15 Milioni di persone come noi

“Shoah” è un termine di origine ebraica, il cui significato è desolazione, disastro ma, soprattutto, catastrofe o tempesta devastante. Attraverso questa parola ricordiamo ogni anno, il 27 gennaio, il genocidio degli ebrei, ovvero lo sterminio e la persecuzione di una razza da parte delle autorità della Germania nazista. Comunemente si preferisce definire quest’atto disumano con tale termine, piuttosto che con “olocausto”, poiché esso definisce un sacrificio necessario ed inevitabile, ma non è così.

Raphael Lemkin, scrittore ed avvocato polacco, aveva definito il genocidio come un piano coordinato ed intenzionale per uccidere uno specifico gruppo individuato nella società come una minoranza, massacrandolo, distruggendolo e sterminandolo.

Il 1900 è stato un secolo ricco di genocidi e sicuramente ci si chiede perché si arrivi a tanto, ma soprattutto come si riesca a rendere un’intera popolazione il principale bersaglio della società. Fondamentalmente un genocidio non comincia mai con il massacro, ma si utilizza un’arma molto più potente: il linguaggio. Può sembrare banale, ma le parole sono armi taglienti e che possono ferire più di ogni altra cosa. Attraverso esse può crearsi il distanziamento sociale, poiché si inizia ad identificare l’altro con termini specifici che lo allontanano dalla massa e dalla comunità, quali “nero”, “ebreo”, “omosessuale” ecc.…

Proprio dal linguaggio inizia, così, la disumanizzazione dell’altro. Si mobilitano, poi, le masse, si sopprimono i diritti civili ed, infine, quando la categoria presa di mira non viene più vista come un gruppo di persone alla pari, ma come inferiori, si passa alla violenza fisica. Anche Hannah Arendt in “le origini del totalitarismo” affermò che prima è necessario disumanizzare l’altro dal punto di vista politico e linguistico e poi lo si può uccidere passando inosservati perché, nel mentre, l’opinione pubblica si sarà anestetizzata.

La parola “Shoah” descrive, purtroppo, una realtà complicata, triste, spaventosa e violenta. Ad ognuno di noi la morte sembra lontana, quasi estranea, finché non ci tocca personalmente, quindi è probabilmente impossibile o comunque molto difficile capire anche solo una misera parte del dolore che tutte quelle persone hanno provato nel momento in cui sono iniziate le persecuzioni.

La Shoah raccoglie i terribili ricordi e le distruttive testimonianze di tutti coloro che, da vittime, hanno partecipato a quell’orrore. Rende viva la memoria della paura provata quando le autorità si presentavano alla porta di casa, della rassegnazione e della tristezza provate sul treno di andata verso un campo di sterminio, delle lacrime versate nel momento della separazione dai propri cari, del dolore provato quando un numero sulla pelle sostituiva l’identità di ognuno dei deportati e della vergogna ed il disgusto nel farsi toccare, rasare, picchiare ed uccidere senza avere nessuna colpa, se non quella di essere nati “diversi”.

Per noi è così impensabile che una tale violenza sia stata compiuta, tanto che nemmeno lontanamente potremmo immaginarci uno scenario del genere nel mondo moderno, ma ciò che noi ora ripudiamo è accaduto in passato. Le grida dei bambini separati dai genitori, i pianti di disperazione di tutte quelle persone che speravano solo di poter tornare a casa sane e salve ma che, in realtà, sono morte proprio lì ed il sangue di tutte quelle vittime innocenti sono ancora racchiusi nella terra, negli edifici, nei crematori e nel filo spinato che delimitava il campo di concentramento.

Oggi più che mai ricordiamo tutte quelle vittime senza colpa che, senza distinzione tra bambini e anziani, uomini e donne, hanno subìto torture indicibili, hanno sofferto ardue ed estenuanti pene e sono state private di ciò che di più caro c’è al mondo: la vita.

Oggi più che mai continuiamo a ricordare, affinché la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita in questo modo possa non essere mai tradita e affinché ciò che è successo in passato non accada più in futuro.

 – Rowena Polato, 5BL

Fiamme

Il corridoio non era mai stato così vuoto prima d’ora, cosa che creò una parvenza di sgomento dentro il cuore del Dottor V. Solitamente, tra qualche chiacchiera cordiale fatta insieme ai colleghi e piccoli discorsi pieni di irrequietezza dei pazienti, quel tratto dell’ospedale non cessava mai non solo d’essere abbastanza rumoroso, ma anche brulicante di persone, le quali entravano con il viso teso, consapevoli che non né sarebbero uscite né sollevate né serene. Quando si rese conto di quanto quelle mura dall’intonaco ormai rovinato potessero mettere in soggezione, deglutì della saliva che gli si era accumulata appena sotto la lingua ed affrettò il passo, cercando comunque di mantenere la sua classica imperturbabile apparenza distaccata. Nonostante ciò, non riuscì a tenere la testa alta e scrutarsi intorno come era solito fare, limitandosi ad appoggiare un piede dopo l’altro con una strana e non necessaria velocità. Sotto le suole delle scarpe, che si muovevano rapidamente, le mattonelle del pavimento parevano scorrere come se stessero ricoprendo una strada costante e infinita. All’estremità del corridoio, la grande finestra dai rivestimenti in legno di vecchia data che illuminava lievemente l’entrata di alcune stanze era socchiusa, sicché alcuni spiragli d’aria fredda erano riusciti ad insinuarsi all’interno ed a raggelare l’ambiente. Quella mattina le previsioni del tempo avevano previsto una meravigliosa giornata di sole, accompagnata da una identica serena serata; eppure, ormai giunto l’imbrunire, fuori dall’edificio il cielo si faceva sempre più minaccioso. Grandi e voluminosi banchi di nuvole grigie e tetre, cariche di pioggia, si aggiravano nei dintorni insieme ad un forte vento. Questo improvviso cambiamento incutè ulteriore timore nell’uomo, che ora tentava di non rabbrividire a causa della temperatura troppo bassa, in quanto sembrava quasi che la natura stessa si stesse sfogando contro il mondo. Il suo cuore iniziò a pompare sangue con più intensità, battendo con un’energia spaventosa all’interno della sua cassa toracica, quasi nel tentativo di scapparne. Il ritmico susseguirsi frenetico dei suoi battiti venne interrotto dal colpo secco di qualcosa che cadde a terra in un singolo istante. Girò gli occhi e notò un lungo bastone dalla terminazione ricurva e alcune venature scure sulla sua lunghezza, che doveva sicuramente essere l’artefice di quel fulmineo rumore. Qualche secondo dopo, una mano rugosa venne protesa alla ricerca del manico, che afferrò saldamente, portando a sé l’intero oggetto con una certa tranquillità. Si trattava di un signore con pochi capelli, che indossava una semplice giacchina di lana dai colori smarriti con dei pantaloni di materiale rigido, che probabilmente gli erano di difficoltà nel movimento vista l’età. L’anziano non appariva né vigile né tantomeno spaventato; una volta recuperato il suo attrezzo, né appoggiò la punta a terra per testare che fosse ancora ben saldo dopo la caduta, e dopo essersene accertato, avanzò con qualche passo insicuro, senza però dimostrare tempestività nel volersene andare da quel luogo. Probabilmente si sarebbe diretto calmamente verso la sua stanza per riposare, per bere una bevanda calda osservando la tempesta. Prima di sparire dalla vista del dottore, gli fece un breve cenno di saluto con il capo. Quest’ultimo si chiese se fosse veramente l’unico a percepire l’alone di sciagura che si aggirava in quel momento nell’ospedale, e come fosse possibile che tutto potesse scorrere in modo tal normale da essere altrettanto agghiacciante. L’uomo trasse un respiro profondo e tentò di calmare i nervi solo quando realizzò di essere finalmente giunto di fronte alla stanza corretta, dentro la quale si trovava l’ultima paziente che gli era stata assegnata per il giorno.

