belle che hanno reso vivo questo Tempo, che non l’hanno fatto scivolare via indifferente, come capita spesso con tante nostre giornate. Su tutto ciò che ha reso questi anni per me anni indimenticabili. E probabilmente non vi interesserà nemmeno leggere i ricordi e i sentimenti di un troppo nostalgico maturando, che ha la presunzione che la sua esperienza possa in qualche modo essere utile alle generazioni più giovani. Beh, non credo in ogni caso sia un problema mio.
Sarà difficile fare ordine nella rubrica della mia memoria, troppo affollata e troppo coinvolta per poter ragionare davvero con lucidità. Ma forse, se non mi lasciassi trasportare un poco dalla caotica turba delle mie emozioni, non sarei nemmeno qui a scrivere, a esprimere così malinconicamente la mia gratitudine.
Il Grazie più grande va innanzitutto alle relazioni. A tutta quell’umanità che ho potuto respirare tra i banchi e i corridoi della nostra scuola, tra gli sguardi e i sorrisi celati, purtroppo, dalle mascherine, tra i taciti scambi di battute con i compagni di banco, tra le fronti preoccupate poco prima di una verifica o di un’interrogazione. Quell’umanità che si percepisce quando ex-studenti di ogni età passano a salutare un insegnante, quando professori o dirigenti in pensione tornano dove si sono trovati bene, quando si saluta un amico in corridoio, quando si sente il sano vocio degli studenti durante l’intervallo. Quel profondo senso di appartenenza che ci fa sentire tutti parte di un unico corpo, di un’unità particolare, noi “ferraristi”, che tante gliene abbiamo dette a questo liceo, che tante volte l’abbiamo odiato, ma che, in fondo, lo lasciamo con una profonda punta di rimpianto. Con un senso di nostalgia che ci fa piangere anche all’ultima verifica di matematica, nonostante la felicità di non dover mai più sentir parlare di tangenti e derivate. Il liceo, che ogni mattina ci aspetta lì, fermo, immobile, che ha visto crescere generazioni di studenti, che ogni giorno, ancora, ci vede crescere… Ma torniamo a noi.
Da qualche parte qualcuno deve aver scritto che “essere è relazione”. E senza appunto tutta quella fitta trama di infinite interconnessioni che ci legano l’uno all’altro, sarebbe stato davvero difficile vivere questo Tempo come un Tempo pieno. Un Grazie alla mia classe, ai compagni con cui questo Tempo l’ho condiviso, che a questo Tempo hanno saputo dare un sapore. L’esperienza delle medie me l’ha insegnato – ma credo sia così per molti altri: non è scontato trovarsi bene, bene davvero, con gli altri compagni. Sarebbe troppo lungo ringraziarli uno per uno (e poi chissà se si può per la privacy), anche se ci sarebbe molto da dire e molto da raccontare… molti motivi per cui essere grati.
Relazioni che però si intrecciano non solo all’interno della classe, ma che si diramano per tutto il liceo, tra coetanei, più giovani e più “anziani”, tra chi mi è stato in qualche modo mentore, fin dalle giornate di scuola aperta in terza media, e chi invece ho avuto l’onore di guidare tra i bianchi corridoi della nostra scuola, che all’inizio possono sembrare estranei e labirintici, ma dopo cinque anni, ve lo garantisco, profumano un po’ di casa. Un posto e un ambiente in cui si sta bene: questo è stato il liceo per me. Nonostante il sudore, nonostante le notti passate sui libri, nonostante il Tempo sacrificato per studiare. Nonostante gli ostacoli della burocrazia e gli impedimenti della pandemia, nonostante manchino così tanto le passeggiate, atteggiandosi a peripatetici, lungo tutta la scuola, scrutando di aula in aula per la presenza di un amico. Ma consola di certo sapere che ci sarà chi ancora passeggerà lungo i corridoi, durante le proprie merende, negli anni futuri, chi ancora potrà accalcarsi al bar per prendere la merenda, o rifugiarsi in un altro piano per camminare, mano nella mano, con la propria dolce metà…
Relazioni anche coi professori. Professori che pretendono impegno, puntualità, rispetto, che talvolta appaiono “cancari” o severi, ma che, in fondo, sono persone, uomini e donne come lo siamo noi, come lo sei tu, lettore, persone con cui aprirsi, su cui contare, con cui fare una partita a briscola, con cui mangiare una fetta di torta a merenda, con cui ridere e scherzare… almeno in buona parte dei casi.
