Scleranthus

“Per coloro che soffrono molto per l’incapacità di decidere fra due cose, considerando
giusta ora una ora l’altra, in particolare quando sono posti di fronte a due alternative
contrarie; per coloro che manifestano una carenza di equilibrio, data dalla loro
costante incertezza, celando notevoli conflitti interiori.”

Non credo sia veritiero affermare che da tutte le cadute ci si può rialzare. Può accadere di scivolare e poi alzarsi tranquillamente, dimenticandosi dell’accaduto, oppure di ammaccarsi un gomito, di sbucciarsi un ginocchio, di rompersi una gamba. Tutte ferite che con il tempo e con la cura possono cessare d’esistere, come è risaputo. Colui che si è scalfito dunque, anche se prova una dolorosa fatica, cerca in qualche modo di tirarsi su come gli è possibile e di raggiungere i soccorsi il prima possibile.

Se invece però si sprofonda in una stretta gola vertiginosa, soffocante e tetra da far perdere il senno, nulla si può fare per migliorare la situazione se non lasciarsi sopprimere dall’atmosfera di disperazione generale. Aspettando, in un primo momento con riluttanza, che qualcuno s’affretti ad accorgersi della scomparsa.


Quando nessuno si presenta, la realizzazione della scomoda verità viene alla luce e scalfisce come una lama affilata, che si ritorce nel petto mossa dal rancore. Prima appare rimorso, poi viene oppresso dal terrore, dalla paura di non riuscire a sopravvivere con le proprie forze, di non respirare mai più l’aria esterna che sa di
libertà. Così il corpo inizia a fremere, a sudare, a contorcersi in preda all’angoscia, perché viene al corrente del fatto che ogni tentativo è vano, che nemmeno graffiando le pareti di roccia fino a staccare le unghie si riuscirebbe a risalire da quella pozza di sconforto che dimostra la sua superiorità naturale. Si fanno grandi respiri, si cerca di calmare la mente sferzata dalla follia riportandola alla lucidità del riposo, eppure ciò è
impossibile da ottenere, in quanto l’irritante idea della speranza è sempre presente e non abbandona mai nessuno di noi. Si è divisi da due sentimenti contrastanti, da due correnti opposte che con la loro voce creano un frastuono tale da portare a desiderare un’infinita quiete che possa durare in eterno. Non sempre queste due emozioni sono qualcosa di intollerabile, spesso si associano a concetti semplici, come l’impegnarsi o il riposarsi, la perfezione e l’imperfezione, l’audacia e il timore.


Quelli che conosco meglio personalmente sono il vuoto e il pieno.


Il tutto e il niente, la presenza e l’assenza.


Il vuoto è una sensazione incredibilmente subdola, che si insinua all’interno dell’anima come una serpe indiavolata e inizia a nutrirsi di ciò che trova, riducendo al minimo ogni risorsa, privando d’ogni ricchezza interiore. L’attimo in cui ci si fa sopraffare da questo è quello in cui la negativa leggerezza lascia un quesito spinoso al nostro cervello. Che significato ha una vita senza un contenuto da elaborare, senza una base solida dalla quale partire? La risposta viene ricercata nel ripristino immediato ed avido della materia, temendo questa possa sparire come ha fatto in precedenza.
Eppure, una volta sazi, l’effetto tanto atteso non si presenta, anzi, lascia solo una gravosa pesantezza che si riflette sulla propria percezione. Ancorati al presente da un fardello insormontabile, cancellabile solo tramite la sua eliminazione totale.
Il cerchio ricomincia, ripetendo in successione questi due stati contrastati che lasciano solo una continua pena, la quale sembra non terminare mai. Ed i tormenti della mente prima o poi si proiettano su quelli della carne, coinvolgendola inevitabilmente nella propria afflizione. Nasce anche dalla frequente e banale noia, dalla sottile preoccupazione di non avere un vero e proprio significato in un mondo vasto e vario, dove vivono tante personalità forti dai numerosi talenti. Per colmare il buco s’ingerisce voracemente tutto ciò che si trova senza criterio, senza distinzione, spinti dall’unico desiderio di sentirsi pieni e realizzati. Tuttavia le conseguenze non si possono evitare, e neppure ignorare. Il peso ingente limita in ogni suo lato ed occupa con egoismo tutto lo spazio possibile, accumulandosi sempre di più ed occludendo anche le vie che dovrebbero essere lasciate libere. Arriva allora la necessità di lasciarsi cedere, di svuotarsi, di infilare due dita in bocca e farle scendere il più possibile giù per la gola, di rigurgitare il tutto, di rigettare non solo l’eccesso, ma anche l’essenziale. Infine, solo l’infelicità di una volontà tesa e in procinto di rottura a causa di due forze dalla stessa natura distruttiva.