La camera riportava un cartellino di riconoscimento direttamente fissato al di sopra del capostipite della porta, che recitava “Numero 2511”.

Quando varcò la soglia dell’entrata in un unico, veloce movimento, intuì con precisione la fonte dello sconforto generale della natura. Davanti ai suoi occhi, sbigottiti e afflitti da tale raccapricciante scena, giaceva quello che gli appariva un cadavere. Il dottor V si portò al volto una mano tremolante e con i polpastrelli si stropicciò le palpebre chiuse non una, ma ben due volte prima di concedersi un secondo sguardo. Ora ciò che gli si presentava davanti era diverso rispetto a quanto osservato in precedenza, ma solo di qualche lieve sfumatura, come il fatto che il corpo, posizionato sopra ad un misero e gelido lettino di metallo, ancora riuscisse a muovere irregolarmente il petto secondo il proprio ritmo respiratorio. Se non fosse stato per la sua ampia esperienza in ambito medico, avrebbe probabilmente vomitato all’istante, nemmeno dando il tempo al cervello di processare le informazioni appena viste e rigettando copiosamente a terra con conati strozzati. Fortunatamente per lui, non era il suo primo contatto con un individuo in condizioni così rischiose. Si trattava di una donna, sicuramente di giovane età, dal corpo esile e di media altezza; ma dell’energia, della gioia, della bellezza della gioventù nulla era ancora visibile dentro a quella carne. Un misero lenzuolo di cotone, macchiato di sangue rappreso, le copriva il busto a malapena grazie ai suoi bordi rovinati, quasi stracciati, sotto i quali si potevano vedere dolorose bolle dal colore giallastro sulla superficie della pelle violacea, tendente al marrone. Queste continuavano ad espandersi, sempre più ripugnanti, per tutta la lunghezza delle gambe e verso le spalle, dove improvvisamente scomparivano per lasciare spazio ad una fascia di cute completamente carbonizzata. Le braccia, lasciate stendersi in maniera molle accanto ai fianchi, erano ancora celate da degli esigui residui di stoffa bruciata; nell’incavo presente tra una spalla e l’altra, piccole gocce di sangue vivo cadevano una dopo l’altra, dopo essere colate giù dalla guancia sinistra, dove era presente un profondo taglio che percorreva la linea dello zigomo. Nonostante ormai la carne fosse ridotta ad un infelice ammasso bruciato, ancora continuava a scorrere imperterrito, a dimostrazione che non fosse stata ferita in quel modo una ormai carcassa, senza speranze, ma un essere umano ancora capace di provvedere alla propria sopravvivenza. Quando quella meschina mano si era avvolta attorno al suo minuto collo, lasciandoci quella impronta rossa che ancora era visibile tra le ustioni, era consapevole; anzi, desiderosa di privare quella innocente anima d’una esistenza che avrebbe potuto prosperare meravigliosamente, ch’ora, come un campo arido e sterile, giaceva inerme nella sua incapacità di poter continuare a produrre nuovi frutti, di poter far rinascere il bocciolo della vita all’interno di sé. Eppure, nascosta nelle profondità più oscure dell’organismo di quella ragazza, ancora una fievole speranza combatteva per continuare a farla respirare anche un singolo istante ancora, aggrappata saldamente alla fragile stabilità di cui poteva godere per il momento. Però il Dottor V poteva vedere benissimo il modo in cui l’anima stava cercando di ritirarsi sempre di più, vergognosa, desiderosa di nascondersi dall’occhio altrui a causa dell’infamia ricevuta. I suoi piccoli occhi immobili guardavano un quadro appeso alla parete, bagnati da grosse lacrime che era impossibile da constatare se fossero di dolore, di tristezza o di rabbia. Dentro la cornice, al centro d’una scena cupa e lugubre che solo un letto di morte può avere, un’entità minacciosa vestita di nero si abbassava il cappuccio scuro, rivelando un volto lucente, dai tratti angelici, e tendeva la mano alla malata che, spaventata, si ritraeva con terrore. L’uomo si domandò se stesse implorando il fato d’essere affetta dalla stessa sorte.

Dolce e serena scorreva l’acqua dal limpido aspetto. Più tempo passava, più la sua temperatura continuava ad abbassarsi, ed il suo piacevole tepore si dileguava per lasciare posto ad un freddo innaturale. Le sue lievi oscillazioni non erano nemmeno degne d’essere notate, così deboli che la loro forza poteva essere considerata totalmente trascurabile, tanto calma da non riuscire nemmeno a spostare il corpo che si trovava ormai quasi sommerso in essa. Il liquido trasparente, muovendosi lentamente e con imprecisione, andava a coprire e lavare il sangue e lo sporco dalla pelle nuda della giovane, la quale non aveva altra scelta se non sprofondare sempre di più verso l’abisso che si trovava sotto di lei, sebbene nessuna corrente d’aria la stesse trascinando con la sua furia distruttiva. Si lasciò trasportare dal corso del bacino finché il livello dell’acqua non ebbe quasi raggiunto le sue narici; in un attimo fulmineo, quasi ad indicare l’attimo decisivo, una serie di strazianti ricordi le attraversarono la mente uno dopo l’altro. Memorie che per quanto vicine potessero essere sembravano distare miglia dallo spiacevole presente, ombra d’una vigorosa realtà passata, quando dentro di lei ancora ardevano l’impeto e il fervore d’una ragazza che mai avrebbe potuto aspirare ad altro se non il proprio bene. La sua unica ma fatale colpa, quella di desiderare una vita spensierata, contornata dalla tranquillità e dall’amore che ogni individuo merita di ricevere. Il momento stesso in cui la scura sostanza irritante s’era accesa, e lei era riuscita a cogliere il ghigno maligno sul volto dell’infame aggressore, in cenere non erano andati solo i semplici vestiti, che tanto facilmente si erano lasciati incendiare, ma con loro anche l’entusiasmo che solo una determinazione forte può conservare. Insieme a sogni, aspirazioni e promesse andate in fumo, si era spenta la sua volontà, ridotta in brandelli dalle spietate fiamme, lasciandola sola ad annegare in un gelido pozzo di triste acqua stagnante. Immobile si lasciò togliere il respiro, abbandonandosi ad un destino che avrebbe potuto essere combattuto con delle energie e una speranza che non le appartenevano più. Affondò, portando con sé quello che era stata e che non avrebbe mai potuto essere nuovamente, senza un minimo di rimorso per la sua scelta.

Valentina Grigio, 3BL.

