Is Ugly Still Chic?

Non solo le cose “belle” ci attraggono, che sia in amore o nella moda. Il “brutto”, sempre se così si può definire, ha un fascino intrinseco, ha qualità inspiegabilmente percepibili che però sfuggono alla comprensione piena del fenomeno.
L’introduzione del “brutto” nell’arte nasce come provocazione intellettuale contro una patinata noia borghese, come scrive Francesca Milano Ferri per Harper’s Bazaar, e anche più tardi e in ambiti diversi, non è venuto a mancare l’aspetto provocatorio e sovversivo. Un esempio di evento rivoluzionario per la moda fu senza dubbio la SS1996 “mix di colori solforosi” (def. di Anna Piaggi) di Miuccia Prada, collezione aspramente criticata proprio per non aver rispecchiato l’idea di bello e di conforme, che aprì le porte al famosissimo “pretty-ugly”; è sempre Miuccia Prada a dire: “Il brutto è attraente, il brutto è eccitante. Forse perché è più nuovo”.

Prada Spring 1996

Prada Fall 1996


Dello stesso parere è anche l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, il quale, in un’intervista riguardo alla sua collezione “Make The Strange Beautiful” disse: “Più strano sei, più bello sei. A me piacciono i difetti, non c’è niente da fare”.

Gucci Spring 2022 “Love Parade”


Però alla stranezza e alla singolarità, per non parlare direttamente di “bruttezza”, sono stati imposti dei limiti: l’ugly chic di Prada ha avuto un’ascesa e un declino, e l’impero dorato Gucci di Michele è deceduto da ormai un’anno. Ciò che sfila oggi è ricercata e ostentata semplicità, quasi una camicia di forza alle nostre passioni, alle nostre spinte.

Non sentiamoci mai in dovere di conformarci, di diventare lo standard. Rendiamo felici noi stessi, e aggiungiamo quella spilla o quel colore dissonante che ci faranno uscire di casa con un sorriso. Rendiamo il nostro armadio Immature Couture.

-Edoardo Benedusi 5AC

La guerra di nessuno

Dormi sepolto in un campo di sterco
Livido il cadavere d’un uomo sincero
Colpevole d’umiltà e d’un alterco
con un nemico assai mortifero


Creatura mostruosa zittisce, serpeggia
dove l’omertà da tempo aleggia
Bestia orrida dalle mille mani
Vive se tutti ce ne stiamo buoni


Cane il maresciallo che volse la testa
Di fronte al mostro del suo Paese
Lui non poté nulla, subito s’arrese
Ora se ne va e più non si arresta


Sospetta di tutti, sospetta e fai bene
Il mostro è in ognuno, scorre nelle vene
Ninetta mia non aspettarmi stasera
Ché mi hanno privato d’una vita libera

– Martina Buttarello, 3BL

21 Marzo XXXX

Il 21 marzo è per tutti il primo giorno di primavera, ma per noi italiani è anche la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”. Vi domando: quanti di voi conoscono questa ricorrenza? Secondo un sondaggio de “La Repubblica” solo un quarto tra di voi conosce questa giornata. Per curiosità, se volete, provate a verificare questo dato. 

Il titolo di questa giornata è un titolo lungo che in sé racchiude i nomi e le storie di tutte le vittime di mafia. 1069, questa è la conta ufficiale dei morti. Non mi è possibile elencare tutti i loro nomi, ma voglio almeno darvi un’idea su chi erano queste persone. Erano: politici, magistrati, prefetti, poliziotti, imprenditori, medici, giornalisti, impiegati, sacerdoti, attivisti, tuttofare…uomini e donne…anziani e adolescenti…e bambini. Eroi che hanno perso la loro vita per aver combattuto la mafia o per aver detto un semplice “no”, e innocenti che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.   

Come per capire bene la matematica servono degli esempi, ora desidero raccontarvi una storia, ma non una di quelle che probabilmente conoscete già o di cui avete sentito parlare per caso e di cui, forse, vi stanchereste a riascoltare; bensì una tragedia con la quale spero di toccare i vostri cuori e farvi comprendere quale razza di mostro cancerogeno sia la mafia.                                                                                  

Quindi, torniamo indietro nel 1993. Ci troviamo in un periodo molto importante: l’anno precedente la mafia aveva ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il 15 gennaio 1993 viene arrestato Totò Riina, il boss dei boss. Per l’Italia è una vittoria e la gente inizia a tirare un sospiro di sollievo, ma la mafia ha risorse, è forte, è potente e reagisce mostrando all’Italia e al mondo intero di cosa è veramente capace. È la notte tra mercoledì 26 e giovedì 27 maggio 1993 e ci troviamo a Firenze in via dei Georgofili, una strada che accosta il museo degli Uffizi, per capirci, e che tutt’oggi porta i segni di quella terribile notte. Lì i mafiosi hanno parcheggiato un furgoncino (un Fiat Fiorino). A Prato lo avevano imbottito con più di 250 chili tra tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina. Una miscela esplosiva devastante. Sono le 01:04 e BOOM!!! all’improvviso Firenze si sveglia. All’inizio nessuno capisce quale tragedia sia avvenuta: il 25% delle opere custodite nella Galleria degli Uffizi viene danneggiata gravemente, abitazioni e palazzi interi completamente distrutti. Ci sono quarantotto feriti e cinque morti tra cui Dario Capolicchio, uno studente universitario di ventidue anni (bruciato vivo) e la famiglia Nencioni tra cui: Angela Fiume, Fabrizio Nencioni e le loro due figlie. La più piccola si chiamava Caterina. Sapete quanti anni aveva? Forse 17? No! Forse 13? No! Forse 10? No! Forse 7? No! Forse 3? No! Allora 1? No, 50 giorni, non aveva neanche due mesi di vita. Il suo corpicino fu ritrovato tra le macerie del palazzo in cui abitava. L’intervento dei vigili del fuoco e dei medici fu completamente vano. Le vite di queste vittime, di queste persone innocenti e comuni sono state totalmente stravolte e cancellate. Erano persone normalissime di circa la nostra età e dell’età che potrebbe avere un nostro fratello o sorella o cucino o cugina o noi stessi: la 1069esima vittima aveva diciotto anni, si chiamava Francesco Pio Maimone ed è stato ucciso da un proiettile vagante il 20 marzo 2023 mentre si trovava casualmente sul lungomare di Napoli.                                                                                                               

