Triummulierato fashion

In questo mio articolo voglio estrarre dal cappello del mago una triade di mostri sacri della moda, per me
centrali ed eccezionali. Queste icone, a differenza delle molte celebrità che ci intasano il feed, non vestono
le idee degli stylist, non vengono “indossate” dagli abiti e non rappresentano mezzi pubblicitari. Incarnano,
invece, lo stile e sono impenitenti, colpevoli di essere deliziosamente contro corrente, forti della
consapevolezza, maturata con l’età, della loro immagine. 
Si apra il sipario: ecco a voi Cecilia Matteucci, Michèle Lamy e Anna Piaggi.


Cecilia Matteucci, celebrity bolognese atipica, come la definisce Vogue, è una collezionista di origine
toscana, oserei dire ossessiva, di alta moda (tanto che in un’intervista disse di avere, in uno dei suoi
appartamenti- wunderkammer, abiti appesi persino in bagno, con borse nella vasca da bagno), gioielleria ed
arte, oltre ad essere una melomane.
Il suo stile inconfondibile rende lei stessa un pezzo d’arte: non esce di casa senza un pezzo Chanel,
cascate di gioielli e un make-up de résistance che mi ricorda paradossalmente quello di Divine in Pink
Flamingos. 

Selfie della divina tratto dal suo Instagram

Oltre ad essere infinta fonte d’ispirazione per i suoi fans, compreso Alessandro Michele, è una grande
esperta del settore, constatazione pleonastica deducibile dai suoi oculati abbinamenti, una che parla sempre di
ciò che ama, la moda. A dirvelo è qualcuno che ha avuto la fortuna di conversarci dal vivo; le sue parole: “Viva
Edoardo!” *alzata di calice di champagne. 

Scatto per Vogue Italia, agosto 2022


Michèle Lamy è ad oggi conosciuta come il manifesto estetico di Rick Owens, designer americano
avanguardista. Il loro rapporto nacque quando le venne fatto il suo nome a proposito di una posizione per il
proprio brand di sportswear maschile Lamy. Il resto è storia: diventò sua moglie e esplorò il suo stile fino
all’attuale stato sublimato. La Lamy fonde con il suo corpo abiti scultorei dalle tinte gotiche, gioielli materici, tatuaggi e simboli tribali, frutto di una vita di studi e viaggi. È punto di riferimento per molte entità
influenti dei nostri giorni, ma non è mainstream. Non sarà difficile vederla divertirsi in club tecno,
presenziare alle sfilate di Yeezy o visitare gallerie. 
È puro fascino brutalista e metafisico. 

Street style di Michèle Lamy, alla Paris Fashion Week


A chiedere questo mio triumvirato è Anna Piaggi, giornalista più volte menzionata nei miei articoli. Giocava
con parole e grafica, facendone derivare articoli  (D.P. Doppie Pagine di Anna Piaggi) che erano suo perfetto
riflesso. Parlando del suo lavoro disse: “Non ho mai ragionato sulle cifre, né sul successo”. 
A sue parole si travestiva, si vestiva eccentricamente, e questo fu celebrato nella mostra Fashion-ology del
2011 al Victoria&Albert Museum di Londra, interamente a lei dedicata. Bagaglio di cultura mascherato da
apparente levità, questo era Anna Piaggi. 
Tratti identificativi: ciuffo blu, cappello, bastone e policromia estrema.
“Inventare è il mio modo di essere”. E per descrivere il suo stile credo non siano stati inventati ancora
vocaboli adatti. 

Settembre 2007, al party di Pinko a Londra

This is my Roman Empire!

Scrittura 06

A long time ago, masks were only worn at carnival,
A symbol of the spirit of celebration and joy,
But now, masks are worn in everyday life,
For reasons that are not always so light.


Some wear masks to hide their true selves,
To protect themselves from the judgment and shame of the world,
But these masks can become a prison, such a heavy burden,
A burden on the shoulders that some barely carry.


Others wear masks, then trying to show their true selves,
Trying to express their individuality and unique traits,
But wearing a mask can also mean being misunderstood,
Because some people will never really see who you are.

Scrittura 01

Vivo dietro una maschera. Ho paura del mondo, ho paura di me stessa. La mia maschera mi
protegge dagli altri, e protegge gli altri da me. È come una barriera che mi isola dal mondo, e
isola esso da me. Tengo tutto dentro, nel piccolo mondo che mi sono creata. Nessuno
conosce la vera me, nemmeno io la conosco. Solo la mia maschera sa chi sia veramente.
La mia maschera recita il ruolo della ragazza gentile, premurosa ed educata, ma da dietro
contengo la rabbia per tutte le ingiustizie, l’abbandono e le prese in giro. La tengo isolata
perché il mondo non è pronto ad accogliere il mostro che ha creato. Non è pronto ad
accettare il demone che si cela dietro ad un angelo.