SIMBOLOGIA, ASPETTI e RIFERIMENTI

  1. Dottor V: la lettera V, se osservata, può indicare sia i genitali maschili che femminili, così che il protagonista della storia si trovi in una posizione neutrale.
  2. L’ambientazione: serve ad aiutare il lettore ad entrare nell’ottica corretta ed iniziare a sospettare della sciagura che verrà in seguito.
  3. L’anziano: rappresenta il modo in cui la massa non bada alle gravi situazioni se non se le trova di fronte. A confronto con il protagonista, rappresenta la stoltezza e il menefreghismo della società.
  4. Numero della stanza “2511”: data della giornata contro la violenza sulle donne.
  5. Quadro alla parete: ispirato all’opera “L’angelo della morte” di Horace Vernet e rivisitato in chiave da rispettare l’andamento della storia.
  6. Il pozzo d’acqua: il luogo astratto che ospita l’anima della giovane morente in contrapposizione con il fuoco (sia materiale che effimero).
  7. Climax crescente e decrescente: il climax della lunghezza del testo è decrescente, in quanto inizialmente si dilunga in dettagli per poi compattarsi alla fine. Quello dell’intensità contenutistica invece parte scarsamente e finisce con pesantezza.

Cara la mia ragazzina

Sei ancora piccola cara la mia ragazzina, i primi avvertimenti: “stai attenta, guarda dove vai, non parlare con gli sconosciuti!”

Generali regole di vita, per femmine e per maschi

Cresci, “non indossare quello, sei sicura di volerti vestire proprio così?”

Ti affacci alla società, non ci dai molta importanza però, non ne comprendi la gravità, è giusto.

Notizie alla TV, “povera ragazza, lui va punito”, un normale crimine, omicidio, uno come tanti.

Cresci ancora, “mamma, ma perché sono uccise così tante donne? Cos’è lo stupro?”, come possono essere questi i discorsi di una ragazzina di appena 11 anni?

Bellissima questa età: esci con le amiche, incontri il tuo primo amore, pensi che duri per sempre e ti senti grande.

Ti stai formando, le tue prime curve! Ne sei così felice, sei DONNA!

Non lo noti solo tu, ma anche loro.

Un fischio di là, un altro di qua, tutto normale, succede sempre, cosa vuoi che sia?

Cara la mia piccola ragazzina, hai scoperto cos’è una molestia.

Non lo capiscono, è un concetto astruso e difficile comprendere un semplice “NO NON VOGLIO, NON MI PIACE!”

La tua volontà, la nostra non conta, se “la carne è carne” si è giustificati.

“Ultime notizie: donna uccisa dal fidanzato! Donna stuprata da un ragazzo!”

Diventano tutti attivisti, tutti ne parlano; telegiornali, politici, giornalisti, ma dopo un mese il rumore è più silenzioso.

Tanto casino, tante frasi che si ripetono uguali da anni. Mai una volta però che siano ascoltate e capite da tutti: si commettono sempre gli stessi errori.

“Anche lei comunque ha colpa, lo ha provocato, come si era vestita? SE L’È CERCATA!”

Ho sempre una domanda, la stessa domanda quando sento qualcuno dire ciò: sul serio pensate che cambi le cose il modo in cui ci vestiamo?

Siamo noi stesse colpevoli di ciò che non vogliamo per un vestito troppo attillato, o una gonna troppo corta?

Una volta ero in bici, sudata fradicia, tornavo da un’uscita, era inverno.

Dei ragazzi mi fischiano.

Come spiegate adesso? Secondo voi avevo un vestito addosso? una gonna corta? profumavo?

No

Non deve esserci UNA giornata contro la violenza sulle donne, ma ogni giorno dovrebbe esserlo.

Il caso di Giulia è l’ennesima dimostrazione che la società non funziona, non è diverso dagli altri, la sostanza è sempre quella: una donna è stata uccisa per la possessività e per l’ossessione dell’ex compagno.

“Non sono tutti così”

è vero, ma aiutami, dimmi di chi mi posso fidare, ti prego, AIUTO! Ormai non lo so più e non lo sai neanche tu.

Cari ragazzi, pensate prima di agire. E non con gli ormoni, ma con la testa, non siamo oggetti, siamo persone.

Ed ecco, cara la mia ragazzina, questa è la società patriarcale in cui viviamo.

“Mamma, ma io non voglio più crescere”

Purtroppo, però, alcune volte, neanche quando siamo piccole siamo al sicuro

Eppure devi sempre essere fiera di essere donna

“Perché?”

Perché da secoli lottiamo, ma non ci arrendiamo mai.

– Anonimo

490 anni e 0 cambiamenti

<<NO!>> Un rifiuto, una negazione, un impedimento, una semplice parola, ma che molte volte viene ignorata, non ascoltata e minimizzata. Una barriera, uno scudo, un riparo che viene infranto e un limite che viene spesso oltrepassato. Una bolla di cristallo frantumata in mille pezzi da oppressione, gelosia, manipolazione e mai più
riparabile, nemmeno con il perdono.
L’amore non è possesso, non è restrizione e non è una prigione, ma purtroppo non tutti lo comprendono. Fin da tempi remoti esistono le cosiddette “relazioni tossiche”, dalle quali, purtroppo, molte donne non riuscirono a liberarsi. Donne che hanno subito e tuttora subiscono violenza di tipo fisico e psichico, donne che hanno
vissuto e vivono nell’ombra della paura, e purtroppo donne alle quali è stata tolta la libertà di vivere.
Barbara, Sofia, Francesca, Teresa, Giulia sono solo pochi nomi dei centocinque casi di femminicidio che solo nel 2023 coprirono poco a poco l’Italia di terrore e che videro molte donne come loro spegnersi per sempre.
Donne considerate come un oggetto, un qualcosa da raggiungere a qualsiasi costo, costrette in questo modo alla perenne fuga da atteggiamenti di soffocamento, prepotenza e costrizione, caratteristiche di una storia che negli anni si ripete e si ripete, ma non cambia mai, e che negli uomini colpevoli di tali atrocità sono tutte presenti.<Non esci vestita cosi!>>,<<Fammi vedere il telefono!>>,<<Dove credi di andare?>>.
In poche parole non riuscire a ricevere un rifiuto alle loro richieste, non essere in grado di vivere una relazione paritaria, senza prigionie e divieti, senza violenza, senza minacce non appartiene a questi ultimi, che di essere chiamati umani non ne hanno il merito.
Moltissime ragazze e donne nel corso della storia fino ai nostri giorni si trovarono a fuggire, cercare riparo da quello che, nonostante fosse definito tale, non era AMORE.
Perché uno schiaffo non corrisponde ad una carezza, un pugno non è un bacio e un’offesa non significa “ti amo”.

– Anonimo

Colpevole di amare

Né più tornerai a casa tu, colpevole di amare,

né troverai la fiamma accesa del camino,

né altri troveranno il biglietto in cui scrivesti

“Ti voglio bene” prima di uscire.

Nei tuoi occhi il sole, la luce:

una maschera rossa li ha coperti,

una mano sola è bastata a serrarli.

Bambina mia, chi ha fatto questo?

La tua sedia è fredda,

il tuo letto è impolverato,

la mensola da cui prendesti un libro quel sabato mattina è vuota,

il silenzio urla.

Bambina mia, dove l’hai lasciato quel libro?

Dove l’hai lasciato, che lo rimetto al suo posto?

Bambina mia, perché ti sento piangere?