Spesso cadiamo in due principali errori:

Il primo è quello di catalogare la mafia come una questione del Sud. Magari fosse così! La mafia esiste e logora il nostro paese da oltre un secolo e mezzo. In centocinquant’anni non siamo riusciti ad ucciderla e, come dice il detto “ciò che non uccide, fortifica”, la mafia ha messo radici molto in profondità in tutto il nostro territorio ma soprattutto all’estero: sia in Europa che in America. Ci sono decine, centinaia di crimini che sono stati commessi e che sono commessi tutt’oggi dalla mafia. Se vi può interessare un esempio clamoroso è la strage di Duisburg, in Germania. È talmente tanto radicata e presente nelle nostre vite che ci abbiamo fatto l’abitudine ormai. In Veneto sono presenti le mafie? Certo che sì. L’Università di Padova ha stimato che 30mila aziende venete siano nell’area di interesse della mafia. Come agiscono? Praticano uno dei mestieri più antichi: l’usura. Prestano soldi ad aziende in difficoltà con tassi d’interesse elevatissimi (fino al 600%). Quando l’imprenditore non è in grado ripagare il prestito, è obbligato a cedere la sua azienda che finisce inesorabilmente nelle mani mafiose. E nel nostro territorio? Nella bassa Padovana? Ovvio. Avevate dubbi? L’anno scorso la guardia di finanza ha sequestrato beni appartenenti a William Alfonso Cerbo, un associato a Cosa Nostra, per un valore complessivo di 10 milioni e 700 mila euro. Dov’era la sua base operativa? A Este? A Monselice? No, Sant’Elena. Non credo neanche che ognuno di voi la conosca. (Informazioni prese dal giornale “La Sicilia”)

Il secondo errore è quello di sottovalutare la mafia. Solo perché non uccide da tempo in maniera palese non vuol dire che siano in crisi. Al contrario, la mafia è intelligente, è furba e in tutti questi anni si è evoluta ramificandosi soprattutto nei settori più redditizi: edile, finanziario e immobiliare.

Ora, non che non abbia fiducia nella vostra memoria, ma credo ciò che ho scritto fino ad ora rimarrà nei vostri ricordi al massimo per qualche giorno o qualche settimana a voler esagerare. Tra un anno, quando uscirà un altro articolo per questa ricorrenza (sicuramente scritto meglio del mio), la maggior parte di voi sarà tornata in quel 75% di giovani che non conoscono questa giornata. È normale? Lascio a voi rispondere. 

L’ultima cosa che vi racconto è il motivo per il quale è stato scelto il 21 marzo come “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”. Il motivo è filosofico e semplice: con l’inizio della primavera si simboleggia la speranza della rinascita di un Paese libero, guarito dal cancro chiamato mafia. 

Grazie dell’attenzione

Federico Roberto 4AS, ringrazio i professori Roberto Cascio e Guido D’Alessandro per i loro preziosi consigli.

21/03

art.21 Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione nei limiti del rispetto altrui.”


Le discriminazioni razziali e religiose hanno un impatto devastante sulle società di tutto il mondo, tracciando una storia di ingiustizia, oppressione e conflitto. Tuttavia, dietro le battaglie contro queste forme di discriminazione si celano storie di resistenza, coraggio e vittorie che hanno plasmato il corso della storia umana. La storia delle discriminazioni razziali è segnata da periodi oscuri di schiavitù, segregazione e violenza contro persone di diversi gruppi etnici e razze. Le lotte per i diritti civili, come il movimento per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti, hanno dimostrato la determinazione nel combattere l’ingiustizia e ottenere significativi progressi verso l’uguaglianza di diritti e opportunità.
Ad esempio, durante l’era della schiavitù negli Stati Uniti, milioni di africani furono brutalmente sfruttati e trattati come proprietà. La segregazione razziale, come le leggi Jim Crow, ha istituzionalizzato la discriminazione contro gli afroamericani, limitando i loro diritti civili. Inoltre, l’Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale è un triste esempio di discriminazione razziale estrema, in cui sei milioni di ebrei furono sterminati dai nazisti a causa della loro origine etnica.
Questo genocidio ha lasciato un’indelebile cicatrice nella storia umana, evidenziando gli orrori della discriminazione razziale portata all’estremo.
Tuttavia, la lotta continua, poiché il razzismo persiste in molte parti del mondo, richiedendo un impegno costante per promuovere la diversità, l’inclusione e la giustizia. Allo stesso modo, le discriminazioni religiose hanno lasciato un segno indelebile nella storia umana, alimentando conflitti e persecuzioni in tutto il mondo. Dall’inquisizione alle persecuzioni religiose moderne, le persone hanno subito discriminazione e violenze a causa delle proprie credenze spirituali. Tuttavia, la storia è anche arricchita da esempi di tolleranza, rispetto e coesistenza pacifica tra diverse comunità, evidenziando il potere della compassione e della comprensione nel superare le divisioni religiose. È essenziale comprendere che dietro ogni individuo, indipendentemente dalla razza e dalla religione, si nasconda una persona con un cuore, dei sentimenti e delle emozioni. Il rispetto per la diversità e la consapevolezza della nostra umanità comune sono fondamentali per promuovere la pace, l’armonia e la solidarietà tra i popoli. Non giudicare gli altri in base alla loro apparenza o alle loro convinzioni, ma piuttosto abbracciare la ricchezza della diversità umana e lavorare insieme per costruire un mondo in cui tutti possono essere accettati e rispettati per chi sono.
In conclusione, combattere le discriminazioni razziali e religiose richiede un impegno collettivo per la giustizia, l’uguaglianza e il rispetto reciproco.


