Idrogeno e biocarburanti, le opzioni alternative al fossile e all’elettrico

Dal 2035 in Europa non potranno essere più acquistate o vendute auto alimentate a combustibili fossili o con motore endotermico, rendendo così possibile solo l’acquisto di auto elettriche (tranne in Francia), ma ci sono altre soluzioni ecosostenibili e con un minore impatto ambientale?

Ad oggi ci sono diverse soluzioni con un impatto ridotto sull’ambiente, come i biocarburanti e l’idrogeno e in questo articolo li analizzeremo, capendo anche perché l’Unione Europea ha deciso di accantonarli.

Biocarburanti

I biocarburanti non sono una novità recente, infatti già Henry Ford presentò la Model T dotata di un motore alimentato a etanolo, che fu poi cambiato con un motore a benzina da 20 hp per motivi di praticità e anche perché l’etanolo non era prodotto come carburante. Per parecchi anni i progetti relativi ai biocarburanti vennero “dimenticati” per via dell’ampio utilizzo dei combustibili fossili, fino alla crisi petrolifera degli anni ‘70 quando in brasile si iniziò ad usare il bioetanolo per alimentare le auto.

I biocarburanti, come si può intuire dal nome stesso, sono quella categoria di carburanti (più precisamente idrocarburi) prodotti da materia organica, come quindi dalla fermentazione delle biomasse, e per questo teoricamente inesauribili.

Oltre alla loro rinnovabilità i biocarburanti possono ridurre del 88% le emissioni di CO2, per questo motivo sono già presenti nelle stazioni di servizio nella benzina E5 (con una percentuale di bioetanolo pari al 5%) e in quella E10 (la percentuale di bioetanolo arriva al 10%). Eni ha poi sviluppato HVO, il biodiesel prodotto da oli vegetali idrotrattati di scarto, utilizzabile però solo nelle auto con motori Euro 6 e successivi perché più corrosivo del diesel tradizionale.

Biocarburanti alla stazione di servizio

La problematica maggiore dei biocarburanti è che non c’è abbastanza biomassa per la loro produzione rispetto alla richiesta fatta dal mercato se si passasse solamente al loro utilizzo. Inoltre per la loro produzione è necessario sottrarre terre coltivabili all’agricoltura.

L’Unione Europea ha deciso di non considerarli come una soluzione per diminuire l’impatto ambientale europeo perché la loro combustione produce alti livelli di ossidi di azoto, di particolato atmosferico e ozono che possono influire sulla salute.

Idrogeno

Idrogeno

L’idrogeno è l’elemento chimico più semplice e rappresenta circa il 70% della materia dell’universo. Nonostante ciò non è così abbondante sulla Terra e per questo è necessaria l’estrazione da altre molecole, come dall’acqua o dagli idrocarburi, che avviene attraverso un processo che rompe i legami che tengono gli atomi di un composto uniti. Per produrre l’idrogeno vengono utilizzati diversi metodi, tra i più comuni troviamo il reforming del metano, la gassificazione del carbone e l’idrolisi. I primi due sono i più comuni, infatti circa il 97% dell’idrogeno prodotto deriva da idrocarburi e la sua produzione comporta anche una grande produzione di anidride carbonica e per questo viene chiamato “idrogeno grigio” o “idrogeno blu” se l’anidride carbonica prodotta viene stoccata permanentemente (per esempio riempiendo i giacimenti di gas naturale esauriti).

I colori dell’idrogeno

Esiste anche l’idrogeno verde, quello prodotto dall’elettrolisi dell’acqua (con energia ricavata da fonti rinnovabili come l’eolico o il solare) o da altre fonti non inquinanti, come dalle alghe. La produzione di idrogeno verde risulta più costosa delle altre e per questo meno favorita (1 kg di idrogeno verde costa in media dai 4,5 ai 12 $, mentre quello grigio da 0,98 a 2,93$ e quello blu da 1,8 a 4,7 $).

Differenze tra i colori dell’idrogeno

I motori a benzina/diesel trasformano soltanto tra il 20 e il 25% dell’energia prodotta dalla combustione in energia meccanica, mentre il 75-80% dell’energia restante viene trasformata in calore.

In un motore a celle di idrogeno le percentuali sono invertite, anche se poi solo il 40% dell’energia è utilizzata per far muovere il veicolo perché l’energia prodotta deve essere convertita in energia elettrica. Ciò è dovuto anche al fatto che 1 kg di idrogeno contiene la stessa energia di 2,8 kg di benzina.