C’è uno scatolone in camera tua,

e tanti vestiti in esso:

rosso, rosso e ancora rosso,

il tuo colore preferito, ti si addice.

Anche il tuo collo è rosso,

i tuoi occhi pesti,

e le mani tremano come foglie.

I calzini minuscoli che portavi da piccola sono ancora là,

se mai vorrai venire a riprenderteli.

È da tanto che non ti vedo, bambina mia,

dove sei?

– Anna Desolei

25 novembre

Stop violence: break the silence
No màs violencia: rompe el silencio
Stopp die Gewalt: brecht das Schweigen


Il giorno 25 novembre viene ricordato ciò che non bisognerebbe mai dimenticare.
La Treccani definisce la violenza come tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale.
Spesso le donne sottovalutano quei segnali tipici di violenza, tanto fisica come psicologica.
Ne sono un esempio le numerose vittime, che ogni giorno vivono con il timore dell’uomo che hanno accanto.
“Mi fa piacere che sia un po’ geloso, vuol dire che ci tiene”: Domenica Caligiuri, accoltellata a 71 anni dal marito per gelosia.
“Non sto più bene con lui, voglio separarmi”: Nadia Zanatta, uccisa a 57 anni perché aveva intenzione di separarsi.
“Sono solo delle sue paranoie, gli passeranno”: Valentina Di Mauro, uccisa a 32 anni dal marito per accuse di tradimento.
“Mi dispiace che abbiamo litigato, però mi fa paura, ho bisogno di chiamare i carabinieri”: Silvana Arena, trovata a 74 anni dai carabinieri in fin di vita con delle ferite alla testa.
“Papà dormiamo insieme oggi?”: Laura Russo 11 anni, uccisa dal padre a coltellate nel sonno.
“Mi ha tradita, adesso gli parlo io”: Giulia Tramontano, uccisa dal ragazzo con 37 coltellate, cerca di sbarazzarsi del corpo e lo nasconde dietro un muro. Incinta di 7 mesi.
“Mi dispiace che il mio ex stia male per me”: Giulia Cecchettin, uccisa a 22 anni dal suo ex ragazzo.
Queste tragiche fini avvengono e sono avvenute in tutte le epoche.
Riportiamo l’ esempio di Artemisia Gentileschi, una pittrice italiana seicentesca della scuola di Caravaggio, la quale è stata abusata da Agostino Tassi, artista amico del padre.
Tutto ciò per dire che è da tempo che le donne combattono in favore dei loro diritti, al fine di limitare la violenza di genere.
La denuncia è sicuramente il metodo più efficace.
Tuttavia non è sempre facile dichiarare a viso aperto ciò che si prova, spesso per paura di non essere credute o di non essere aiutate o per vergogna. Sicuramente però parlarne è indispensabile.


Die Gewalt ist nicht die Lösung.
“No” no es solo una palabra.
¡Cuando es no es no!

True love doesn’t humiliate, trample or betray.
True love doesn’t scream, beat or kill.

Frammenti di un cuore violentato

“Ormai queste sensazioni si sono radicate nella sua mente come una filastrocca:
il rombo del motore mentre la macchina si parcheggia,
il suono della porta d’ingresso che si chiude,
il ritmo dei suoi passi…
Guarda furtivamente attraverso lo spioncino:
non è un ospite o uno sconosciuto, peccato…
È una persona familiare,
eppure non capisce quanto mi faccia soffrire.
Vorrei che trovasse il coraggio di rispondere, ma sembra incapace anche di fuggire…
Lei, con un cuore impotente e vile come il mio, non merita tutto ciò,
inizio a sentire anche io la pelle bruciare, nonostante sia protetto dentro di lei,
nascosto dietro il suo corpo vestito di lividi.
Perché sento anch’io le ferite? Sono state così profonde da raggiungermi…?
È arrivato. Ora devo farle fare la brava, altrimenti soffrirò ancora.”


25 Novembre, Giornata contro la violenza sulle donne
La giornata internazionale contro la violenza sulle donne è celebrata il 25 novembre di ogni anno. Questa giornata ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla violenza di genere e promuovere azioni concrete per combatterla.
La storia di questa giornata risale al 1981, quando le attiviste del movimento femminista delle Repubblica Dominicana hanno proposto di dedicare una giornata per commemorare le sorelle Mirabal, tre donne attiviste che sono state assassinate il 25 novembre 1960.
Nel 1999, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente designato il 25 novembre come la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
La giornata serve ad evidenziare la necessità di porre fine a tutte le forme di violenza contro le donne, comprese violenze domestiche, stupri e molestie sessuali.
La storia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne ci ricorda che la lotta per i diritti delle donne e contro la violenza di genere è ancora in corso, motivata da continui avvenimenti odierni. È un momento per unire le forze, far accrescere la consapevolezza e lavorare insieme per costruire un mondo in cui tutte le donne possano vivere in sicurezza, libertà e rispetto.
– Rigotti Angelica 3ASA

Silenzio

Silenzio.
Femminicidi.
Cosa succede?


11 anni sono passati…
Quando mi guardo allo specchio
vedo una ragazza con tanta forza,
con la forza di aver parlato.


Mi guardo e dico: “brava, ce l’hai fatta!”
Aver raccontato a mamma cosa mi era successo
di quei giorni da bambina infranti,
di quelle parole e di quei gesti,
abuso,
famiglia…


25 novembre,
“giornata mondiale contro la violenza sulle donne” sì,
ma non solo quel giorno.
tutti i giorni bisogna ricordalo,
ricordare di non toccare mai una donna.


viviamo in una società bigotta e di mente medioevale,
dove la donna è ancora soggetta a stupri,
omicidi,
violenze
di qualsiasi tipo.


Stereotipi ignoranti,
che pensano tutti allo stesso modo,
che pensano l’uomo più forte.


No, non è più forte,
nessuno dei due è più forte dell’altro:
siamo tutti alla pari.
La legge dovrebbe eguagliarci,
ma non fa altro che distinguerci invece,
ogni giorno.


La paura di camminare da sole,
per strada,
ovunque.


11 anni fa,
una bambina di 6 anni
abusata,
fisicamente e verbalmente,
da un familiare.


Paura di parlare,
di non essere compresa,
di essere presa per bugiarda,
quello che succede quasi ogni giorno.


Certi uomini non accettano la divisione,
non sanno stare da soli.


Un insulto costante è violenza psicologica.


Schiaffi,
urla,
litigi
e infine?
Omicidio.


Cosa risolvi?
Una vita in meno per aver fatto cosa?
Perché sei stato lasciato?


Paura costante,
commenti fuori posto per strada,
fischi come ai cani,
stupro.


Paura di denunciare,
di parlare,
di avere giustizia.
Perché già si sanno le conseguenze
e giustizia non viene fatta.

– Deborah Zagolin 4CA

Donne

Donne,

Allora?

Un altro femminicidio?

Quanti sono stati?

105 in tutto nel 2023.

Più del 2022

e di molti anni passati.

Vergogna!

Dov’è la giustizia?

Donne violentate,

donne picchiate,

donne uccise

ma da chi?

Da uomini che non accettano cosa?

Una separazione,

un rifiuto.

Donne che hanno paura

di andare in giro da sole,

di sentirsi seguite,

di dire di no.