È attraverso la comprensione della storia delle lotte e delle vittorie contro queste forme di discriminazione che possiamo trarre ispirazione per un futuro in cui l’unità e la fratellanza prevalgono sulle divisioni e sull’odio.


– Rigotti Angelica 3ASA

Scleranthus

“Per coloro che soffrono molto per l’incapacità di decidere fra due cose, considerando
giusta ora una ora l’altra, in particolare quando sono posti di fronte a due alternative
contrarie; per coloro che manifestano una carenza di equilibrio, data dalla loro
costante incertezza, celando notevoli conflitti interiori.”

Non credo sia veritiero affermare che da tutte le cadute ci si può rialzare. Può accadere di scivolare e poi alzarsi tranquillamente, dimenticandosi dell’accaduto, oppure di ammaccarsi un gomito, di sbucciarsi un ginocchio, di rompersi una gamba. Tutte ferite che con il tempo e con la cura possono cessare d’esistere, come è risaputo. Colui che si è scalfito dunque, anche se prova una dolorosa fatica, cerca in qualche modo di tirarsi su come gli è possibile e di raggiungere i soccorsi il prima possibile.

Se invece però si sprofonda in una stretta gola vertiginosa, soffocante e tetra da far perdere il senno, nulla si può fare per migliorare la situazione se non lasciarsi sopprimere dall’atmosfera di disperazione generale. Aspettando, in un primo momento con riluttanza, che qualcuno s’affretti ad accorgersi della scomparsa.


Quando nessuno si presenta, la realizzazione della scomoda verità viene alla luce e scalfisce come una lama affilata, che si ritorce nel petto mossa dal rancore. Prima appare rimorso, poi viene oppresso dal terrore, dalla paura di non riuscire a sopravvivere con le proprie forze, di non respirare mai più l’aria esterna che sa di
libertà. Così il corpo inizia a fremere, a sudare, a contorcersi in preda all’angoscia, perché viene al corrente del fatto che ogni tentativo è vano, che nemmeno graffiando le pareti di roccia fino a staccare le unghie si riuscirebbe a risalire da quella pozza di sconforto che dimostra la sua superiorità naturale. Si fanno grandi respiri, si cerca di calmare la mente sferzata dalla follia riportandola alla lucidità del riposo, eppure ciò è
impossibile da ottenere, in quanto l’irritante idea della speranza è sempre presente e non abbandona mai nessuno di noi. Si è divisi da due sentimenti contrastanti, da due correnti opposte che con la loro voce creano un frastuono tale da portare a desiderare un’infinita quiete che possa durare in eterno. Non sempre queste due emozioni sono qualcosa di intollerabile, spesso si associano a concetti semplici, come l’impegnarsi o il riposarsi, la perfezione e l’imperfezione, l’audacia e il timore.


Quelli che conosco meglio personalmente sono il vuoto e il pieno.


Il tutto e il niente, la presenza e l’assenza.


Il vuoto è una sensazione incredibilmente subdola, che si insinua all’interno dell’anima come una serpe indiavolata e inizia a nutrirsi di ciò che trova, riducendo al minimo ogni risorsa, privando d’ogni ricchezza interiore. L’attimo in cui ci si fa sopraffare da questo è quello in cui la negativa leggerezza lascia un quesito spinoso al nostro cervello. Che significato ha una vita senza un contenuto da elaborare, senza una base solida dalla quale partire? La risposta viene ricercata nel ripristino immediato ed avido della materia, temendo questa possa sparire come ha fatto in precedenza.
Eppure, una volta sazi, l’effetto tanto atteso non si presenta, anzi, lascia solo una gravosa pesantezza che si riflette sulla propria percezione. Ancorati al presente da un fardello insormontabile, cancellabile solo tramite la sua eliminazione totale.
Il cerchio ricomincia, ripetendo in successione questi due stati contrastati che lasciano solo una continua pena, la quale sembra non terminare mai. Ed i tormenti della mente prima o poi si proiettano su quelli della carne, coinvolgendola inevitabilmente nella propria afflizione. Nasce anche dalla frequente e banale noia, dalla sottile preoccupazione di non avere un vero e proprio significato in un mondo vasto e vario, dove vivono tante personalità forti dai numerosi talenti. Per colmare il buco s’ingerisce voracemente tutto ciò che si trova senza criterio, senza distinzione, spinti dall’unico desiderio di sentirsi pieni e realizzati. Tuttavia le conseguenze non si possono evitare, e neppure ignorare. Il peso ingente limita in ogni suo lato ed occupa con egoismo tutto lo spazio possibile, accumulandosi sempre di più ed occludendo anche le vie che dovrebbero essere lasciate libere. Arriva allora la necessità di lasciarsi cedere, di svuotarsi, di infilare due dita in bocca e farle scendere il più possibile giù per la gola, di rigurgitare il tutto, di rigettare non solo l’eccesso, ma anche l’essenziale. Infine, solo l’infelicità di una volontà tesa e in procinto di rottura a causa di due forze dalla stessa natura distruttiva.