Lo “scheletro” di un’auto a idrogeno. Si noti la forma del motore a sinistra

L’idrogeno è però anche molto instabile, tanto che a temperatura ambiente deve essere conservato in sicurezza in contenitori con una pressione interna che varia tra i 350 e 700 bar (una bombola di gas ha una pressione tra 4 e 8 bar, mentre un bombolone di un’auto a gas non supera i 20 bar). Se si vuole invece conservarlo liquido bisogna raffreddarlo e mantenerlo a una temperatura inferiore ai -253°C, che comporta una grande richiesta energetica. Proprio a causa di questi motivi non ci sono le infrastrutture, almeno in Europa, per contenerlo (perché non possono essere utilizzate strutture come i gasdotti, salvo all’inserimento di gas con una minima percentuale di idrogeno).  La costruzione di queste infrastrutture è già in atto, infatti l’UE ha già stanziato i primi finanziamenti per oltre 5,2 miliardi di euro (2023) per sviluppare il settore dell’idrogeno.

Green deal

È vero anche però che nel Green deal (il piano dell’Unione europea per la decarbonizzazione), cercando di limitare la produzione di gas serra, si svantaggiare indirettamente  l’idrogeno che (come detto prima viene prodotto per il 97%  da idrocarburi) potrebbe rappresentare quindi una vera soluzione solo per i Paesi con un’ampia produzione di energia pulita come Spagna, Svezia, Finlandia e Francia (quest’ultima grazie ai reattori nucleari  è riuscita a rientrare tra i produttori di energia pulita, ma non rinnovabile).

In Europa quindi l’idrogeno risulta molto più costoso rispetto all’elettrico.

– Francesco Savio 2ASA

La strage dei rospi sulle strade italiane


Sempre più spesso nelle nostre strade diventa facile trovare decine di carcasse di rospi che, cercando in numerosi di attraversarle, soprattutto dopo le piogge, vengono schiacciati dalle automobili. In questo articolo vorrei sensibilizzare su due temi principali: perché lo fanno e qual è il motivo per cui dobbiamo salvaguardare i rospi.
Nella zona attorno ai Colli Euganei, ma anche in tutto il Veneto, vivono il rospo smeraldino (Bufotes viridis) e il rospo comune (Bufo bufo). Sono due specie anfibie, insettivore, protette dal trattato di Berna per la protezione della fauna e si riproducono nei nostri corsi d’acqua tra febbraio e maggio.

Un esemplare di rospo comune

(Bufo bufo)

Il rospo smeraldino

Trascorrono l’inverno all’interno di tane scavate nel terreno e tra febbraio e aprile si risvegliano grazie alle piogge primaverili e all’innalzamento delle temperature. Da subito hanno l’istinto di riprodursi e iniziano una migrazione verso gli specchi d’acqua, ciò genera una carneficina. Questi anfibi, infatti, devono attraversare le strade per raggiungere i laghetti, gli stagni e i fossi dove le femmine depongono le uova e i maschi le fecondano. Purtroppo, molti di loro vengono investiti dagli automobilisti che non si accorgono della loro presenza o non rallentano abbastanza, anche se spesso molti li investono apposta per commettere una bravata.
I corpi di questi animali morti sulle strade sono anche poi un ulteriore rischio per gli automobilisti, perché rendono la carreggiata più scivolosa e pericolosa.
I rospi sono animali importanti per l’ecosistema, perché si nutrono di insetti e altri piccoli organismi che possono essere dannosi per le colture e la salute umana. Inoltre, sono indicatori della qualità dell’ambiente, in quanto sensibili agli inquinanti e ai cambiamenti climatici. Per questo motivo, è fondamentale proteggerli e salvaguardare la loro biodiversità.
Per evitare la strage di questi anfibi sulle strade italiane, sono state adottate diverse soluzioni, come la realizzazione di tunnel sotterranei che consentono agli anfibi di passare al sicuro sotto la carreggiata, o l’installazione di barriere che li indirizzano verso i sottopassaggi, detti rospodotti. In alcuni casi, sono anche intervenuti dei volontari di associazioni ambientaliste che hanno aiutato i rospi a superare gli ostacoli e a raggiungere il loro habitat.