Basterebbe solo raggiungere una stabilità, un equilibrio adatto tale da soddisfare, anche solo in minima parte, la fame umana di compiacimento personale. Malgrado ciò, anche l’armonia indica uno stato di staticità controproducente.


Nemmeno la sazietà potrà portarci alla pace interiore.


Non ce ne libereremo mai.


Non me ne libererò mai, e consumerò in eterno nel fondo di quella gola.

– Valentina Grigio, 3BL

15/03

“Ciao, ti va se sabato usciamo? È da tanto che non ci vediamo. Magari facciamo un giro dove vuoi tu, dopo scuola, e poi stiamo in giro come al solito fino a sera se ti va”


“per me va bene, avviso i miei ma in teoria mi lasciano sì…”


Sabato
“Io ho fame e infatti ora credo mi prenderò qualcosa da mangiare, però mangi anche tu eh,
così mi fai anche compagnia”
Come glielo spiego, non glielo spiego…
Non saprei nemmeno come farlo. Far vedere cos’ho dentro realmente, farebbe paura forse.
Io faccio paura. Come sono finita così?
Vabbè ora non c’è tempo per pensarci, devo dire qualcosa sennò sospetterà che forse sto pensando troppo, e nel mio silenzio c’è qualcosa che non va.
“Ho mangiato tanto stamattina a colazione, poi oggi a merenda i miei compagni di classe hanno portato del cibo e direi che ho mangiato anche abbastanza. Sono apposto io, però ti accompagno pure a prendere qualcosa.”


“Sicura?”


“Sì, tranquilla”


Ogni giorno controllo che il mio polso sia diminuito di circonferenza, testo sempre se riesco a farci passare un dito o più nello spazio che si crea quando cerco di afferrarlo con una mano.
Se non ci passa mi arrabbio, non so bene il perché, o forse sì…
Ogni mattina verifico che io sia rimasta ad almeno dei chili in meno dal giorno precedente.
Se non è così, mi metto a fare ginnastica in camera, oppure vado a correre.
Solo il pensiero che possa anche questa cosa sfuggirmi di mano, non lo riesco a sopportare.
Vorrei avere almeno una cosa sotto controllo in mezzo a tutto il caos che mi sento attorno…”


“Se prima era l’autolesionismo a placare un qualcosa che non riuscivo più a tenere dentro, ora si è tramutato in qualcos’altro…
Non so come ci sono finita qui. Ormai è diventata routine.
Il cibo è “mio amico”. Quando mi sento sola, quando vorrei farmi del male, quando c’è qualcosa in me che sembra essere ingestibile, io so di avere un amico al mio fianco…
È lì, lui non se ne va mai.
Mi accompagna nei pianti, quando sono nervosa.
Quando sento che non vorrei essere qui, essere viva…
Rido e continuo a mangiare. Mi abbuffo di cibo, tanto ormai sono grassissima. La mia autostima è a pezzi, a cosa serve che io mi preoccupi?”
“Non voglio guardarmi, devo solamente passare davanti allo specchio velocemente senza riuscire a guardarmi anche solo per un pò. Non riesco…
Sono io quella? Dio, quanto faccio schifo. Perché l’ho fatto. Perchè ho mangiato così tanto oggi? Devo consolarmi con qualcosa. Ho bisogno di qualcosa, mi manca qualcosa. Ecco trovato, nella dispensa dovrebbero esserci degli altri biscotti…”


I disturbi del comportamento alimentare (DCA), non sono capricci. Sono patologie e disagi di natura psicologica. Se ritieni e ti accorgi che avresti bisogno di aiuto, o ti rendi conto che qualcuno ne avrebbe bisogno, non aver paura di chiedere aiuto. È importante, tu sei importante, tutti noi lo siamo…

– Anonimo

#ColoriamociDiLilla

Ammasso di voci opprimenti,
pitturano lacrime che celano infiniti tormenti.


Una lotta morbosa
contro quella creatura schifosa,
che si nutre di un mito incessabile e persistente,
mi tormenta continuamente.


Un largo maglione mi copre,
per soffocare quella voce mediocre;
voce che tutti possono ascoltare,
che nessuno osa mutare.
– Rigotti Angelica 3ASA

15 Marzo

Prima di scrivere questo,volevo avvertirvi tutti che questo è un argomento estremamente sensibile ed estremamente personale.

79,198,560 calorie,sempre in testa,ad ogni momento del giorno e della notte.

Non c’è modo di non pensarci,il pensiero è sempre li.

Essere magri,essere belli,essere accettati per come si è, anche se ritenuto impossibile

Perché non ci si riesce a vedere belli o anche accettabili.

Saltare I pasti,troppo esercizio,dimagrimento estremo oppure no.

Questi sono i segnali visibili,ma quelli dentro se stessi,i divieti,i riempimenti,le punizioni,quelle non sono visibili.