Giulia…

Un’altra anima,

adesso?

Un’altra donna verrà uccisa?

Dov’è la giustizia?

Dov’è la ragione?

Non solo femminicidi,

anche stupri

e violenza di ogni tipo.

Siamo stanche.

un minuto di silenzio?

MAI PIÙ SILENZIO!

Ci vuole voce!

Dare voce a ciò che accade!

Riuscire a parlare!

Parlare di ciò che sta succedendo

qualsiasi cosa sia.

Fare il concreto, non il superficiale!

Capire che tutti siamo coinvolti.

L’indifferenza è la peggior cosa.

Giustizia!

Per le povere donne vittime.

Giustizia!

per mettere l’uguaglianza prima di tutto.

Questo dimostra che l’articolo 3 della costituzione non si legge abbastanza. Non lo si applica.

Ricordiamocelo.

105 donne.

Cos’altro ci dobbiamo aspettare?

Per favore basta!

È una vergogna,

lo sappiamo tutti.

Giustizia!

– Deborah Zagolin 4CA

25

Fa che sia l’ultima

Non è amore se alza le mani: la violenza non fa parte dell’amore.

Amore è colui che ti protegge, colui che ti tiene per mano e ti porta in un luogo lontano e migliore di questo, colui che ti accarezza per asciugare le lacrime durante un periodo buio, colui che ti ama e deve amarti ogni giorno della sua vita. La violenza è una malattia da debellare, non bisogna accontentarsi di stare accanto ad una persona che non ci piace per paura di rimaner soli. Se quella persona non vuole che ci vestiamo scollate, non vuole che usciamo con le nostre amiche, non vuole che parliamo con una persona, non vuole che parliamo in un certo modo, non vuole che facciamo qualcosa per urtarla,

allora forse non è la persona giusta per noi.

Oggi è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Non può però bastare un giorno di memoria. C’è bisogno di agire ogni giorno, ovunque, per sconfiggere questo crimine odioso frutto di una cultura misogina. Uguaglianza di genere, riconoscimento dei diritti e dei ruoli nelle comunità, nei luoghi di lavoro e di produzione.

Mi sorge però un dubbio,

come sono cresciuti questi uomini che si permettono di mancare di rispetto, di usare violenza o addirittura di uccidere le donne che gli sono accanto? Le donne che li hanno amati, le madri dei loro figli. Cosa hanno insegnato loro le madri? E i loro padri?

Ecco, partiamo da qui. Partiamo dall’educazione in famiglia, partiamo dall’educazione dei figli. Insegniamo loro il rispetto, l’amore, insegniamo loro che una persona non ci appartiene solo perché l’amiamo, spieghiamo loro cos’è la libertà, la costruzione di un rapporto, la parità in un rapporto, l’impegno.

Molti ragazzi al giorno d’oggi ritengono che i femministi siano coloro che privilegiano la donna, come se fosse matriarcato. Il femminismo è movimento che mira all’uguaglianza sociale dei diritti, di entrambi i sessi.

“Noi non viviamo più in un mondo maschilista, sei tu che ti monti la testa e pensi di essere sottovalutata”.

Qualche giorno fa un ragazzo mi scrisse questo messaggio. Quotidianamente mi sento sopraffatta da discorsi fatti da giovani adolescenti che sottovalutano le donne pensando che sia “divertente”.

Ogni anno in Italia le donne vengono assassinate, molestate e stuprate. Vengono uccise per mano di uomini che volevano possederle fino a volerle addirittura cancellare dalla faccia della terra: “o con me, o con nessun altro”.

Lo Stato italiano non fa nulla per evitare ciò, anzi, identifica questo fenomeno con la parolina ‘emergenza’. Sì esatto, la chiamo un’emergenza, eppure mi sembra che nessuno si sia mai mosso per fare veramente qualcosa di concreto, mi pare che nessuno si sia allarmato all’ultima notizia su un femminicidio.

La chiamano emergenza, ma nessuno si preoccupa mai della denuncia che sporge una donna sotto molestie.

La chiamano un’emergenza sui giornali, ma nella pagina dopo scrivono casi di cronaca sui delitti passionali. È un’ emergenza, come quando non ti aspetti che succeda.

Ma ditemi davvero, voi non ve l’aspettate un altro femminicidio nei prossimi giorni?

Qualche giorno fa è venuta a galla la notizia di Giulia Cecchettin, giovane ragazza di 22 anni che frequentava la facoltà d’ingegneria all’università Ca’ Foscari di Venezia. Giulia, uscita con l’intento di chiarire con l’ex ragazzo Filippo, scompare la sera del 13 novembre. Vengono rinvenute delle tracce di sangue di fronte al marciapiede di una fabbrica. Filippo, un semplice ragazzo di 22 anni, stava per laurearsi anche lui nella facoltà d’ingegneria, un ragazzo malato o magari troppo geloso? È proprio questo il dubbio che sorge in tutti noi, Giulia ha avuto qualche segnale? Giulia è stata avvisata prima di questo comportamento possessivo e maniacale da parte dell’ex fidanzato? Purtroppo non possiamo darci una risposta concreta, possiamo solamente essere certi che, nonostante le speranze da parte di tutta Italia che i due fossero fuggiti da questa società intrinseca, il 18 novembre è rinvenuto il corpo della giovane ragazza; abbandonata giù da un cavalcavia nei pressi del lago di Barcis, dopo essere stata accoltellata ben 20 volte e avvolta tra sacchi neri. Ma Filippo Turetta è davvero un bravo ragazzo come lo descrive il padre? Per quale motivo 20 volte? Che cosa ha fatto questa giovane per meritarsi questo?

Nella speranza che sia l’ultima, nella speranza che giovani donne possano aprire gli occhi e mollare prima la presa.

A Giulia un grande abbraccio ad un’amica ed una compaesana, ti è stata tolta la possibilità di diventare una donna meravigliosa e realizzare i tuoi sogni.

La mia dedica da donna a tutti coloro che leggeranno questa lettera, qualunque sia il vostro carattere, il vostro vissuto e la vostra vera essenza, vi sono vicina oggi non più di tutti gli altri giorni dell’anno.

– Mariavittoria Castaldelli 3BL

Giulia

There was a girl a couple of years older than me
She was killed by her boyfriend last week
And I’ve been awake since I knew about it
Cause it hurts even if I didn’t know her


She was gentle, pretty and sweet
Just like an angel fallen from the sky
She was about to finish her degree
But he shattered all her dreams


How can someone who says to love you so much hurts you so hard, it’s something I’ll never understand
How can someone take your life when you just don’t feel fine, does love turn us into monsters?
And I feel so blue for all the pain she’s been through
Hope she feels better in heaven light as feather
Wish we could’ve save you


He took her to a place where no one could find them
Stabbed her so hard to vent all his anger
Then drove thousands miles trying to escape
From the ghost he left in that lake


How can someone who says to love you so much hurts you so hard, it something I’ll never understand
How can someone take your life when you just don’t fell fine, does love turn us into a monsters?
And I feel so blue for all the pain she’s been through
Hope she feels better in heaven light as feather
Wish we could’ve save you


Why did we make these mistakes?
Was our mind built in the wrong way?
Why do we think we have so much power
On women who are just trying to escape?
From all the control we crave
From the abuses we make
From all the damage we create
As a men I feel so ashamed


If you’re not feeling safe
It’s not wrong to run away
If you think this is just a phase
Just know that this is not how love is supposed to be
I feel so blue for all the pain she’s been through
I’m sorry I couldn’t save you


– Edoardo Cogo 5AC

25/11

Sembra capiti a pennello il tragico evento di Giulia, in modo da farci aprire gli occhi: la giornata di oggi è ancora fondamentale e dovrebbe essere ricordata ogni giorno.