Un rospodotto

Reti anti-attraversamento


Tuttavia, queste misure non sono sufficienti a garantire la sopravvivenza dei rospi, infatti solo un numero esiguo viene salvato, perché l’installazione di reti e barriere è stata limitata a circa un centinaio di chilometri in tutta Italia, ciò deve essere accompagnato da una maggiore sensibilizzazione degli automobilisti. Infatti, basterebbe ridurre la velocità e prestare attenzione alla presenza di anfibi sulla strada per evitare di investirli e causare danni irreparabili alla fauna locale. In alcuni Paesi europei, come il Regno Unito, si è arrivati anche
a chiudere temporaneamente alcune strade durante le migrazioni di questi animali, per favorire il loro passaggio.
In conclusione, la strage dei rospi sulle strade italiane è un problema serio che richiede l’impegno di tutti per essere risolto. Questi anfibi sono animali meravigliosi e utili che meritano il nostro rispetto e la nostra cura. Se vogliamo preservare la natura e la sua bellezza, dobbiamo imparare a convivere con le sue creature e a proteggerle dai pericoli che noi stessi creiamo.


Francesco Savio, 1^ASA

La fissione nucleare

Scientifico!

Oggi, con il prezzo del metano e dell’energia che schizzato alle stelle, sentiamo sempre più spesso parlare dell’opzione del nucleare, ma in che cosa consiste l’energia nucleare?

In questo articolo vorrei spiegarvi che cos’è l’energia nucleare e come può essere sfruttata dall’uomo attraverso le centrali nucleari in tre punti:

  1. la storia;
  2. come funziona una centrale nucleare;
  3. quali conseguenze può avere.

1.La storia

L’energia nucleare, come l’energia elettrica, era già presente in natura e l’uomo non l’ha inventata , ma ha imparato a controllarla. Infatti nelle tre miniere di Oklo in Gabon , l’unico esempio noto, 1,7 miliardi di anni fa si innescò la prima reazione nucleare. Ciò poté avvenire grazie alla presenza di una grande quantità di Uranio-235 (²³⁵U o uranio arricchito) che all’epoca si pensa che ammontasse a circa il 3% del materiale presente nella miniera, alla presenza di una grande quantità di acqua che funzionò sia da liquido refrigerante sia da moderatore dei neutroni (oggi nelle centrali nucleari delle barre di grafite svolgono quest’ultimo compito). La reazione continuò per centinaia di migliaia di anni, con una potenza di 100 kW termici (la potenza media di una centrale nucleare moderna è tra i 600 MW e i 1600W, 1000 di più rispetto al reattore nucleare naturale).

La prima reazione nucleare artificiale avvenne nel 1932, quando i fisici Ernest Walton e John Cockcroft riuscirono, accelerando dei protoni e facendoli “scontrare” contro un atomo di litio (⁷Li), a separarlo in due atomi di elio. Due anni più tardi la chimica Ida Noddack fu la prima a ipotizzare come avvenisse la reazione a catena della fissione nucleare. Sempre nello stesso anno Otto Frisch e Lisa Meitner crearono i primi fondamenti della teoria. Il 22 ottobre 1934 Enrico Fermi e la sua équipe composta da Ettore Majorana, Emilio Segrè, Oscar D’Agostino, , Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti e da Edoardo Amaldi (altrimenti detti “I Ragazzi di Via Panisperna”) fecero la prima reazione nucleare su un atomo di uranio. Il gruppo però non intuì che l’atomo si divise in due , ma credettero che l’atomo creò due elementi transuranici.

Enrico Fermi

Nella notte a cavallo tra il 17 e il 18 dicembre 1938, quattro anni più tardi la scoperta di Fermi, il chimico nucleare tedesco Otto Hahn e il suo aiutante Fritz Strassmann dimostrarono sperimentalmente che se un atomo di uranio assorbe un neutrone, si separa in due o più atomi frammenti, dando origine alla fissione del nucleo. Inizia così per i chimici e i fisici inizia una “corsa” che porterà alla costruzione del primo reattore nucleare, il Chicago Pile-1 (creato da Fermi a Chicago) nel 1941 e alla prima bomba nucleare che esplose nel poligono militare di Alamogordo il 16 luglio 1945 (poco meno di un mese dopo venne lanciato il Little Boy che distrusse la città di Hiroshima).

2. Come funziona una centrale nucleare

La fissione nucleare.