Basterebbe solo raggiungere una stabilità, un equilibrio adatto tale da soddisfare, anche solo in minima parte, la fame umana di compiacimento personale. Malgrado ciò, anche l’armonia indica uno stato di staticità controproducente.


Nemmeno la sazietà potrà portarci alla pace interiore.


Non ce ne libereremo mai.


Non me ne libererò mai, e consumerò in eterno nel fondo di quella gola.

– Valentina Grigio, 3BL

15/03

“Ciao, ti va se sabato usciamo? È da tanto che non ci vediamo. Magari facciamo un giro dove vuoi tu, dopo scuola, e poi stiamo in giro come al solito fino a sera se ti va”


“per me va bene, avviso i miei ma in teoria mi lasciano sì…”


Sabato
“Io ho fame e infatti ora credo mi prenderò qualcosa da mangiare, però mangi anche tu eh,
così mi fai anche compagnia”
Come glielo spiego, non glielo spiego…
Non saprei nemmeno come farlo. Far vedere cos’ho dentro realmente, farebbe paura forse.
Io faccio paura. Come sono finita così?
Vabbè ora non c’è tempo per pensarci, devo dire qualcosa sennò sospetterà che forse sto pensando troppo, e nel mio silenzio c’è qualcosa che non va.
“Ho mangiato tanto stamattina a colazione, poi oggi a merenda i miei compagni di classe hanno portato del cibo e direi che ho mangiato anche abbastanza. Sono apposto io, però ti accompagno pure a prendere qualcosa.”


“Sicura?”


“Sì, tranquilla”


Ogni giorno controllo che il mio polso sia diminuito di circonferenza, testo sempre se riesco a farci passare un dito o più nello spazio che si crea quando cerco di afferrarlo con una mano.
Se non ci passa mi arrabbio, non so bene il perché, o forse sì…
Ogni mattina verifico che io sia rimasta ad almeno dei chili in meno dal giorno precedente.
Se non è così, mi metto a fare ginnastica in camera, oppure vado a correre.
Solo il pensiero che possa anche questa cosa sfuggirmi di mano, non lo riesco a sopportare.
Vorrei avere almeno una cosa sotto controllo in mezzo a tutto il caos che mi sento attorno…”


“Se prima era l’autolesionismo a placare un qualcosa che non riuscivo più a tenere dentro, ora si è tramutato in qualcos’altro…
Non so come ci sono finita qui. Ormai è diventata routine.
Il cibo è “mio amico”. Quando mi sento sola, quando vorrei farmi del male, quando c’è qualcosa in me che sembra essere ingestibile, io so di avere un amico al mio fianco…
È lì, lui non se ne va mai.
Mi accompagna nei pianti, quando sono nervosa.
Quando sento che non vorrei essere qui, essere viva…
Rido e continuo a mangiare. Mi abbuffo di cibo, tanto ormai sono grassissima. La mia autostima è a pezzi, a cosa serve che io mi preoccupi?”
“Non voglio guardarmi, devo solamente passare davanti allo specchio velocemente senza riuscire a guardarmi anche solo per un pò. Non riesco…
Sono io quella? Dio, quanto faccio schifo. Perché l’ho fatto. Perchè ho mangiato così tanto oggi? Devo consolarmi con qualcosa. Ho bisogno di qualcosa, mi manca qualcosa. Ecco trovato, nella dispensa dovrebbero esserci degli altri biscotti…”


I disturbi del comportamento alimentare (DCA), non sono capricci. Sono patologie e disagi di natura psicologica. Se ritieni e ti accorgi che avresti bisogno di aiuto, o ti rendi conto che qualcuno ne avrebbe bisogno, non aver paura di chiedere aiuto. È importante, tu sei importante, tutti noi lo siamo…

– Anonimo

#ColoriamociDiLilla

Ammasso di voci opprimenti,
pitturano lacrime che celano infiniti tormenti.


Una lotta morbosa
contro quella creatura schifosa,
che si nutre di un mito incessabile e persistente,
mi tormenta continuamente.


Un largo maglione mi copre,
per soffocare quella voce mediocre;
voce che tutti possono ascoltare,
che nessuno osa mutare.
– Rigotti Angelica 3ASA

15 Marzo

Prima di scrivere questo,volevo avvertirvi tutti che questo è un argomento estremamente sensibile ed estremamente personale.

79,198,560 calorie,sempre in testa,ad ogni momento del giorno e della notte.

Non c’è modo di non pensarci,il pensiero è sempre li.

Essere magri,essere belli,essere accettati per come si è, anche se ritenuto impossibile

Perché non ci si riesce a vedere belli o anche accettabili.

Saltare I pasti,troppo esercizio,dimagrimento estremo oppure no.

Questi sono i segnali visibili,ma quelli dentro se stessi,i divieti,i riempimenti,le punizioni,quelle non sono visibili.

Per descriverli pienamente servirebbero mesi,ma con questo vi chiedo di trattare le persone con disturbi alimentari con una delicatezza particolare,magari con delicatezza maggiore di quella con cui trattereste tutti.

Non potete mai sapere cosa sta passando nella testa di una persona.