“Non tutti gli uomini”,

però tutte le donne.

<<Molestia>> pungente sensazione di disagio, tale da alterare le normali caratteristiche di uno stato, di un’azione o di un comportamento, provocata da fattori o agenti interni o esterni, oggettivamente ostili o sentiti come tali.

Tutte le mie amiche sono state molestate, così come la mia parrucchiera, mia mamma, le zie e probabilmente anche la panettiera sotto casa tua. così come io lo sono stata.

È una parola sconveniente detta da uno sconosciuto sui mezzi pubblici, un uomo che, guardandoti mentre stai in piedi di fronte a lui, finisce a masturbarsi sul tram, un signore di mezza età che commenta le tue forme e le apprezza esplicitamente davanti a te.

<<Violenza >> qualsiasi atto che provoca, o può provocare, danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione e la deprivazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata”.

È una stretta troppo forte al braccio durante una litigata, il tuo ragazzo che ti proibisce di vestirti in un certo modo o di uscire in certi posti, uno schiaffo, un linguaggio disdicevole.

Non tutti gli uomini sono così, ma tutte le donne sono o saranno vittime.

non è una guerra contro gli uomini, non si deve fare di tutta l’erba un fascio.

Con questa giornata si vuole combattere contro il patriarcato e contro questa “cultura” del possesso e dello stupro.

È davvero importante educare.

Educate voi stessi e poi insegnate agli altri.

A quel tuo amico troppo possessivo con la fidanzata, a quello che fa sentire troppo a disagio le tue compagne di classe quando scrivono alla lavagna. Non ci si può girare dall’altra parte quando il problema è qui di fronte a noi, nella quotidianità.

Tutti possono essere vittime di violenze e molestie; purtroppo e per fortuna però, i numeri non sono paragonabili: la violenza contro le donne è un fenomeno sistematico nella nostra società.

Chiedi a un tuo amico, ad esempio, se qualche donna lo ha mai fissato in autobus, fino a sbavare con un sorriso compiaciuto. o se mentre ballava con gli amici in discoteca, una ragazza ha mai cominciato ad insistere fino a toccarlo in parti intime e private.

domandagli se ha mai dovuto rinunciare ad andare a bere qualcosa in compagnia, solo perché c’era un lungo tratto nascosto e poco illuminato da percorrere a piedi.

Non è colpa degli uomini, ma del patriarcato.

Dobbiamo educare le generazioni vecchie, nuove e future: la donna non è un oggetto, non Va posseduta, scartata, usata, ripresa e dimenticata.

La violenza non è solo fisica, ma anche verbale.

L’abuso non è solo sessuale, ma anche psicologico.

Una donna non è cosa. e soprattutto non è cosa tua.

La violenza spesso nasce non perché una persona sia particolarmente disturbata, ma proprio perché è convinta di trovarsi davanti ad un oggetto.

Di poterlo possedere e decidere per questo.

Questo deve cambiare e dovremmo aiutarci ogni giorno a capirlo.

– Matilde Martinelli 5AC

Basta!

1069 sono le vittime di mafia dal 1861 a oggi: bambini, anziani, uomini e donne. Alcuni uccisi solo per vendetta, altri perché si sono opposti al regime mafioso. 133 le donne, 115 i bambini. 168 le vittime prima del 1961, 16 le vittime innocenti dell’ultimo anno. Perché tutto questo? Perché deve andare avanti così?
21 marzo. Il ritorno, almeno sul calendario, della primavera, simbolo di vita e rinascita, ma oggi non è solo la rinascita della natura, è anche la giornata in cui ci si impegna in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. “Parlatene della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” questo diceva Paolo Borsellino, magistrato siciliano che dedicò la sua vita alla lotta contro le mafie insieme al collega e amico Giovanni Falcone, entrambi persero la vita per questo scopo e questa è la mia intenzione: scriverne.
Oggi non si ricorda solo chi, come Falcone e Borsellino, ha perso la vita per sconfiggere le mafie, ma anche
tutti quelli che sono morti con loro a Capaci o in via D’Amelio, quelli che sono morti perché si sono ribellati
al sistema mafioso, quelli la cui unica colpa era essere parente di un nemico della mafia e soprattutto quelli
che di colpe non ne avevano: donne e bambini uccisi da proiettili vaganti. Ma i proiettili non vagano da soli.
Serve sempre qualcuno che spari e, indipendentemente dal motivo, è sbagliato.
Mafia, Camorra, ‘ndrangheta, Cosa nostra, Sacra corona unita, Mala del Brenta… tutti nomi per la stessa cosa: la criminalità organizzata. L’organizzazione è capillare, raggiunge ogni minimo centimetro quadrato dell’area in cui agisce e la non collaborazione si traduce in morte.
Bisogna però saper reagire. Bisogna opporsi.
Non tutti abbiamo lo stesso coraggio dei già citati Falcone e Borsellino o di Antonino Caponnetto, del generale Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici. Ma basta poco. Basta il coraggio di opporsi a un torto, magari anche una cosa definita come “cosa da poco”, ma è importante perché è dalle piccole azioni quotidiane che iniziano le grandi rivoluzioni.
Mafia è violenza ma è anche omertà, il silenzio sulle azioni scorrette a cui si assiste. Il problema è che questo fenomeno è troppo diffuso, in particolare tra noi giovani, Facciamo un esempio: per aiutare il compagno, si fa copiare, e chi vede questo, spesso non lo riferisce all’insegnante, diventando “colpevole” tanto quanto chi copia e chi fa copiare. Probabilmente questo atto sarà fine a sé stesso, ma se non si interviene su queste piccole azioni sin da subito la situazione potrebbe peggiorare fino a diventare altra criminalità organizzata. So che è una visione drastica delle cose, ma d’altronde come dalle piccole buone azioni nascono le rivoluzioni, da tutti gli atti di ingiustizia o di illegalità nascono i grandi problemi di questo mondo.
Ultimamente “mafia” è una parola che si è sentita spesso in televisione, grazie al recente arresto di Matteo Messina Denaro che, però, è solo un minuscolo traguardo rispetto all’immensità della mafia. Infatti, lui era uno dei boss di Cosa nostra, ma probabilmente prima dell’arresto aveva già “passato il testimone” all’erede successivo. Però, bisogna continuare a combattere per gli ideali di quanti sono morti difendendo la giustizia per un mondo libero dalla mafia. “Gli uomini passano, le idee restano” diceva Giovanni Falcone, ma oltre che restare, devono restare vive e alimentare l’umanità che è dentro tutti noi. La mafia magari non commette più omicidi eclatanti, le stragi, ma continua a esistere ed esiste in tutto il mondo, non solo in Sicilia o nel Sud Italia. Esiste nel traffico di migranti, esiste nel mercato della droga, esiste nella corruzione politica, esiste.
E questo deve smettere di essere vero.
Bisogna combattere la mafia, magari c’è, tra chi leggerà quest’articolo, qualcuno che un giorno avrà una carriera politica, e in quel ruolo dovrà farsi valere contro la mafia e la corruzione. Ma tutti dobbiamo combatterla quotidianamente, contrastando le ingiustizie e l’omertà.
“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” – Paolo Borsellino
I nomi e i numeri si possono trovare nel sito di “LIBERA” https://vivi.libera.it/
Pietro Grosselle, 3BSA

La caduta

Ogni giorno,
ogni volta
Ti sento, ti ascolto.
E ci ricado dentro.