Il processo di fissione nucleare

Durante il processo di fissione nucleare un atomo di uranio arricchito (²³⁵U) o di plutonio (²³⁹Pu) viene “bombardato” da un neutrone e si “rompe” in due elementi più leggeri, il kripton e il bario. Durante questa reazione tre neutroni “saltano” va. Uno di questi verrà assorbito da un atomo di uranio-238 che si bilancerà; un altro neutrone verrà assorbito e non continuerà la reazione o riesce ad uscire dal sistema. Il terzo neutrone invece, andrà a colpire un altro atomo di uranio-235 e la reazione ricomincia. Durante la separazione dei tre neutroni viene sprigionata una grande quantità di energia. Infatti, se si prova a misurare la massa dell’uranio a fine del processo di fissione, ci si accorgerà che la massa dell’uranio alla fine del processo sarà minore a quella della massa di partenza. Quella differenza tra le due masse è la quantità di energia sprigionata e si può calcolare grazie alla formula E=mc² elaborata da Albert Einstein nel 1905. Questa formula non vale solo per l’energia nucleare, ma anche per le altre forme di energia.

Il funzionamento di una centrale nucleare.

Le centrali nucleari rientrano nella categoria delle centrali termiche, centrali che sfruttano il calore prodotto da diverse fonti come il petrolio, il gas o l’uranio per creare vapore ad alta temperatura e pressione che serve per far girare una turbina.

Una centrale nucleare si può dividere principalmente in tre parti importanti, il reattore nucleare, la sala delle turbine e la torre di raffreddamento.

All’interno del reattore nucleare sono presenti un nocciolo, una sala di controllo e uno scambiatore di calore.

Il nocciolo è la sezione dove avviene la reazione di fissione e contiene al suo interno delle barre di ²³⁵U e delle barre di controllo in grafite che vanno a bilanciare la reazione assorbendo alcuni neutroni. Il nocciolo è immerso nella cosiddetta “piscina nucleare” che ha la funzione di raffreddare il nocciolo.

In questa immagine si può apprezzare il nocciolo, le barre di controllo e l’effetto Čerenkov

La sala di controllo, come si può intuire, è la sala dove sono presenti i comandi di tutta la centrale. È piombata per evitare che le radiazioni entrino al suo interno e siano fonte di rischio per gli operatori, ma sempre più spesso si trova fuori dal reattore. Qui lavorano dei tecnici specializzati che monitorano costantemente i valori (pressione dell’acqua, temperatura interna del nocciolo…) e le condizioni del reattore. Normalmente ci sono dei computer specializzati che svolgono questo compito, ma è sempre necessaria la figura umana per evitare pericolose situazioni come le avarie. I tecnici non hanno molti metodi per controllare la reazione all’interno del nocciolo se non attraverso le barre di controllo. In caso di avarie delle barre di controllo o di altre parti del nocciolo è presente un team specializzato che effettua le riparazioni il più velocemente possibile anche se sottoposti a livelli altissimi di radiazioni.

La sala di controllo di una centrale nucleare

Nello scambiatore di calore, grazie al calore del nocciolo, invece viene a formarsi il vapore ad alta pressione (circa 7 atm) e ad altissima temperatura, la temperatura del vapore infatti varia dai 288°C ai 325°C a seconda del tipo di centrale. Il vapore viene quindi incanalato verso una speciale turbina a vapore che sfrutta tutta l’energia del vapore per ruotare su sé stessa e azionare un alternatore.

 L’energia elettrica prodotta dall’alternatore avrebbe un voltaggio troppo alto per essere inserita nella rete pubblica, infatti neanche i cavi per l’alta tensione sarebbero abbastanza resistenti per resistere al sovraccarico. Per evitare il collasso delle linee elettriche c’è un trasformatore che ne abbassa il voltaggio e che permette di non danneggiare le linee pubbliche.

Il vapore in uscita dalla turbina è a una temperatura troppo elevata per il essere reinserito nello scambiatore di calore all’interno del nocciolo e per questo viene raffreddamento da un altro scambiatore di calore nel quale passa un flusso continuo di acqua fredda. Quest’acqua dopo diversi cicli di raffreddamento si riscalda e per questo viene inviata verso la torre di raffreddamento, dove si può vedere l’uscita del vapore. C’è da chiarire subito che l’acqua all’interno dei moderni reattori nucleari è inserita in un circuito chiuso e che quindi non può entrare in contatto con l’esterno. Nelle centrali più vecchie, soprattutto nell’Est Europa e in Asia, non sono presenti torri di raffreddamento ma bensì dei bacini esterni che spesso sono in comunicazione con i corsi d’acqua.