– Anonimo

Convivere con un mostro

Mi sveglio, mi alzo dal letto e come ogni mattina mi dirigo verso il bagno. Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo; tiro fuori la bilancia, non sono ancora arrivata al mio obiettivo. Mi vesto, salto la colazione e vado a scuola, mi gira la testa ma ormai è abitudine, la pancia brontola da vuoto ma è una sensazione bellissima. A merenda mi nascondo in bagno, non voglio che nessuno mi veda mentre mangio il frutto. I sensi di colpa iniziano a farsi sentire, devo muovermi. A casa salto il pranzo, studio e cammino, ho male i piedi ma non posso fermarmi, devo anche andare in palestra. Torno da palestra, vado a letto e so che il giorno dopo sarà uguale. I medici sono preoccupati, non mi interessa, si stanno sbagliando, io sto bene, posso spingermi oltre. La dietista mi ha dato i nutri drink e spero che mamma non si accorga che li butto. Va tutto bene fino a che un giorno svengo a scuola e mi risveglio in ospedale con il sondino e le flebo. Non posso muovermi, mi sposto con la sedia a rotelle. In camera ho una ragazza che ha il problema contrario al mio, sono tanti anni che è dentro a questa malattia. Mi dispiace è una persona così dolce, le voglio bene, è speciale. Uscita dall’ospedale mi mandano in comunità, ci sto per tanti tanti mesi, non vedo i miei genitori mi mancano tanto però so che mi sostengono e che ogni mio piccolo traguardo è per loro una felicità enorme. In comunità conosco Niki, è una ragazza che soffre di anoressia nervosa atipica, è normopeso e quindi non è stata presa in considerazione per troppo tempo; i suoi esami sono critici, lei sta male. Un giorno vengo a scoprire dalle infermiere che Niki non ce l’ha fatta; il mio dolore è talmente forte che torno a isolarmi, continua ricadute, tentati suicidi, tagli sulla pelle, non voglio più vivere. Il peso scende, mi rimettono il sondino, smetto di bere, sto lasciando alla malattia di prendersi tutto di me. Torno a casa dopo mesi e scopro che anche la ragazza che era con me in ospedale non ce l’ha fatta. Capisco che così non posso continuare, oggi inizia la mia rinascita.

I disturbi alimentari non hanno un peso, si può stare male a qualunque BMI, però purtroppo si prendono in considerazione solo le persone sottopeso. I DCA sono malattie mentali e come tali non hanno un aspetto estetico, ci vuole tanta forza e un lavoro d’équipe per poter andare contro alla patologia. Non sono i numeri di ricoveri, l’avere o no il sondino, l’aver perso tanto peso o avere continue abbuffate per determinare la gravità di una persona. Tutti sono importanti e hanno bisogno di attenzione e di un percorso strutturato in maniera soggettiva. I casi sono in continuo aumento, ma le liste di attesa per la prima visita sono lunghissime; purtroppo l’ignoranza a riguardo è ancora tanta e troppo spesso le persone con DCA sono considerate capricciose. Non è così anzi, il disagio psicologico che è dentro ogni persona con disturbi alimentari è tanto e a volte anche un solo “ti sono vicina” è importante. C’è bisogno di un cambiamento, di una presa di coscienza e di vicinanza verso coloro che ogni giorno si svegliano e soffrono in silenzio. Il 15 marzo è la giornata del fiocchetto lilla ossia la giornata di prevenzione per i disturbi alimentari. Di DCA si può morire, facciamo in modo che non accada più, riduciamo le liste di attesa, siamo più vicini a coloro che soffrono, sosteniamoli, solo così possiamo fare la nostra parte.

– Giada Gambalonga, 5AL

Freestyle Chess GOAT Challenge

Il nuovo evento nel mondo degli scacchi Freestyle Chess GOAT Challenge, con un montepremi di 2.000.000 USD, inaugurato da Magnus Carlsen, si è da poco concluso.

“With this format, a dream comes true for me…”, disse Carlsen, “…I have long wished for a competition where Chess960 is played at the highest level with the classical time control in a tournament.”

Quest’evento si differenzia dalle partite Classical per la disposizione iniziale dei pezzi, il Fischer Random (o Chess960) è una variante creata da Bobby Fischer, genio degli scacchi, per differenziare le partite e cogliere impreparati i giocatori, con delle posizioni casuali dei pezzi. In questa variante la teoria non serve a niente, almeno durante le mosse iniziali, bisogna studiare la posizione ed adattarsi, cercando le mosse migliori e mai studiate.

Il torneo si è tenuto al Weissenhaus Resort, un resort di lusso a cinque stelle situato a un’ora di macchina a nord-est di Amburgo, sul Mar Baltico.

Hanno partecipato alcuni dei migliori GM in classifica: Carlsen, Caruana, Liren, Firouzja, Keymer, Abdusattorov, Aronian e Dommaraju.

Quest’evento è stato anche un’occasione per far scontrare Carlsen con il suo “successore al trono” Ding Liren. Purtroppo, per impreparazione e svogliatezza, Ding concluderà quest’evento senza mai aver vinto una partita.

Un giocatore di cui risalta l’assenza è quella del GM Hikaru Nakamura , l’attuale detentore del titolo di Campionato mondiale Fischer Random, un titolo deciso nelle partite Rapid (10 minuti), ci si sarebbe aspettato di vederlo anche nella variante Classical (90 minuti).

Il torneo è stato vinto dal GOAT Carlsen, il secondo posto è stato conquistato da Caruana e Aronian è arrivato al terzo posto, dopo fantastiche partite e straordinaria tattica è infatti riuscito a vincere lo spareggio con Abdusattorov, lasciandogli il quarto posto. Firouzja è arrivato quinto e Dommaraju Gukesh sesto. Gli ultimi posti invece sono di Keyner e, purtroppo Liren.