Per descriverli pienamente servirebbero mesi,ma con questo vi chiedo di trattare le persone con disturbi alimentari con una delicatezza particolare,magari con delicatezza maggiore di quella con cui trattereste tutti.

Non potete mai sapere cosa sta passando nella testa di una persona.

– Anonimo

Convivere con un mostro

Mi sveglio, mi alzo dal letto e come ogni mattina mi dirigo verso il bagno. Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo; tiro fuori la bilancia, non sono ancora arrivata al mio obiettivo. Mi vesto, salto la colazione e vado a scuola, mi gira la testa ma ormai è abitudine, la pancia brontola da vuoto ma è una sensazione bellissima. A merenda mi nascondo in bagno, non voglio che nessuno mi veda mentre mangio il frutto. I sensi di colpa iniziano a farsi sentire, devo muovermi. A casa salto il pranzo, studio e cammino, ho male i piedi ma non posso fermarmi, devo anche andare in palestra. Torno da palestra, vado a letto e so che il giorno dopo sarà uguale. I medici sono preoccupati, non mi interessa, si stanno sbagliando, io sto bene, posso spingermi oltre. La dietista mi ha dato i nutri drink e spero che mamma non si accorga che li butto. Va tutto bene fino a che un giorno svengo a scuola e mi risveglio in ospedale con il sondino e le flebo. Non posso muovermi, mi sposto con la sedia a rotelle. In camera ho una ragazza che ha il problema contrario al mio, sono tanti anni che è dentro a questa malattia. Mi dispiace è una persona così dolce, le voglio bene, è speciale. Uscita dall’ospedale mi mandano in comunità, ci sto per tanti tanti mesi, non vedo i miei genitori mi mancano tanto però so che mi sostengono e che ogni mio piccolo traguardo è per loro una felicità enorme. In comunità conosco Niki, è una ragazza che soffre di anoressia nervosa atipica, è normopeso e quindi non è stata presa in considerazione per troppo tempo; i suoi esami sono critici, lei sta male. Un giorno vengo a scoprire dalle infermiere che Niki non ce l’ha fatta; il mio dolore è talmente forte che torno a isolarmi, continua ricadute, tentati suicidi, tagli sulla pelle, non voglio più vivere. Il peso scende, mi rimettono il sondino, smetto di bere, sto lasciando alla malattia di prendersi tutto di me. Torno a casa dopo mesi e scopro che anche la ragazza che era con me in ospedale non ce l’ha fatta. Capisco che così non posso continuare, oggi inizia la mia rinascita.

I disturbi alimentari non hanno un peso, si può stare male a qualunque BMI, però purtroppo si prendono in considerazione solo le persone sottopeso. I DCA sono malattie mentali e come tali non hanno un aspetto estetico, ci vuole tanta forza e un lavoro d’équipe per poter andare contro alla patologia. Non sono i numeri di ricoveri, l’avere o no il sondino, l’aver perso tanto peso o avere continue abbuffate per determinare la gravità di una persona. Tutti sono importanti e hanno bisogno di attenzione e di un percorso strutturato in maniera soggettiva. I casi sono in continuo aumento, ma le liste di attesa per la prima visita sono lunghissime; purtroppo l’ignoranza a riguardo è ancora tanta e troppo spesso le persone con DCA sono considerate capricciose. Non è così anzi, il disagio psicologico che è dentro ogni persona con disturbi alimentari è tanto e a volte anche un solo “ti sono vicina” è importante. C’è bisogno di un cambiamento, di una presa di coscienza e di vicinanza verso coloro che ogni giorno si svegliano e soffrono in silenzio. Il 15 marzo è la giornata del fiocchetto lilla ossia la giornata di prevenzione per i disturbi alimentari. Di DCA si può morire, facciamo in modo che non accada più, riduciamo le liste di attesa, siamo più vicini a coloro che soffrono, sosteniamoli, solo così possiamo fare la nostra parte.

– Giada Gambalonga, 5AL

NOI

Noi, così distanti.
“Perché?” mi domando.
Attimi ansanti,
Pieni di dolore,

mi alzo urlando.
Nel cuore del tuono
C’è solo una risposta
È la mia eco
Che dolcemente vaga.
“Perché?”
Urlo al vento
“Dimmi almeno il perché…”
Singhiozzando, attendo.
Ma una risposta mai ci sarà
Destinate ad un legame che finirà
Migliore Amicizia la definivamo
E ora guarda che cosa siamo:
Stranieri
Con un passato comune
Sconosciuti
Con esperienze condivise
Estranei
Permeati di apatia
Incubi erranti
Tra le correnti, in balìa
Della tempesta
Che ci porta via.

OSSESSIONE

Bella la scuola, vero? Soprattutto la nostra.