3. I pro e i contro

L’energia nucleare rientra tra le forme di energia non rinnovabili anche se nell’ultimo periodo sono state sviluppate centrali nucleari autofertilizzanti ed è una delle poche fonti di energia che inquinano di meno. Infatti l’energia nucleare non produce molte emissioni di gas serra se non una piccola quantità di vapore acqueo.

Una centrale nucleare di per sé non presenta un rischio per gli abitanti e per la natura se tenuta correttamente, ma se ciò non accadesse presenterebbe un grosso rischio per ciò che la circonda (per esempio la centrale di Chernobyl).

Bidoni di scorie radioattive

Ritornando alle emissioni è vero che non produce gas serra, ma d’altra parte presenta un problema non da poco, la produzione di scorie radioattive al termine del processo di fissione nucleare che devono essere spartite. In genere le scorie vengono inserite in dei bidoni, cementate e poi portate in dei luoghi di stoccaggio che possono essere dei capannoni appositi, delle miniere abbandonate o dentro delle specie di magazzini in cemento armato sotto il suolo. Il grosso problema delle scorie è che ci mettono migliaia di anni per diminuire la loro radioattività e che con il passare degli anni i bidoni in ferro si degradano. Se poi si trovano nei magazzini sotterranei c’è il rischio delle infiltrazioni che si contaminerebbero per poi finire nelle falde acquifere.

Un esempio sono le scorie radioattive con un volume pari a 60 edifici che sono state immagazzinate in una miniera di sale 500 metri di profondità in Germania negli anni ’60 e ’70 che hanno contaminato le acque circostanti con cesio, stronzio e plutonio.

Un camion adibito al trasporto di scorie nucleari in Francia
Un treno con scorie radioattive

Francesco Savio, 1ASA

La salute mentale

Durante questa pandemia, sia nel nostro piccolo sia a livelli più alti come quelli governativi, si è finalmente compreso l’importanza che la salute ricopre nelle vite di ognuno di noi. Purtroppo ciò che non è stato compreso è cosa sia la salute.

Quando andiamo dal medico o quando stiamo a casa da lavoro o da scuola o anche semplicemente parlando tra amici, trattando il tema salute si intende sempre qualcosa di evidente, di fisico. Questo aspetto si nota perché per riferire di essere malati la società ci ha abituati a fornire prove evidenti di ciò che affermiamo ed ovviamente ciò non riguarda direttamente la nostra salute mentale, almeno agli inizi. E proprio questo è il problema.

La salute mentale deve essere presa in considerazione e tutelata sin dal principio e non quando già è stata enormemente danneggiata. Essendo qualcosa di più astratto devo dire che, nonostante io consideri la sua tutela fondamentale, è molto più difficile da comprendere rispetto a quella fisica, dato che siamo, per nostra sfortuna, abituati ad una società materialistica che non ci fa vedere oltre il nostro naso. Ciò nonostante credo che una parte della società italiana ne abbia capito l’importanza e pure la politica (anche se non tutta), tanto che con grande sorpresa e, come sempre, ritardo era stato proposto da alcuni parlamentari (i senatori Caterina Biti, Vanna Iori, Eugenio Comincini e la deputata Laura Boldrini) il cosiddetto “bonus psicologo”. Questo provvedimento sarebbe stato introdotto nella legge di bilancio dell’anno 2022 e i parlamentari avevano richiesto una cifra (a mio parere anche molto bassa rispetto al problema) di 50 milioni di euro. L’euforia che si era diffusa ha purtroppo giocato un brutto scherzo, infatti dopo l’approvazione del decreto si è scoperto che questo bonus era stato scartato per mancanza di fondi (chissà come mai però si sono trovati 850 MILIONI che sono stati aggiunti al budget del Ministero della Difesa, che raggiunge quasi quota 26 miliardi). Ma non dobbiamo preoccuparci, possiamo sempre andare alle terme o cambiare i rubinetti del nostro bagno. Evidentemente questi geni non hanno dato ascolto (avevamo dubbi?) né ai giovani né agli scienziati e gli psicologi che da anni, e soprattutto con l’inizio della pandemia, denunciano un aumento esponenziale di letti occupati legati alle malattie mentali che raggiungono stadi avanzati, visto che non è stato dato nessun supporto precedente.