All’inizio la discesa è sempre rosea
lenta,
dolce.
Quasi piacevole.


Ma poi si mostra per ciò che è realmente:
un buco oscuro,
pieno di occhi giudizievoli,
commenti acidi
e cuori agonizzanti.
E lì, il terrore mi investe completamente.


Ogni volta mi perdo nella tua fitta nebbia, nella tua incessante tempesta,

cercando disperatamente un’uscita che mai apparirà.


Ma ormai sto iniziando ad incespicare, sto perdendo le speranze.
Sono stanca.


Stanca di continuare questo cammino che non sta portando a nulla.
Stanca di provare e provare e provare, fallendo ogni volta.
Stanca di questo nulla che ogni giorno mi scava e distrugge il cuore.
Stanca di avvertire quel peso sullo stomaco a causa dell’ansia.
Stanca della solita sequenza di vane medicine che devo ricordare ogni giorno.
Sono stanca di questa lenta e torturante agonia.
Stanca di questo corpo, di questa vita.


Un senso di sfinimento sovrumano sta ormai prendendo il controllo.
Stavolta, non so se avrò abbastanza forza per combattere.
Warr;or

75190

27 gennaio, Giorno della Memoria, conosciuto da tutti, ma capito da quanti?

Accadeva nel 1935, approvata l’emanazione delle Leggi di Norimberga, a partire dalla Germania vennero riconosciute diverse proposte e soluzioni per isolare gli ebrei.

Dopo la perdita della loro cittadinanza, gli ebrei si trovarono costretti a farsi da parte, a nascondersi, a celare le loro origini e il loro stesso essere. Come sostenuto nel “Mein Kampf” scritto da Adolf Hitler tredici anni prima, gli ebrei vennero riconosciuti come il male assoluto e la loro eliminazione dalla società divenne sempre più concreta.

Quest’odio ingiustificato ed eticamente scorretto culminò nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, la Notte dei Cristalli, l’esistenza ebraica in Germania venne tassativamente rifiutata: oltre mille sinagoghe vennero bruciate, più di settemilacinquecento negozi e proprietà vennero rasi al suolo, la gioventù di Hitler, Hitler-Jugend, prese il sopravvento. Quella notte vennero uccisi migliaia di ebrei, senza distinzione: uomini, donne, bambini.

Ma è questo, essere umani?

Più di trentamila ebrei vennero deportati nei campi di concentramento: orrende strutture che impedivano di avere una vita degna di questo nome. Ombre, come definite da Primo Levi in “Se questo è un uomo”, esseri, non più persone, che lavoravano giorno e notte a ritmi strazianti, senza nulla in cambio se non dolore, ma con la sola speranza, se resisteva nel tempo, che qualcuno potesse liberarli. Paradossalmente non era questo il peggio, dopo ore, giorni, mesi, anni di lavoro forzato e non retribuito lo stato fisico e mentale degli ebrei deportati, a questo punto definibili veri e propri mezzi di produzione, era completamente distrutto. Persone annientate, identità frantumate vennero definitivamente stroncate negli orridi campi di sterminio. Non più in grado di lavorare gli ebrei venivano uccisi uno dopo l’altro, senza le minime reazioni internazionali.

Oltre agli ebrei vennero perseguitati anche gruppi di minoranze etniche, popolazioni slave, afro-tedeschi, portatori di handicap fisici o mentali e omosessuali; pur di difendere quella che era definita la razza ariana.

Fortunatamente nel 1945 migliaia di soldati americani, assieme ai loro alleati, riuscirono a porre fine a questa tragedia, definita Olocausto.

Il termine ebraico Shoah (ovvero “sciagura, catastrofe”) venne attribuito assieme all’appellativo Olocausto a questo evento drammatico che portò alla morte di più di quindici milioni di innocenti. Di fatto, però, il termine Olocausto è errato, poiché presuppone che la morte sia un’offerta per la divinità; questa definizione non corrisponde al termine Shoah che indica, invece, più correttamente, l’omicidio programmatico di una determinata categoria.

Qual è il senso e lo scopo della Giornata della Memoria? È la difficile domanda che ci siamo posti. Oggi, 27 gennaio, ricordiamo questa tragica serie di eventi, ma non ne celebriamo la fine; anzi, confidando in una pace duratura nel tempo, cerchiamo di sensibilizzare tutti il più possibile per far sì che nulla del genere si possa più verificare. Anche se, in questo periodo storico, la pace è ben distante dall’essere reale.

Si cerca dunque di passare il messaggio di anno in anno, di generazione in generazione, ricordando il dolore di milioni di vittime, che persero tutto: la loro casa e i loro averi, i loro cari, ma soprattutto la loro identità e la loro vita, che fino all’ultimo istante di quelle tormentate esistenze, si limitarono ad un semplice numero, proprio come il titolo del nostro articolo.

Andrea Rosato 3CL

Pietro Grosselle 3BSA

La scuola agli antipodi

I vari sistemi scolastici internazionali mi hanno sempre incuriosito. Sarà forse per la mia voglia di confronto, ma trovo un certo fascino nel comprendere come ogni Paese basi e organizzi l’insegnamento e l’istruzione dei giovani. E in fondo, credo che interessi un po’ a tutti, dato la grande mole di argomenti su cui ogni studente, sono sicura, vorrebbe discutere, riguardante il sistema sistema scolastico italiano.

Poco tempo fa, perciò, ho avuto la fortuna di trovare l’opportunità giusta al momento giusto, e grazie al prezioso aiuto di Emma, una mia cara amica, sono riuscita a parlare con Kelly, una ragazza australiana, venuta qui in Italia qualche mese fa e che ora frequenta una scuola italiana. Dalla nostra chiacchierata è nata la breve intervista sotto riportata, e che spero possa interessarvi.

So, Kelly, my first question is: what do you think of the school here in Italy?

I like it, it’s different from my school in Australia, but it’s a great experience. Everybody is so kind, so friendly, but it’s a bit hard beause I don’t speak Italian. In Australia it’s a lot easier because I don’t struggle with the language, but in Italy, for example, sometimes I can’t pay attention because I don’t understand anything.

And do the teachers help you with the language, somehow?

They all do, somebody more than others. There are some teachers who explain in Italian first, and then they tell me what they said in English, and I like it because it is really heplful. I’m learning Italian right now, but I can’t handle an entire lesson yet.

Yeah, and what about lessons? Are they the same as in Australia?

Ok, so in Australia is not exactly the same. We don’t go to school on Saturday, and we have six hours of school every day.

Oh, so you never have lunch at school?

Yes, we have lunch at school. We have a 30 minute lunch break, and the lessons last 50 minutes each.

And what do you study in class? Are the subjects the same as in Italy?

