A costo della vita

Era una notte fredda di fine febbraio in una nota multinazionale europea in Cina.

Quel giorno il dottor Monti era rimasto in laboratorio per ultimare il progetto top-secret su cui lavorava da anni.
Se il risultato che sperava di ottenere si fosse registrato, sarebbe stata una rivoluzione nella storia dell’umanità.
Ecco! Finalmente il siero era pronto. Lo testò su un piccolo criceto che si trovava in una gabbia vicino a lui, facendoglielo bere.
Non poteva crederci. L’esito era inaspettato.
Il dottore capì che se fosse finito nelle mani sbagliate, ovvero le loro, sarebbe stata una catastrofe…
La porta del laboratorio improvvisamente si aprì. Entrarono i manager, accompagnati da una dozzina di tipi loschi vestiti di nero.
-Caro il mio dottore, spero lei abbia portato a termine il progetto-
cominciò uno dei direttori,
-Come sa, il suo ultimatum è quasi scaduto, e sarebbe un vero peccato dover sbarazzarci di lei-.
Monti ascoltava nascosto dietro uno scaffale, sudando freddo. Conosceva la verità: quelle persone erano in combutta con una società criminale segreta. Doveva elaborare un piano di fuga.
-Suvvia, non c’è bisogno di nascondersi, se ce lo consegna la lasceremo in pace, e sarà ben pagato se non aprirà bocca con nessuno.-
continuò un altro individuo.
Il dottore camminò a schiena bassa, nascosto dai tavoli, fino a raggiungere l’ingresso; a quel punto si alzò e premette l’interruttore di emergenza lì vicino che attivava il sistema di chiusura e uscì di corsa, con l’allarme e le urla delle persone intrappolate che risuonavano alle sue spalle.

Decise che sarebbe dovuto tornare immediatamente a casa, e trovare un posto dove nascondere il siero, che anche a costo della vita non avrebbe mai ceduto.

Il giovane Gabriele si svegliò. Era un sabato mattina, ma non uno qualsiasi: avrebbe passato il pomeriggio con suo padre, che era tornato la sera prima da un viaggio di lavoro. Lo aveva visto agitato, e da quando era a casa non era mai uscito dal suo studio, neanche per cenare.
Dopo essersi preparato e aver fatto colazione da solo andò davanti alla porta dello studio e bussò. Non sentendo una risposta decise di entrarci.
Non gli era permesso farlo, ma voleva vedere se suo padre stesse bene e avvertirlo che doveva andare a scuola.
Dentro quella stanza regnava il caos: c’erano fogli sul pavimento, tante ampolle sporche su un tavolino e alcuni attrezzi sparpagliati qua e là. Lo vide dormire su una sedia davanti al computer, con la testa appoggiata sul tavolo. Stava per svegliarlo, quando notò che affianco a lui c’era un porta provette con una sola provetta, contenente un liquido incolore.
Senza pensarci due volte la prese in mano e la stappò. L’odore era abbastanza forte ma non cattivo. La tenne vicino al viso per continuare ad osservarla, quando suo padre si mosse. Per lo spavento agitò la mano, e così una parte del siero gli entrò in bocca, mentre il resto nel vasetto di una pianta.
Il sapore era orribile. Gabriele avrebbe voluto vomitare. Rimise giù la provetta e di fretta uscì dallo studio e da casa.
Il ragazzo si domandava se quella cosa che aveva ingerito gli avrebbe fatto male, ma non sentendo alcun effetto, smise di preoccuparsene.

Intanto i manager scoprirono dove abitava il dottore e irruppero in casa sua. Quest’ultimo, chiuso nel laboratorio, sentendoli arrivare provò a nascondersi, ma gli incursori lo raggiunsero prima e lo immobilizzarono con un manrovescio sulla testa. Cercarono l’esperimento dappertutto, senza trovarlo.
Ad un tratto uno dei loro scagnozzi passò a fianco ad una piantina, e sentendone l’odore insolito, tentò di prenderla, ma rimase stupito di quello che successe. Avvertì gli altri uomini, anche loro allibiti.
-Capo, qui ci sono oggetti appartenenti ad un adolescente-
riferì invece un altro uomo.
Il direttore sogghignò e il suo sguardo si fece crudele.

Gabriele Monti stava uscendo da scuola, quando alcuni individui in giacca e cravatta nera gli si avvicinarono. Uno di loro disse:
-Tu sei Monti, vero? Lavoriamo con tuo padre e avremmo delle domande da farti-
Gabriele osservandoli aveva una strana sensazione: non si fidava di quelle persone, e non capiva perché avrebbero dovuto cercarlo lì e non a casa.
Che ci fossero già stati?
E suo padre?
Negò la domanda e fece per andarsene, ma con la coda dell’occhio vide uno tirare fuori una pistola.
D’istinto si abbassò, evitando il colpo, poi cominciò a correre più veloce che poteva, con gli spari che lo schivavano. Aveva il cuore in gola, ma non rallentò e si infilò in alcune stradine tra dei condomini.
Sentiva il rumore di un’auto che correva all’impazzata, così fermandosi si voltò e ne vide una a pochi metri da lui.
“E’ la fine” pensò.
Chiuse gli occhi e aspettò l’impatto, ma quello non arrivò mai.
L’auto era dalla parte opposta e gli uomini di prima vi scesero, a bocca aperta.

Anche Gabriele, che aveva riaperto gli occhi, capì cos’era appena successo, ma non poteva crederci: gli erano passati attraverso.

Ilaria Ballan