– Frederick Toschetti 2CA

Stop al linguaggio violento

Attraversando i corridoi della scuola, mi sono soffermato davanti ai cartelloni dedicati a Giulia e Filippo. Ogni post-it, con i suoi commenti e le dichiarazioni sui due ragazzi, ha attirato la mia attenzione, portandomi a riflettere su quanto è stato detto e scritto (“Mamma, se domani non torno, voglio essere l’ultima”, “Non ti meritavi questa fine”, “Fatti forza Giulia”…), (“Mi faceva schifo, ma quando è carne, è carne!”, “Puttana!”, “Mi piace quando facciamo sesso, non quando parli”, “Uomini, fatevi un esame di coscienza!”).

Ritengo che questi commenti parlino da soli, e non mi sto riferendo solo a quelli su Giulia, ma anche a quelli su Filippo. Non sto giustificando le azioni di Filippo nei confronti di Giulia; è un comportamento disumano, orribile e inaccettabile, e dico STOP a tutto ciò! Sfido chiunque a giustificare le azioni di Filippo. Tuttavia, ciò che mi preoccupa è il modo in cui stiamo cercando di fare giustizia per Giulia.

Uno dei principi fondamentali che dovremmo imparare a scuola è il rispetto per ogni individuo, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dal genere, dalla disabilità, o da qualsiasi altra caratteristica. Se rispondiamo alla violenza con altra violenza, anche in forme diverse, stiamo commettendo un grave errore.

Sostenere idee estremiste che generalizzano e colpevolizzano tutti gli uomini è sciocco, ignorante e dannoso. Scrivere slogan offensivi su Filippo, facendo riferimento a violenza sessuale, è altrettanto sbagliato. Invito chiunque a fornire fonti concrete che dimostrino che Filippo ha commesso violenza sessuale contro Giulia. Non esistono! Pertanto, perché diffondere affermazioni come “Mi piace quando facciamo sesso, non quando parli” o “Mi faceva schifo, ma quando è carne, è carne!”?

Dico STOP non solo alla violenza sulle donne ma anche a incolpare tutti gli uomini per presunte azioni violente. Dobbiamo smettere di confondere la violenza psicologica con quella fisica, verbale o sessuale.

Iniziamo a responsabilizzarci ed a usare un linguaggio non violento a partire dal contesto scolastico e familiare!

– Francesco Ferlito 1BS

Parola d’ordine: Coquette🎀

Fiocchi a cascata, baby pink e Lana del Rey in sottofondo sono i capisaldi del nuovo amatissimo trend, uno dei tanti che dal 2020 ad oggi ci accompagnano fieramente. Questo però ha avuto un impatto sociale maggiore di tutti gli altri, e a testimoniarlo sono le numerose reference che le maison di moda hanno fatto nella recente settimana dell’Haute Couture: da Jean Paul Gaultier by Simone Rocha a Robert Wun, corsetti e drappeggi non ci abbandonano. 

Jean Paul Gaultier HC by Simone Rocha

Robert Wun Haute Couture

A favorirlo sono sicuramente il senso di libertà, e un po’ quella frivolezza che in questi tempi ci vuole. Ci viene quasi voglia di tornare indietro nelle ere, di ripescare elementi curiosi e frivoli da aggiungere ai nostri look che ci strappino un sorriso e ci donino sicurezza. 

A proposito di questo tema favolistico, vorrei spendere qualche parola per il viaggio emozionale che John Galliano ci ha regalato in occasione dell’ultima Artisanal di Maison Margiela. Ambientata in un locale notturno di una Parigi di fine ottocento, sotto la pioggia, hanno sfilato in modo teatrale meretrici, dongiovanni e bambole rotte dal fascino fatiscente, contribuendo a mettere in scena l’apoteosi della genialità artistica. 

In questo caso il trend coquette si è manifestato in modo astratto e subliminale, specialmente nel make up di Pat McGrath, nelle collane di perle interposte nelle calze  e nei doll-dress che hanno chiuso il sipario. 

Doll look di Maison Margiela HC

Make-up di Pat McGrath 

Credo sia meglio, quindi, non prendere ogni trend alla lettera, ma adattarlo a noi, lasciandoci ispirare e prendendo ciò che ci interessa e che ci trasmette gioia. 

A lasciarvi ironicamente, questa volta, sarà una massima della ispiratrice di tutto questo, la Del Rey, che esclamò : Live fast. Die young. Be wild. Have fun.

Edoardo Benedusi 5AC

Fabi e Pragg, due validi concorrenti per Carlsen

Nell’ultimo episodio di questa rubrica ho parlato del grande Magnus Carlsen, prodigio e campione indiscusso del mondo degli scacchi, ma adesso parliamo del secondo gradino del podio attuale…

Identificare il numero due al mondo non è semplice, ci sono molti nomi che potrebbero aggiudicarsi questo posto, ma secondo me è giusto parlare di due figure di spicco, uno dei due giocatori ha rappresentato l’Italia per molti anni per poi passare agli USA, l’altro è invece un “nuovo” prodigio diciottenne, che si è fatto valere nel World Chess Championship 2023, riuscendo ad aggiudicarsi il secondo posto dietro Carlsen.

Sto parlando di Fabiano Caruana, detto Fabi e di Rameshbabu Praggnanandhaa, detto Pragg.

Fabiano Caruana è un Grande Maestro dal 2007, al tempo il più giovane italiano e americano ad aver conquistato il titolo. Nato in Florida da genitori italiani ha rappresentato l’America fino al 2005, poi è passato all’Italia dal 2005 al 2015 e adesso rappresenta l’America dal 2015.

Ha vinto molti tornei italiani nel periodo tra il 2005-2015 e nel 2007 riesce a vincere il Campionato Assoluto Italiano, dopo essere arrivato secondo l’anno precedente.