Tanti progetti, canzoni, iniziative, viaggi e professori simpatici. Porta gioia, in qualche modo. Io non riesco a staccarmene, è diventato fondamentale. Ti fa sentire grande essere al liceo, tanto che inizi a pensare solo a quello e alle persone che hai intorno. Abbiamo persino delle pagine Instagram dove trovarci. Ma poi peggiora, in modo inaspettato. Inizi a pensare a ciò che devi fare per domani e per il giorno dopo, alle persone che incontri, e poi ad una sola in particolare. E ti ossessioni.

Romaissaa Watki, 1AL

Freestyle Chess GOAT Challenge

Il nuovo evento nel mondo degli scacchi Freestyle Chess GOAT Challenge, con un montepremi di 2.000.000 USD, inaugurato da Magnus Carlsen, si è da poco concluso.

“With this format, a dream comes true for me…”, disse Carlsen, “…I have long wished for a competition where Chess960 is played at the highest level with the classical time control in a tournament.”

Quest’evento si differenzia dalle partite Classical per la disposizione iniziale dei pezzi, il Fischer Random (o Chess960) è una variante creata da Bobby Fischer, genio degli scacchi, per differenziare le partite e cogliere impreparati i giocatori, con delle posizioni casuali dei pezzi. In questa variante la teoria non serve a niente, almeno durante le mosse iniziali, bisogna studiare la posizione ed adattarsi, cercando le mosse migliori e mai studiate.

Il torneo si è tenuto al Weissenhaus Resort, un resort di lusso a cinque stelle situato a un’ora di macchina a nord-est di Amburgo, sul Mar Baltico.

Hanno partecipato alcuni dei migliori GM in classifica: Carlsen, Caruana, Liren, Firouzja, Keymer, Abdusattorov, Aronian e Dommaraju.

Quest’evento è stato anche un’occasione per far scontrare Carlsen con il suo “successore al trono” Ding Liren. Purtroppo, per impreparazione e svogliatezza, Ding concluderà quest’evento senza mai aver vinto una partita.

Un giocatore di cui risalta l’assenza è quella del GM Hikaru Nakamura , l’attuale detentore del titolo di Campionato mondiale Fischer Random, un titolo deciso nelle partite Rapid (10 minuti), ci si sarebbe aspettato di vederlo anche nella variante Classical (90 minuti).

Il torneo è stato vinto dal GOAT Carlsen, il secondo posto è stato conquistato da Caruana e Aronian è arrivato al terzo posto, dopo fantastiche partite e straordinaria tattica è infatti riuscito a vincere lo spareggio con Abdusattorov, lasciandogli il quarto posto. Firouzja è arrivato quinto e Dommaraju Gukesh sesto. Gli ultimi posti invece sono di Keyner e, purtroppo Liren.

– Frederick Toschetti 2CA

Funny Hell

i can still feel your hand on my knee,

while you talked to me.

and i can still see the way you looked

directly in my eyes

with that h0rny smirk on your face.

i still remember those ‘soft’ words:

“you’re so cute, lil girl”

the same words that changed my life.

that day was one year ago

and i still see you in every man i meet,

and i can’t help it but be terrified

at the thought of meeting you again.

the thought of you still keeps me up at night,

still makes me panic when i’m alone

it follows me at every step i do.

you scared the shit out of me,

just because you wanted a little bit of fun

and you created a ‘funny’ hell

i have to live with

every    single     day

– Anonimo

Colpevole

La società…questa famelica bestia che si impone sulla gente,

una manipolatrice, che impone le sue regole su di noi,

una presenza che ci schiavizza e ci opprime,

una serpe che con i suoi occhi infernali ci fissa,

e con il suo sibilo e parole piene di infamità ci giudica.

Figlio della società…è lo standard.

Il giudizio, lo sguardo critico, l’oggettificazione della bellezza,

un tribunale dell’inquisizione,

che sottopone a costanti prove,

continui controlli, misurazioni, stime,

come se gli esseri umani fossero delle cavie da laboratorio,

atte a garantire una sorta di distorta e irraggiungibile,

curante solo del corpo e della carne, e non della bontà e dello spirito,

al quale se ci si oppone,

viene negata la possibilità di essere apprezzati, riconosciuti, amati.

Dal seme dello standard…nasce la perversione.

I feticismi, l’erotomania, il sadismo sessuale,

mostruosità inumane, istintive, animalesche,

che si nutrono della carne e della bellezza delle loro vittime,

seducono le menti dei tentatori, e si alimentano e si diffondono grazie al loro seme.

Questi mostri…queste credenze, queste visioni perverse della realtà,

a mio profondo malincuore…hanno raggiunto anche me.