Purtroppo i medici possono controllare solo i casi gravi, cioè con evidenze fisiche, che arrivano in ospedale, ma dietro a questi ci sono migliaia di invisibili che necessitano aiuto non solo economico (ostacolo che si voleva eliminare col bonus) ma anche sociale, personale. Spesso l’andare dallo psicologo è visto come sintomo di pazzia ed è questo che molte volte ci impedisce di farci aiutare. Vorremmo tutelare la nostra salute mentale, ma la figura dello psicologo ci appare come qualcosa di estremo, da folli e per questo tendiamo ad allontanarcene: non vogliamo essere visti come i problematici o disadattati in un certo gruppo sociale.

Questo era tutto ciò che pensavo fino a qualche anno fa. Non a caso appena ho fatto coming out con i miei genitori, alla proposta di consultare uno psicologo ho reagito malamente, bruscamente. Credevo che lo stessero facendo per farmi passare da “malato” (e forse era vero ahahah) o che l’esperto avrebbe dato ragione a loro e per questo ho rifiutato. Riflettendoci ora credo che non sarebbe stata una brutta decisione andarci, anzi, forse avrebbe aperto di più la mente ai miei genitori e a me stesso.

Con l’avvento della pandemia e del lockdown non credo di essere stato l’unico a provare un forte stress ed una solitudine abnorme, di avere avuto quei giorni proprio negativi in cui pensi al peggio perché non riesci più a sopportare la situazione e non hai nessuno con cui parlare e soprattutto che ti ascolta. Il gravoso ruolo di ascoltare e comprendere lo scarichiamo sempre su qualche amico che magari non sa come aiutarci: è per questo che una persona un po’ più esperta e di sicuro paziente ad ascoltarci nei nostri “sfoghi isterici” non farebbe male qualche volta all’anno. Alla fine lo psicologo fa questo. Non ci aiuta in modo mistico, ma ci fa buttare fuori tutto ciò che sta ribollendo dentro di noi.

Noi a scuola siamo fortunati, abbiamo la possibilità di usufruire dello spazio CIC. Anche se per poco tempo, anche se in una modalità non adeguata sfruttiamo al meglio ciò che abbiamo per iniziare pian piano a migliorarci.

 

 

 

Riccardo Alfonso 4BL

 