Ha vinto sedici super tornei, ha sfidato più volte il campione del mondo, ma la prima è stata per contendersi il titolo nel 2018, a Londra, dove purtroppo non riuscì a superare la tecnica dell’avversario e perderà di tre punti.

Nel 2020, grazie alla partita giocata contro Carlsen nel 2018, si aggiudica una qualificazione diretta alle “Candidates” per i mondiali.

In ottobre 2021 giunge primo a pari merito al campionato statunitense con Wesley So e Samuel Sevian, con il punteggio di 6,5 punti su 11. Tuttavia agli spareggi arriverà secondo dietro lo stesso So.

Nel 2023 partecipa e si classifica al terzo posto della Coppa del Mondo, questo risultato gli dà il diritto di partecipare per la quinta volta al Torneo dei Candidati.

Ha un punteggio FIDE di 2804 (aggiornato 1 gennaio 2024) e unico italiano ad aver superato la soglia del 2700.

L’altro nome di questa selezione è Praggnanandhaa, giocatore facente parte del numeroso gruppo di prodigi indiani presenti in questi anni, assieme a Vidit, Gukesh e altri. Ha ottenuto il titolo di Grande Maestro all’età di dodici anni, dieci mesi e tredici giorni ed è il 13° al mondo per punteggio FIDE (e secondo giocatore indiano, dietro Vidit). Nel 2022 è apparso per la prima volta nei primi cento nella classifica mondiale ed è arrivato secondo, dietro Magnus Carlsen, durante la Chess World Cup 2023, ma senza dare spettacolo contro i suoi avversari, arrivò infatti a degli spareggi in finale contro Magnus, e più volte vinse delle partite e gli diede del filo da torcere, risolvendo posizioni complicatissime. Grazie a questo risultato ha anche lui l’accesso garantito alle Candidates di Toronto 2024, come Fabi.

– Frederick Toschetti 2CA

Vale la pena immaginare la bellezza della vita, anche quando è buia

Nel bel mezzo della mia esistenza, ho danzato tra le ombre del tempo, un’illusione eterea che sfugge alle mani avidamente tese dell’eternità. La mia vita è un dipinto sospeso nel crepuscolo, un’eco fuggente nell’infinità. Sono nato tra le note di un breve rintocco, un sospiro effimero nel grande concerto della vita. I giorni si srotolano come fili d’argento in una tela tessuta con la delicatezza dell’effervescenza. Ogni risata, ogni lacrima, sono frammenti di un sogno sfuggente. Le stagioni si alternano come attori di una pièce celeste, e io, un protagonista di passaggio, sento il mio respiro come un sussurro sottile tra le pagine di un libro aperto al vento dell’oblio. Le mie mani tentano di trattenere le stelle, ma esse scivolano via come sabbia dorata tra le dita. Nella fugacità della mia esistenza, ogni incontro è un riflesso di un amore che si dissolve nell’aria come nebbia mattutina. Le strade che percorro sono sentieri effimeri, tracciati con l’inchiostro dei giorni che si dissolvono nell’oceano dell’inesorabile. Eppure, in questa illusione di vita breve, trovo bellezza nell’effimero, nell’arte di essere danza nell’abisso del tempo. La mia esistenza è un’ombra giocante sulla parete del destino, un’illusione incisa nell’anima di chi ha occhi per vedere la magia di un istante. Così, mentre la mia vita si scioglie come petali al vento, resto un viandante consapevole della meraviglia di ogni passo, un’illusione di vita che afferra la bellezza nel fugace abbraccio dell’eternità.

– Francesco Ferlito 1BS

27/01

Non poter uscire, non poter andare a scuola, non poter fare ciò che si vuole, non poter dire ciò che si vuole o ciò che si pensa, vivere divisi dal resto del mondo, con un segno distintivo come una stella, essere deportati ed essere separati dai propri cari, essere torturati e uccisi.

Il tutto perché? Perché arrivare a questo genere di barbarie? Perché arrivare ad uccidere milioni di persone? A separare famiglie, amici, vite.

Ne sono passati di anni dallo sterminio degli ebrei e pensiamo di essere migliorati, il che è vero, ma a volte vediamo episodi di discriminazione o violenza contro persone diverse da noi, ma non per questo meritevoli di ciò, e semplicemente non facciamo nulla.

Con questa piccola riflessione, proviamo tutti ad aprire un poco la mente, per evitare di ripetere errori simili.

 – Francesca Picelli, 1AL

I…

I’m tired, but I’m Jewish

I’ve got a family and children, but I’m Jewish

I’m a good citizen, but I’m Jewish

I’m a person that respects law, but I’m Jewish

I’m a mum, but I’m Jewish

I’m a dad, but I’m Jewish

I’m a child, but I’m Jewish

I’m a brilliant person, but I’m Jewish

Now I’m dead, but I’m happy that someone can remember me not as a deported but as a person with values and a heart.

 – Matilde Malaman, 1AL

15 Milioni di persone come noi

“Shoah” è un termine di origine ebraica, il cui significato è desolazione, disastro ma, soprattutto, catastrofe o tempesta devastante. Attraverso questa parola ricordiamo ogni anno, il 27 gennaio, il genocidio degli ebrei, ovvero lo sterminio e la persecuzione di una razza da parte delle autorità della Germania nazista. Comunemente si preferisce definire quest’atto disumano con tale termine, piuttosto che con “olocausto”, poiché esso definisce un sacrificio necessario ed inevitabile, ma non è così.

Raphael Lemkin, scrittore ed avvocato polacco, aveva definito il genocidio come un piano coordinato ed intenzionale per uccidere uno specifico gruppo individuato nella società come una minoranza, massacrandolo, distruggendolo e sterminandolo.