Un secondo Grazie importante va al laboratorio teatrale, una di quelle cose che non possono assolutamente mancare in un’atmosfera quale quella del nostro liceo. Una di quelle esperienze che, io credo, più renda vivo lo spirito di questa scuola, occasione per tessere nuove amicizie, per costruire nuovi legami, per incontrare un po’ anche se stessi, per conoscere chi altrimenti, forse, si vedrebbe solo di sfuggita tra un cambio dell’ora e l’altro. Non ci sono parole sufficienti per descrivere davvero cosa significhi “fare teatro”: so solo che, senza quei momenti di puro respiro nelle nostre fumose abitudini quotidiane, non sarei quello che sono.
Un ultimo Grazie sento di doverlo fare al mio percorso di studi. Che sia la proverbiale altezzosità di chi frequenta il liceo classico? Può essere.
“Il liceo classico ti insegnerà un metodo, ti darà una particolare forma mentis” è la tipica frase che si sente meccanicamente ripetere durante la scuola aperta. All’inizio affascina, oscura e misteriosa, poi per un po’ si crede che sia solo vuota retorica volta ad attirare nella trappola del greco e del latino menti pure ed ingenue… poi dopo un po’ si capisce che è una frase vera. È difficile spiegare quanto lo studio delle humanae litterae sia stato così importante nel mio percorso, ma ci proverò egualmente. Credo che la bellezza del nostro corso di studi sia, in sostanza, quella di entrare in contatto con i pensieri di altri uomini: uomini che sono vissuti prima di noi, uomini che prima di noi hanno pensato e hanno fatto esperienza della vita, uomini che prima di noi si sono posti dubbi e domande, uomini che prima di noi hanno scritto versi in cui ancora oggi ci riconosciamo, perché in fondo erano uomini come lo siamo noi oggi. Pensieri di uomini che si riverberano nei flutti dell’oceano del tempo, che riecheggiano da secoli lontani e ancora oggi sono maledettamente attuali, pensieri di poeti, filosofi e letterati che comunicano davvero un messaggio, che hanno ancora qualcosa da dire a chi è ben disposto ad ascoltarli. Pensieri che lasciano un segno indelebile nel nostro animo, nella nostra mente e nel nostro intelletto, pensieri che ci portiamo dentro, che ogni tanto ricordiamo, che ogni tanto scopriamo veri, la cui profondità non può non coinvolgere. Pensieri che però, se rimanessero chiusi negli scriptoria o nelle aule delle biblioteche, rimarrebbero solo bei pensieri. Lo scopo dello studio della letteratura, dell’arte, della storia o della filosofia è quello, io credo, di formare il pensiero di un individuo, facendolo entrare in relazione con una cultura viva, che davvero gli permetta di vivere la sua vita e di orientare il suo agire. Qualcosa di simile lo scriveva Machiavelli, nell’alquanto conosciuta lettera a Francesco Vettori: “Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittorio; […] et mi metto panni reali et curiali; e rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, […] tucto mi transferisco in loro.”. Un’humanitas che, proprio come farà Machiavelli, deve essere usata nella nostra vita di tutti i giorni.
Un’humanitas che, tra le tante occasioni che si vivono qui al Ferrari, la si sente vive durante la “Notte del Liceo”, quando ognuno di noi racconta una parte di questi grandi Pensieri del passato, dove davvero si sente, peraltro, quella comunità, se così si può definire, di studenti e professori (ed ex-studenti ed ex-professori) che eternamente in questa scuola ci ritornano.
Ebbene, dovrei essere arrivato alla conclusione di questo accostamento di ricordi. Sarebbe adeguato concludere con qualche frase ad effetto, con qualche massima moraleggiante che enuclei in sintesi un insegnamento da trasmettere. Non credo però di esserne capace, quindi cercherò di arrangiarmi in qualche modo, alla meno peggio.
Non c’è in effetti molto da aggiungere. Grazie, Liceo, per questo Tempo, per gli amici, per le relazioni, per ciò che ho imparato, per tutto ciò che ho affrontato, per quanto ho costruito… per quanto sono cresciuto. Chissà, probabilmente un giorno tornerò qui, per respirare ancora l’aria giovane e frizzante di questi corridoi, per immergermi nei ricordi di un tempo ormai passato, per sentire le spiegazioni dei professori da un’aula all’altra… Forse, un giorno. Anzi, senz’altro.
Ma per ora dobbiamo salutarci. E ti confesso, una lacrima scende mentre penso che questo Tempo è ormai passato, e non tornerà più indietro.

Francesco Grosselle, 5AC