Mh, I think so. We study subjets like maths, P.E. and other subjects that I’m studying now in Italy, in Primary and Middle school. Then we can decide what we want to study next, and I think you do this in Italy too. The only thing that changes is that we have 6 years of primary school, 3 of middle school and 4 of high school. Oh, actually, in Australia I studyed Japanese as my second language, but here I’m learning Spanish, so…

Japanese? Wow, really? Well, last thing (this doesn’t actually matter but I’m curious) do you have classes in Australia where you move in every hour, like in the U.S.A., or is it like in Italy?

We don’t have classes, we only have one, but actually we move to a different class for Japanese or Science lessons sometimes.

Ci siamo divertite a fare questa chiaccherata, io, Kelly ed Emma, che mi ha aiutata quando la mia carenza di vocabolario si faceva sentire. Tra una passeggiata e un cappuccino abbiamo tirato fuori aneddoti che hanno incuriosito entrambe le parti, spesso e volentieri spostando la conversazione su argomenti casuali e poco inerenti al nostro obiettivo principale, cioè quello di informarsi ed informare su una realtà che non ci appartiene, ma che mi auguro tutti vedano come fonte di scoperte ed interesse.

Elena Saielli, 1BL

Grazie soprattutto a Kelly ed Emma.

Sporcizia

L’unico sapore che percepisco è quello della sporcizia, mentre il sangue scivola tra le
fessure dei miei denti. Lo stesso sapore che rimaneva sulla mia lingua quando ero piccola e
sputavo la terra ingoiata durante le mie cadute. Ero indifesa: nella mia maglietta a fiori, i miei
leggins neri, il mio cerchietto con le rose e il lucidalabbra rosso, non sapevo cosa
significasse vivere in questo mondo. In un pianeta dove se sei debole devi venire sopraffatto
e abusato; un pianeta dove, se non sei come gli altri vogliono, devi soffrire per loro mano.
Quando questi anche solo scorgevano la mia presenza, diventavo l’attrazione più divertente
di tutta la scuola. L’accanimento su di me, per loro, era fonte di grosse risate, soprattutto
quando con le loro scarpe sudicie, con cui avevano corso per il cortile, mi calciavano la
schiena, buttando il mio esile corpo a terra. Solo lui ha cercato di sollevarmi, guardandomi
dritta negli occhi quando cercavo di pulirmi lo sporco via dai vestiti, con i brividi lungo la
schiena e gli occhi gonfi di lacrime. Solo lui mi ha raccontato delle sue giornate, senza
ignorarmi come se fossi un mostro disgustoso. Solo lui mi ha invitato a casa sua per studiare
insieme, spostandomi i capelli dal viso quando appoggiavo la fronte al tavolo, esausta dallo
sforzo. Nella mia fragile dormiveglia, lo sentivo spostare le dita sul mio corpo: dalla nuca alle
spalle, dalle spalle alla schiena, dalla schiena ai fianchi, dai fianchi alle cosce. Solo lui mi
sussurrava all’orecchio di essere solo sua e di nessun altro. Me lo ripeteva ogni giorno,
come se fosse una preghiera che dovevo imparare a memoria e tatuarmi nella testa. Me lo
ripeteva anche mentre mi coprivo gli ematomi che mi procurava, picchiettando il correttore
con la spugnetta sui lividi neri. Diceva che provare lo stesso male che provava lui quando mi
vedeva insieme ad altri era l’unico modo per imparare a rispettare le regole che mi dava.
Che fosse mio padre o mio fratello, vedermi vicino ad altri maschi lo faceva ribollire di rabbia
all’interno: lo potevo percepire dal tremolio della sua voce quando mi intimava di non fare
cazzate o avrei dovuto pagarne le conseguenze. Senza nemmeno pensarci però, credevo
ad ogni sua singola parola e cercavo la tonalità di rossetto più scarlatta, chiedendomi se gli
sarebbe piaciuto vedere sulle mie labbra lo stesso colore del mio sangue. Lui era l’unico
uomo che mi meritavo e che potevo permettermi, colui che era destinato ad accompagnarmi
fino alla tomba.
Queste situazioni erano aumentate notevolmente da quando la nostra scuola aveva
annunciato il ballo di fine anno, a cui ovviamente volevo andare. Emozionata dalla nuova
esperienza a cui potevo partecipare, mi ero precipitata a girare per negozi per cercare l’abito
perfetto. Nessun dettaglio tralasciato, massima attenzione per ogni singola caratteristica del
modello. Tutto curato nei minimi dettagli per renderlo felice. Avevo preparato anche un
piccolo regalo per lui, mentre lo aspettavo seduta sul divano a casa, con il cuore in gola per
l’ansia. Non potevo aspettare un minuto in più.
Quando però ho sentito il rumore dei suoi passi sul vialetto di casa e un click metallico alla
porta, che ne indicava l’apertura, un sapore amaro è salito dall’interno del mio stomaco fino
alla gola. Perché sapevo benissimo che mi aveva proibito di comprare abiti di quel tipo, ma
io lo avevo ignorato completamente e lo avevo fatto comunque. Avevo commesso una
sciocchezza. Avevo dato importanza al cuore e non alla mente. Quando il primo schiaffo ha
colpito la mia guancia, infatti, ne ero già a conoscenza. Quello che però non potevo sapere
era che, qualche istante dopo, la persona che avevo più amato in tutta la mia vita e a cui
avevo perdonato ogni peccato mi avrebbe presa e costretta a terra, con la pancia giù e il
bacino alto. Ha messo una mano davanti alla mia bocca, non permettendomi di emettere
nemmeno un gemito, e ha fatto entrare due dita, posizionandole sopra la lingua, così che se
avessi provato a dimenarmi mi sarebbero saliti dei forti e naturali conati di vomito. Il tintinnio
della fibbia che segnalava la cintura caduta a terra mi ha portata a scontrarmi con la gravità
della situazione. Ho provato a mormorare di smetterla, che avrei fatto qualsiasi cosa,
veramente qualsiasi. Ma lui non ha sentito, e ha deciso con un colpo deciso di rompermi il
cuore, dato da un dolore istantaneo che mi ha trafitta dall’interno del mio corpo. Ha
continuato a usarmi come la sua bambola per una quantità di tempo che non saprei
precisare, dato che ogni movimento mi è sembrato durare un’eternità. Un infinito inferno in
cui le mie pareti venivano strappate senza ritegno. Ho capito che aveva finito di soddisfare la
sua indole solo quando sono caduta, con un sonoro schiaffo, sulle mattonelle fredde del
pavimento.
Ed è qui, intrappolata, incollata nel luogo del crimine, ora ricoperto di sangue, sudore e fluidi
appiccicosi che colano dalle mie gambe, che riconosco di avere sbagliato tutto nella mia
vita.
Riconosco di essere stata una stupida.
Riconosco di essere stata ingenua.
So benissimo che ogni speranza è vana. Forse farei meglio a lasciarle volare via da me ed
arrendermi al mio destino che, nonostante cerchi di pensare il contrario, mi sono scelta da
sola.
Ora però devo pensare ad alzarmi, con le mie gambe instabili e la mia debolezza, e lavarmi
di dosso questo miscuglio di schifezze. Avere una mania del pulito è un gran problema a
volte.

Valentina Grigio 2BL