Il 1900 è stato un secolo ricco di genocidi e sicuramente ci si chiede perché si arrivi a tanto, ma soprattutto come si riesca a rendere un’intera popolazione il principale bersaglio della società. Fondamentalmente un genocidio non comincia mai con il massacro, ma si utilizza un’arma molto più potente: il linguaggio. Può sembrare banale, ma le parole sono armi taglienti e che possono ferire più di ogni altra cosa. Attraverso esse può crearsi il distanziamento sociale, poiché si inizia ad identificare l’altro con termini specifici che lo allontanano dalla massa e dalla comunità, quali “nero”, “ebreo”, “omosessuale” ecc.…

Proprio dal linguaggio inizia, così, la disumanizzazione dell’altro. Si mobilitano, poi, le masse, si sopprimono i diritti civili ed, infine, quando la categoria presa di mira non viene più vista come un gruppo di persone alla pari, ma come inferiori, si passa alla violenza fisica. Anche Hannah Arendt in “le origini del totalitarismo” affermò che prima è necessario disumanizzare l’altro dal punto di vista politico e linguistico e poi lo si può uccidere passando inosservati perché, nel mentre, l’opinione pubblica si sarà anestetizzata.

La parola “Shoah” descrive, purtroppo, una realtà complicata, triste, spaventosa e violenta. Ad ognuno di noi la morte sembra lontana, quasi estranea, finché non ci tocca personalmente, quindi è probabilmente impossibile o comunque molto difficile capire anche solo una misera parte del dolore che tutte quelle persone hanno provato nel momento in cui sono iniziate le persecuzioni.

La Shoah raccoglie i terribili ricordi e le distruttive testimonianze di tutti coloro che, da vittime, hanno partecipato a quell’orrore. Rende viva la memoria della paura provata quando le autorità si presentavano alla porta di casa, della rassegnazione e della tristezza provate sul treno di andata verso un campo di sterminio, delle lacrime versate nel momento della separazione dai propri cari, del dolore provato quando un numero sulla pelle sostituiva l’identità di ognuno dei deportati e della vergogna ed il disgusto nel farsi toccare, rasare, picchiare ed uccidere senza avere nessuna colpa, se non quella di essere nati “diversi”.

Per noi è così impensabile che una tale violenza sia stata compiuta, tanto che nemmeno lontanamente potremmo immaginarci uno scenario del genere nel mondo moderno, ma ciò che noi ora ripudiamo è accaduto in passato. Le grida dei bambini separati dai genitori, i pianti di disperazione di tutte quelle persone che speravano solo di poter tornare a casa sane e salve ma che, in realtà, sono morte proprio lì ed il sangue di tutte quelle vittime innocenti sono ancora racchiusi nella terra, negli edifici, nei crematori e nel filo spinato che delimitava il campo di concentramento.

Oggi più che mai ricordiamo tutte quelle vittime senza colpa che, senza distinzione tra bambini e anziani, uomini e donne, hanno subìto torture indicibili, hanno sofferto ardue ed estenuanti pene e sono state private di ciò che di più caro c’è al mondo: la vita.

Oggi più che mai continuiamo a ricordare, affinché la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita in questo modo possa non essere mai tradita e affinché ciò che è successo in passato non accada più in futuro.

 – Rowena Polato, 5BL

“Reawakening Fashion Everyday”

Sto perdendo la speranza nella moda. Ciò che vedo in sfilata, nei magazine e nelle collezioni odierne mi annoia. Credo che se c’è un onere che la moda abbia è proprio quello di sbalordire, creare interesse facendo brillare gli occhi o, invece, inorridire, smembrare e ricostruire. Di tutto ciò non percepisco proprio nulla, e quindi mi trovo costretto a tuffarmi nel passato: dal “corsettato” Mugler degli anni 90, al faraonico universo di John Galliano per Dior del 2000, fino all’haute couture rivoluzionaria di Cristóbal Balenciaga di inizio ‘900 (per citare i più conosciuti). Sembra quasi che tutto sia stato già svolto impeccabilmente nel passato e che non ci sia speranza alcuna nel presente. 

Per non parlare della carta stampata, che spreca cellulosa, inchiostro e gloss al misero fine di vendere un cumulo perpetuo di banalità, quando il guadagno non è una giustificazione sufficiente. Ciò che manca è il “Vogue Juice”, definizione della grandiosa giornalista Anna Piaggi, che con questo arguto appaiamento di parole intendeva “un succo di concetti e di stimoli visuali”. 

Anna Piaggi (1931-2012)
giornalista e scrittrice italiana

Passando alla mondanità, che forse il tema del Met Gala di New York di quest’anno sia da leggere anche come un’esortazione al risveglio del fashion system ? “Sleeping Beauties: Reawakening Fashion” metterà in mostra iconici abiti e accessori troppi fragili per venire indossati di nuovo o solamente per essere esibiti on display; facendo ciò darà sicuramente spettacolo, mostrando però solo abiti di epoche trascorse. 

“La Chimére”, Thierry Mugler
(Haute Couture Fall/Winter 1997-1998)

Concludo la mia lunga riflessione col dire che io non mi voglio arrendere. Esorto tutti voi lettori a esprimervi con la moda osando, facendo scelte azzardate, e provando ad uscire dalla comfort zone. Ciò che si sta tralasciando è l’importanza di questo mezzo comunicativo, che vi regala con generosità il lusso di dipingere al meglio la vostra essenza nella vita di tutti i giorni.

Razor clam shells dress,
Alexander McQueen, Voss- SS 2001

-Edoardo Benedusi 5AC