Per molto tempo, ignaro di tutto, ho convissuto con i miei feticci, le mie fantasie,

badando soltanto al mio piacere, non chiedendomi ciò che ci fosse dall’altra parte…

Ora risulto più cosciente, e consapevole, della sofferenza che queste mie fonti di piacere ha causato…

Costante dolore, mancanza di approvazione di povere anime buone e pure,

continue prove per sottoporsi a queste regole imposte dal piacere sessuale della società,

Sconforto, sofferenza, isolamento, solitudine…ascetismo…senso di colpa…suicidio.

Se da una parte vi è la disperazione e il desiderio di raggiungere una tale bellezza, dall’altra vi sono coloro che di questa “bellezza” carnale ne sono in possesso…

ma che in fondo…non avrebbero mai voluto averla.

Difficoltà nella vita di tutti i giorni, paura di venire giudicati per invidia o di venire derisi, sensazione di essere inadeguati, fuori posto, inappropriati…profani.

Gli sguardi… quegli sguardi orridi, disgustosi e ignoranti, attratti solo da quella bellezza di carne, e disposti a fare di tutto pur di metterci sopra le loro viscide e deformi mani,

e usarla come valvola di sfogo.

Tutto ciò hanno causato le mie passioni carnali,

passioni che si sono radicate nella mia psiche per troppo tempo,

feticismi che vanno oltre ogni regola di pudore e decenza.

Ogni volta che osservo coloro che si sono liberati da questa oppressione,

ai quali non importa di questi attributi fisici, che li nascondono,

o di cui si sono sbarazzati completamente,

dietro alla mia bontà, al mio supporto, alla mia moralità,

nelle parti più oscure e recondite della mia mente,

alle volte con un sibilo appena percettibile, altre volte con strilli, grugniti o rantoli bestiali,

la mia erotomania si oppone e cerca di liberarsi e di appropriarsi di ciò

che ritiene le spetti di diritto.

Quando penso a questo, non riesco a non rimanere incredulo,

di fronte a ciò che sono, a questi miei desideri che portano cotanta sofferenza,

e a mettere in dubbio la mia innocenza, la mia purezza.

Non importa quanto ci provi a convincermi del contrario,

anche se non sono io l’artefice di questo male e di questa corruzione dell’animo umano per la carne,

io, in quanto questa fonte di sofferenza per i più,

è per me fonte di goduria e piacere,

sono colpevole di tutto questo dolore,

e non c’è altro modo per me per rimediare se non con la punizione…

e se necessario…l’annientamento del mio io.

– Davide Maratini 3BSA

Idrogeno e biocarburanti, le opzioni alternative al fossile e all’elettrico

Dal 2035 in Europa non potranno essere più acquistate o vendute auto alimentate a combustibili fossili o con motore endotermico, rendendo così possibile solo l’acquisto di auto elettriche (tranne in Francia), ma ci sono altre soluzioni ecosostenibili e con un minore impatto ambientale?

Ad oggi ci sono diverse soluzioni con un impatto ridotto sull’ambiente, come i biocarburanti e l’idrogeno e in questo articolo li analizzeremo, capendo anche perché l’Unione Europea ha deciso di accantonarli.

Biocarburanti

I biocarburanti non sono una novità recente, infatti già Henry Ford presentò la Model T dotata di un motore alimentato a etanolo, che fu poi cambiato con un motore a benzina da 20 hp per motivi di praticità e anche perché l’etanolo non era prodotto come carburante. Per parecchi anni i progetti relativi ai biocarburanti vennero “dimenticati” per via dell’ampio utilizzo dei combustibili fossili, fino alla crisi petrolifera degli anni ‘70 quando in brasile si iniziò ad usare il bioetanolo per alimentare le auto.

I biocarburanti, come si può intuire dal nome stesso, sono quella categoria di carburanti (più precisamente idrocarburi) prodotti da materia organica, come quindi dalla fermentazione delle biomasse, e per questo teoricamente inesauribili.

Oltre alla loro rinnovabilità i biocarburanti possono ridurre del 88% le emissioni di CO2, per questo motivo sono già presenti nelle stazioni di servizio nella benzina E5 (con una percentuale di bioetanolo pari al 5%) e in quella E10 (la percentuale di bioetanolo arriva al 10%). Eni ha poi sviluppato HVO, il biodiesel prodotto da oli vegetali idrotrattati di scarto, utilizzabile però solo nelle auto con motori Euro 6 e successivi perché più corrosivo del diesel tradizionale.

Biocarburanti alla stazione di servizio

La problematica maggiore dei biocarburanti è che non c’è abbastanza biomassa per la loro produzione rispetto alla richiesta fatta dal mercato se si passasse solamente al loro utilizzo. Inoltre per la loro produzione è necessario sottrarre terre coltivabili all’agricoltura.

L’Unione Europea ha deciso di non considerarli come una soluzione per diminuire l’impatto ambientale europeo perché la loro combustione produce alti livelli di ossidi di azoto, di particolato atmosferico e ozono che possono influire sulla salute.