Le sfide ambientali e globali del nuovo millennio

Negli ultimi due anni, la presa di coscienza da parte della società civile circa temi quali l’inquinamento, il consumo delle risorse naturali e i cambiamenti climatici sembra aver subito una rapida crescita, specialmente nelle fasce più giovani della popolazione. Sentiamo parlare spesso di manifestazioni, e probabilmente qualcuno di noi ha preso parte a una di quelle di Padova. Possiamo poi notare l’aumento del numero di prodotti rispettosi dell’ambiente e di misure per combattere l’accumolo della plastica, non solo pratiche ma anche sottoforma di campagne di sensibilizzazione trasmesse tramite i mezzi di comunicazione: molti avranno presente lo spot della birra Corona, con la frase “In paradiso non c’è spazio per la plastica”. Mai come ora appare necessario che i governi e i cittadini di tutto il mondo cooperino per la realizzazione di uno sviluppo sostenibile. Ma come fare?
Nel 2015 le Nazioni Unite hanno concordato 17 obbiettivi globali del nuovo millennio. Tra questi, emergono, per la prima volta finalmente distinti fra loro, temi ambientali quali: l’acqua pulita; urbanizzazione, industrializzazione e agricoltura sostenibili; promozione delle energie rinnovabili; utilizzo responsabile delle risorse della terra e del mare, e lotta contro i cambiamenti climatici.
Un elenco tanto bello idealmente, quanto difficile da realizzare, perchè ovviamente richiede approcci diversi basati sui tre pilastri economico, sociale e politico. Proprio per questo sorgono gli ostacoli. Un esempio non sempre tenuto in considerazione? Il sistema di produzione alimentare, che porta ogni anno a un elevato consumo delle risorse di acqua ed energia, all’impoverimento del suolo per diminuizione del carbonio, deforestazione, utilizzo di fertilizzanti e a un impatto sul clima per le emissioni dal 30 al 40% sul totale rispetto alle altre attività umane. Un grafico comparso sulla rivista Nature stima che senza applicare alcuna strategia nella produzione di cibo, vi sarà un aumento dell’impatto ambientale dal 50 al 90% entro il 2050.
Sono necessarie misure specifiche, come lo sviluppo di tecnologie per migliorare l’efficienza energetica anche di fonti rinnovabili e per sprecare meno acqua e prodotto finale, e un cambiamento nel tipo di coltivazioni.
Molti si chiedaranno: perchè non si opera subito in questa direzione? Non sembra impossibile, no? Non dimentichiamo che azioni di questo tipo risultano difficoltose per i paesi in via di sviluppo che non hanno la disponibilità economica per attuarle.
Un compromesso? Potrebbbe essere rappresentato dal principio in materia ambientale della “responsabilità comune ma differenziata”, elaborato nel 1992 durante la Conferenza di Rio: consiste nel richiedere misure diverse a seconda del paese.
Un altro elemento ostacolante consiste nel fatto che mentre sull’inquinamento non vi sono dubbi che l’uomo ne sia il diretto responsabile, l’attribuzione della colpa alle attività antropiche per i cambiamenti climatici è meno immediata. Ciò è dovuto alla mancata conoscenza dei dati scientifici o a una loro sottovalutazione. Inoltre, a seguito delle osservazioni sul campo e della raccolta di dati su fattori ambientali come la temperatura, sono stati elaborati dei modelli, basati su formule matematiche, in grado di esprimere una possibile situazione ambientale del futuro. Ma nei rapporti di valutazione dell’IPCC, a queste ipotesi è attribuita una probabilità maggiore solo al 66%. Capirete che molti capi di governo non rischiano l’economia del proprio paese.
Un comportamento estremo nei confronti dei cambiamenti climatici è rappresentato dai negazionisti, di cui fa parte anche il presidente Trump.
Se raggiungere gli obbiettivi è difficile e non dipende direttamente dai cittadini, come possiamo almeno contrastare la disinformazione e le opinioni errate?
I temi dovrebbero essere affrontati sempre tramite l’esposizione dei dati scientifici raccolti; la comunità scientifica dovrebbbe esprimere il proprio parere tramite modelli sempre più precisi sul futuro, i quali sono in continuo sviluppo grazie alla ricerca. Uno studio della rivista Nature, durato due anni, ha poi dimostrato come un’ adeguata campagna di consapevolezza alle tematiche ambientali somministrata ai giovani, possa influenzare anche i genitori attraverso la testimonianza di esperienze e racconti nel nucleo quotidiano e domestico della famiglia: la sensibilizzazione colpisce dunque tutte le fasce d’età. Infine, per convincere ancor di più sull’importanza dello sviluppo sostenibile, è utile tenere presente la sua definizione del 1992: “è lo sviluppo che soddisfa I bisogni di sviluppo e ambientali delle generazioni presenti e future”, le quali hanno diritto a parità di risorse rispetto a oggi e a un clima e ambiente vivibili. La nostra generazione è perciò chiamata a vincere quelle che si stanno rivelando delle vere sfide ambientali globali ed è richiesta la collaborazione di ognuno, indipendentemente dalla posizione da lui occupata e secondo le possibilità di cui dispone.

 

Chiara Zanin, 5ASA

LA SUPER LUNA

superluna roma

La notte tra il 14 e il 15 novembre, abbiamo potuto assistere a questo fantastico fenomeno naturale. Tutti con gli occhi rivolti verso il cielo e pronti a immortalare questo spettacolo, causa di stupore, meraviglia, ma anche curiosità. Ed ecco che ci sorgono molte domande, ad esempio: com’è possibile tutto ciò? quando potremo assistere di nuovo alla superluna? esistono leggende e curiosità legate a questo fatto?
Ecco a voi la risposta a queste domande!

Partiamo dal principio: quando si verifica e che cos’è precisamente il fenomeno della superluna?

Una superluna è la coincidenza di una Luna piena con la minore distanza tra Terra e Luna. L’effetto è un aumento delle dimensioni e della luminosità della Luna viste dalla Terra. Il termine “superluna” non è un termine strettamente astronomico, in quanto la definizione scientifica per il momento del massimo avvicinamento della Luna alla Terra è perigeo lunare.

Non è un evento raro, poiché accade in media una volta l’anno, ma era dal gennaio del 1948 che non si raggiungeva una tale grandezza e luminosità.
Dai dati forniti dalla NASA possiamo scoprire che il nostro satellite è stato del 14% più grande e del 30% più luminoso rispetto al solito, anche se altre fonti smentiscono quest’ultimo dato dicendo che era del 20%.