Idrogeno

Idrogeno

L’idrogeno è l’elemento chimico più semplice e rappresenta circa il 70% della materia dell’universo. Nonostante ciò non è così abbondante sulla Terra e per questo è necessaria l’estrazione da altre molecole, come dall’acqua o dagli idrocarburi, che avviene attraverso un processo che rompe i legami che tengono gli atomi di un composto uniti. Per produrre l’idrogeno vengono utilizzati diversi metodi, tra i più comuni troviamo il reforming del metano, la gassificazione del carbone e l’idrolisi. I primi due sono i più comuni, infatti circa il 97% dell’idrogeno prodotto deriva da idrocarburi e la sua produzione comporta anche una grande produzione di anidride carbonica e per questo viene chiamato “idrogeno grigio” o “idrogeno blu” se l’anidride carbonica prodotta viene stoccata permanentemente (per esempio riempiendo i giacimenti di gas naturale esauriti).

I colori dell’idrogeno

Esiste anche l’idrogeno verde, quello prodotto dall’elettrolisi dell’acqua (con energia ricavata da fonti rinnovabili come l’eolico o il solare) o da altre fonti non inquinanti, come dalle alghe. La produzione di idrogeno verde risulta più costosa delle altre e per questo meno favorita (1 kg di idrogeno verde costa in media dai 4,5 ai 12 $, mentre quello grigio da 0,98 a 2,93$ e quello blu da 1,8 a 4,7 $).

Differenze tra i colori dell’idrogeno

I motori a benzina/diesel trasformano soltanto tra il 20 e il 25% dell’energia prodotta dalla combustione in energia meccanica, mentre il 75-80% dell’energia restante viene trasformata in calore.

In un motore a celle di idrogeno le percentuali sono invertite, anche se poi solo il 40% dell’energia è utilizzata per far muovere il veicolo perché l’energia prodotta deve essere convertita in energia elettrica. Ciò è dovuto anche al fatto che 1 kg di idrogeno contiene la stessa energia di 2,8 kg di benzina.

Lo “scheletro” di un’auto a idrogeno. Si noti la forma del motore a sinistra

L’idrogeno è però anche molto instabile, tanto che a temperatura ambiente deve essere conservato in sicurezza in contenitori con una pressione interna che varia tra i 350 e 700 bar (una bombola di gas ha una pressione tra 4 e 8 bar, mentre un bombolone di un’auto a gas non supera i 20 bar). Se si vuole invece conservarlo liquido bisogna raffreddarlo e mantenerlo a una temperatura inferiore ai -253°C, che comporta una grande richiesta energetica. Proprio a causa di questi motivi non ci sono le infrastrutture, almeno in Europa, per contenerlo (perché non possono essere utilizzate strutture come i gasdotti, salvo all’inserimento di gas con una minima percentuale di idrogeno).  La costruzione di queste infrastrutture è già in atto, infatti l’UE ha già stanziato i primi finanziamenti per oltre 5,2 miliardi di euro (2023) per sviluppare il settore dell’idrogeno.

Green deal

È vero anche però che nel Green deal (il piano dell’Unione europea per la decarbonizzazione), cercando di limitare la produzione di gas serra, si svantaggiare indirettamente  l’idrogeno che (come detto prima viene prodotto per il 97%  da idrocarburi) potrebbe rappresentare quindi una vera soluzione solo per i Paesi con un’ampia produzione di energia pulita come Spagna, Svezia, Finlandia e Francia (quest’ultima grazie ai reattori nucleari  è riuscita a rientrare tra i produttori di energia pulita, ma non rinnovabile).

In Europa quindi l’idrogeno risulta molto più costoso rispetto all’elettrico.

– Francesco Savio 2ASA

Albero

Oramai, quest’albero dinanzi a me, è perduto. Sì, perduto.

Si è spogliato, da ogni cosa che fin’ ora ha vissuto in sè.

L’ho visto perdere tutto ciò che possedeva, ma ora non sarà solo. Anche io sono nudo, nudo davanti a esso. Lui si è spogliato da ogni male, e io ho fatto lo stesso.

Foglie, siete cadute davanti ai miei occhi, o meglio, davanti ai nostri occhi. Ma per ora va bene così, non è il momento di germogliare…

Voglio stare spento, voglio stare spoglio e sentire il vento, lento…

– Anonimo

Stop al linguaggio violento

Attraversando i corridoi della scuola, mi sono soffermato davanti ai cartelloni dedicati a Giulia e Filippo. Ogni post-it, con i suoi commenti e le dichiarazioni sui due ragazzi, ha attirato la mia attenzione, portandomi a riflettere su quanto è stato detto e scritto (“Mamma, se domani non torno, voglio essere l’ultima”, “Non ti meritavi questa fine”, “Fatti forza Giulia”…), (“Mi faceva schifo, ma quando è carne, è carne!”, “Puttana!”, “Mi piace quando facciamo sesso, non quando parli”, “Uomini, fatevi un esame di coscienza!”).