E quando tornerà la Super Moon?

Beh, la Super Moon, come detto in precedenza, si verifica mediamente una volta all’anno, quindi chi non è riuscito a vedere quella di novembre potrà assistere a quella nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 2016, ma ovviamente non sarà una delle più grandi e luminose.
Per averne una come quella del 14 novembre dovremo aspettare il 25 novembre 2034. Iniziamo quindi un countdown lungo 18 anni…

E poi ovviamente, arrivano anche le leggende e le curiosità legate a questo fatto, quindi perché non raccontarvene qualcuna?

Negli anni i popoli di diverse culture hanno provato a trovare una spiegazione alla SuperLuna si sono sbizzarriti trovando influenze su animali e uomini.
Ad esempio i lupi che ululano alla Luna per ringraziarla, come racconta una leggenda indiana di una mamma lupo che aveva smarrito il piccolo e che chiese più luce per ritrovarlo.

Da molti invece è ritenuto credibile, ma resta una leggenda, che il nostro satellite, nel momento di massimo avvicinamento alla Terra, quando la sua influenza su essa è maggiore, farebbe aumentare la violenza e l’aggressività.
La Superluna, bella e inquietante per l’uomo, secondo alcune credenze sarebbe alla base di casi di vampirismo, alcolismo, suicidi, e violenze varie.

Inoltre si ritiene che il fenomeno della Super Luna provochi devastanti sismi. E’ il caso della ‘marea solida’, cioè il quasi impercettibile alzarsi anche della crosta terrestre sotto l’influenza della Luna, ma tutto ciò non è in grado di scatenare terremoti.

Il nome ‘Super Moon’ (ovvero Super Luna) è stato coniato da Richard Nolle, astrologo americano, nel 1979.
lo fece per sostenere la sua teoria sull’influenza negativa sulla Terra del perigeo lunare, facendo anche un elenco delle catastrofi legate al fenomeno. Fino ad oggi c’era sempre una certa discrepanza tra le date delle catastrofi e l’apparizione del disco luminoso notturno, ma il terremoto in Nuova Zelanda per l’astronomo è una specie di rivincita che lo riporta alla ribalta dopo tante smentite dal mondo scientifico. Nolle in un articolo, dove spiega la sua teoria, azzarda anche un collegamento con il terremoto italiano del 31 ottobre di magnitudo 6.5 con l’epicentro tra Norcia, Castel Sant’Angelo sul Nera e Preci.

La Super Luna del 14 novembre viene chiamata anche ‘Beaver Moon’ (beaver= castoro) perché cade nel periodo nel quale i coloni americani cacciavano i castori in vista dell’inverno.

E ovviamente, come si fa a parlare di astronomia senza pensare agli UFO (per chi non lo sapesse, questa sigla significa Unidentified Flying Objects, ovvero ‘oggetti volanti non identificati)?
Infatti, c’è addirittura qualcuno che ha visto strani oggetti aggirarsi nei paraggi della Super Moon.

Ora non resta altro che aspettare le prossime lune speciali!

-Alice Bottaro

M’ILLUMINO DI MENO

di Damiano Zogia

Cosa vi viene in mente se vi dico 14 febbraio?

Mi dispiace cari miei ma non sto parlando di San Valentino, festa rispettabilissima (per chi ha il piacere di festeggiarla), bensì di un’iniziativa non molto conosciuta ma dal fine molto importante, legato all’ecosostenibilità.

Mi riferisco alla campagna di sensibilizzazione “M’illumino di meno”, promossa da ormai dieci anni dalla redazione della trasmissione radiofonica “Caterpillar” di Radio2 con lo scopo principale di organizzare con cadenza annuale una giornata del risparmio energetico in cui gli enti pubblici e i privati che lo desiderano per un’ora e mezza (mentre la trasmissione è in diretta), spengono le luci che non sono necessarie. (altro…)

UN MORSO CHE CI LEGA ALL’AMBIENTE

di Ugo Paiola

Molte volte nella nostra vita abbiamo mangiato da Mc Donald’s  o da Burger King ma mai ci siamo chiesti cosa si trovi dentro al gustoso hamburger che azzanniamo con grande piacere.

 

Trascurando i valori nutritivi del panino che è meglio non guardare (basti pensare ai formaggi e alle salse ipercaloriche che vi si trovano), andiamo a guardare che cosa si nasconde dietro alla gustosa carne grigliata. (altro…)