Ritengo che questi commenti parlino da soli, e non mi sto riferendo solo a quelli su Giulia, ma anche a quelli su Filippo. Non sto giustificando le azioni di Filippo nei confronti di Giulia; è un comportamento disumano, orribile e inaccettabile, e dico STOP a tutto ciò! Sfido chiunque a giustificare le azioni di Filippo. Tuttavia, ciò che mi preoccupa è il modo in cui stiamo cercando di fare giustizia per Giulia.

Uno dei principi fondamentali che dovremmo imparare a scuola è il rispetto per ogni individuo, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dal genere, dalla disabilità, o da qualsiasi altra caratteristica. Se rispondiamo alla violenza con altra violenza, anche in forme diverse, stiamo commettendo un grave errore.

Sostenere idee estremiste che generalizzano e colpevolizzano tutti gli uomini è sciocco, ignorante e dannoso. Scrivere slogan offensivi su Filippo, facendo riferimento a violenza sessuale, è altrettanto sbagliato. Invito chiunque a fornire fonti concrete che dimostrino che Filippo ha commesso violenza sessuale contro Giulia. Non esistono! Pertanto, perché diffondere affermazioni come “Mi piace quando facciamo sesso, non quando parli” o “Mi faceva schifo, ma quando è carne, è carne!”?

Dico STOP non solo alla violenza sulle donne ma anche a incolpare tutti gli uomini per presunte azioni violente. Dobbiamo smettere di confondere la violenza psicologica con quella fisica, verbale o sessuale.

Iniziamo a responsabilizzarci ed a usare un linguaggio non violento a partire dal contesto scolastico e familiare!

– Francesco Ferlito 1BS

Parola d’ordine: Coquette🎀

Fiocchi a cascata, baby pink e Lana del Rey in sottofondo sono i capisaldi del nuovo amatissimo trend, uno dei tanti che dal 2020 ad oggi ci accompagnano fieramente. Questo però ha avuto un impatto sociale maggiore di tutti gli altri, e a testimoniarlo sono le numerose reference che le maison di moda hanno fatto nella recente settimana dell’Haute Couture: da Jean Paul Gaultier by Simone Rocha a Robert Wun, corsetti e drappeggi non ci abbandonano. 

Jean Paul Gaultier HC by Simone Rocha

Robert Wun Haute Couture

A favorirlo sono sicuramente il senso di libertà, e un po’ quella frivolezza che in questi tempi ci vuole. Ci viene quasi voglia di tornare indietro nelle ere, di ripescare elementi curiosi e frivoli da aggiungere ai nostri look che ci strappino un sorriso e ci donino sicurezza. 

A proposito di questo tema favolistico, vorrei spendere qualche parola per il viaggio emozionale che John Galliano ci ha regalato in occasione dell’ultima Artisanal di Maison Margiela. Ambientata in un locale notturno di una Parigi di fine ottocento, sotto la pioggia, hanno sfilato in modo teatrale meretrici, dongiovanni e bambole rotte dal fascino fatiscente, contribuendo a mettere in scena l’apoteosi della genialità artistica. 

In questo caso il trend coquette si è manifestato in modo astratto e subliminale, specialmente nel make up di Pat McGrath, nelle collane di perle interposte nelle calze  e nei doll-dress che hanno chiuso il sipario. 

Doll look di Maison Margiela HC

Make-up di Pat McGrath 

Credo sia meglio, quindi, non prendere ogni trend alla lettera, ma adattarlo a noi, lasciandoci ispirare e prendendo ciò che ci interessa e che ci trasmette gioia. 

A lasciarvi ironicamente, questa volta, sarà una massima della ispiratrice di tutto questo, la Del Rey, che esclamò : Live fast. Die young. Be wild. Have fun.

Edoardo Benedusi 5AC

Prato blu

”Per ogni minuto in cui teniamo gli occhi chiusi, perdiamo sessanta secondi di luce”

Un giorno una persona mi disse questa frase, ma io non sono d’accordo,

e sai perché?

Mi rendo conto di perdere quei “sessanta secondi di luce a ogni minuto”, anche quando ho gli occhi aperti.

Anzi, forse quando chiudere gli occhi per me è come dice Battisti: “chiudere gli occhi per fermare qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c’è”, Cerco di fermare qualcosa che vedo andarsene quando ho gli occhi aperti, quando osservo ogni giorno qualcosa che se ne va.

Un pezzettino alla volta.

Il problema è quando avviene anche con gli occhi chiusi. Sì, perché mentre prima quel momento di “occhi chiusi” riusciva a “fermare qualcosa che era dentro di te”, ora non è più così.

Ora c’è anche lì freddo. Il freddo che c’è fuori c’è anche dentro.

Dentro te e dentro me.

Continuiamo a sfiorarci con gli sguardi ma ormai c’è indifferenza.

Quest’ultima parola fa abbastanza paura, soprattutto quando inizi a provarla anche tu.

Solo che, nel mio caso, è un’indifferenza mascherata da qualcos’altro.

Immaginate un prato, un prato non d’erba, ma pieno di pensieri.

I fili di erba non sono verdi, sono grigi o anche blu…

Blu

Blu

Blu

Che colore sei Blu?

Forse non sei un colore e forse non si può definire come un “colore” questo termine.

È un’emozione. Un’emozione che non si riesce a capire.

Il blu ormai fa parte di tutto questo immenso spazio aperto, ma prima com’era?

Prima ce n’era solo uno di filo d’erba blu, ma oramai è stato perso in mezzo agli altri…

Chissà, forse un giorno lo ritroverò?

Ti amo

“ti amo”;

ho sempre odiato dire queste due parole

perché ogni volta che le pronunciavo

loro sembravano scivolare via

e, poco a poco, rimanevo solo.

Non sono mai stato il primo a dirle

mi sono sempre sembrate forzate,

menzogne velate.

Non mi sono mai ritenuto capace di amare,

non per lunghi periodi almeno.

Alcune lievi infatuazioni,

ma ‘mai’ quell’amore eterno.

Ma poi sei arrivato tu,

e quelle due parole hanno preso una forma,

hanno preso il significato

di ‘amore pacato’.

E a te, quelle parole le direi

anche a rischio di perderti,

per farti capire che ti amerò sempre.

Anche quando non ci sarai più.

Odiosi Boati

Sguardi terrorizzati                             

e sogni di bambini neutralizzati    

troppi orsacchiotti lasciati soli                        

e nessuno che li consoli.

Odiosi boati che rovinano le notti          

non lasciando riposare neppure i bambolotti

madri disperate che fanno coccole        

pur di non far notare tutte queste pistole.

Puntate addosso a innocenti                       

con famiglie in disparte che battono i denti.

Cosa significa essere adolescente?

Dicono che l’adolescenza sia la fase più bella della vita, “il fior fiore dei nostri anni”, ma allora perché è quella dove si soffre di più e si viene aiutati di meno?

 È il periodo in cui gli occhi perdono la loro luce, i sorrisi diventano apatia, le chiacchierate con i genitori diventano un: “sto bene lasciami stare”; i “sì, per cena prendiamo la pizza” diventano un “non ho fame non mangio”.  Eppure l’unica cosa che ci si sente dire continuamente è di dover fare gli adulti o che si è grandi per i capricci o che non sono questi i problemi della vita e che “devi fare l’uomo”.

Ma cosa significa fare l’uomo?

Forse Uomo inteso come essere indistruttibile? Ne siamo proprio sicuri? Uomo ci si diventa proprio perché non si ha nessuno che ci dà una mano ad affrontare i problemi della vita; che ogni volta viene pugnalato ed è costretto a togliersi la spada e medicarsi da solo. L’adolescente si vede gettato nel mondo senza alcuna spiegazione. Si ritrova a dover imparare come farsi accettare dagli altri, ad essere indipendente e molto altro. Deve fare una scelta sulla scuola superiore da frequentare, ma non ha le idee precise sul suo futuro perché effettivamente è troppo presto per affrontare una scelta così importante.

L’adolescenza è il periodo in cui ci si rende conto che tutto prima o poi avrà una fine, ci accorgiamo del valore che il tempo ha nella nostra vita. Eppure chissà perché continuiamo a procrastinare la felicità, accettando l’essere tristi. Forse essere uomo è il riconoscere che abbiamo un tempo limitato e che dobbiamo vivercelo senza spiegazioni altrui per poter goderlo al meglio. Non necessitiamo di una guida che ci spieghi come essere adolescenti, ma di una che ci spieghi la felicità nell’adolescenza perché non può essere uguale a quella della vita adulta o a quella dell’infanzia. Impariamo tramite le nostre prime responsabilità ad essere fieri di noi stessi. E allora perché non veniamo aiutati? Gli adulti dicono che l’adolescenza è la fase più bella perché è la fase della sperimentazione, in cui si imparano le ingiustizie e ci si rafforza. L’adolescenza non può essere spiegata, va vissuta e non ne va perso nemmeno un secondo. Gli adulti non vogliono che noi commettiamo il loro stesso errore di non essersi goduti questo periodo della nostra vita, quindi ci lasciano provare. Ecco questo vuol dire essere adolescenti.

-Giada Gambalonga 5AL