Luci spente

Dal treno ciò che si vede sono piccole valli con alberi. Casette qua e là che spuntano fuori a piccoli gruppetti.

Chissà quando arriveremo, in questo posto molto atteso…

La sera qui fa freddo, però le luci illuminano la città.

Abbiamo ancora tanta strada da fare a piedi, ma se ti giri e ti guardi attorno, te ne dimentichi quasi.

Stasera la città sembra spenta, il divanetto sul quale sono seduto non è più illuminato dalle luci che prima lo illuminavano, però qualcosa c’è. Parte Calcutta, poi Battisti…

Chissà se questo posto si ricorderà. Di quelle canzoni cantate per strada senza farsi problemi. Se un giorno, resteranno ancora al buio quei divanetti, tra qualche scambio di parole che si sono messe a prendere il volo per un po’.

Anonimo

Poison

Sono solo un’ombra per le strade
e il tuo dolce aroma mi invade:
non posso più scegliere.


Dammi tutto il tuo veleno
non ne sono mai sazio.


Eccoti, con i tuoi occhi rossi bramosi
di qualcosa che potrei (ma non ti voglio) dare
Tu con quegli occhi lussuriosi:
Mi lascerai mai andare?!


Dammi tutto il tuo veleno:
lasciamo la nostra eccitazione fare ciò che le piace!
Dammi tutto il tuo veleno:
non ne sarò mai sazio!


Lascerò le tue dita scorrere dentro me
lacerandomi,
scarnificandomi,
Corrompendomi.


Mi dai tutto il tuo veleno,
Ma io sto esaurendo lo spazio.


Io ti imploro,
Basta col veleno!
Non vedi,che ne sono pieno?!


Ma tu non vuoi vedere,
Ti piaccio solo quando sono in catene…
Sto diventando troppo bravo
a tenere questa maschera che copre il mio viso…


Eccomi in ginocchio
Faccio il gattino davanti a te
Anche se dal dolore che mi arrechi io ringhio:
Non mi lascerai mai andare…


Sto annegando nel tuo veleno,
anche se vorrei farne a meno.


Sto annegando nel tuo veleno,
lo spazio per il vero me sta svanendo
e lentamente mi stai uccidendo…


Warr;or

Tale e quale la stirpe delle foglie è la stirpe degli uomini

Martedì 9 aprile si è tenuto il secondo incontro culturale, organizzato da noi redattori di RompiPagina, al Gabinetto di Lettura di Este.

È stato un incontro particolarmente partecipato, infatti è iniziato con una raccolta di opinioni e aspettative del pubblico.

La prof.ssa Dal Prà, il prof. Andretta e il prof. Centanini hanno presentato al pubblico il tema della morte; un argomento che da sempre incuriosisce e fa riflettere noi esseri umani sin dall’antichità.

La professoressa Dal Prà ha presentato varie opere dedicate alla morte, dai monumenti funebri come Dolmen e Piramidi, alle opere di Andy Warhol. Evidenziando in particolare come la morte sia “un fatto doloroso della vita, ma specialmente per chi resta”.

Ha proseguito il professor Andretta, partendo proprio dalle riflessioni espresse nella prima parte dell’incontro dal pubblico ha evidenziato come la morte non sia l’ultima parola, ma anzi il legame che non svanisce con le persone care e ci aiuta ad andare oltre, perché “quello che rimarrà della nostra esistenza sarà l’amore che saremo riusciti a costruire”.

Infine il professor Centanini ha offerto una visione filosofica dell’argomento, citando in primis Platone, ma poi anche Omero e il più recente Nietzsche, evidenziando in modo particolare che l’uomo è come una foglia al vento: effimera e passeggera, con un futuro incerto. Ha  dato poi vari spunti di riflessione, ad esempio che “se io penso alla mia condizione di mortalità, allora posso ripensare alla mia vita e operare in essa per costruirci un significato”; o in un’ottica platonica che “stare sul confine permette di assumere una prospettiva dell’universale, di uscire da me stesso per riguardare a me da un punto di vista più generale, così mi guardo pensando alla morte nel mio essere vivo”.

L’incontro si è concluso poi con le domande del pubblico, momento in cui si è acceso un dibattito molto forte e intenso sulla tematica trattata e in particolare sul dare un significato alla vita in funzione del fatto che finirà.

Ringraziamo caldamente il Gabinetto di Lettura di Este per averci permesso di organizzare questi incontri culturali.

Infine, invitiamo caldamente voi lettori a partecipare al prossimo e ultimo incontro che riteniamo essere molto educativo e formativo, indirizzato a persone di tutte le età e non solo a noi studenti.

Vi lasciamo di seguito il video registrato durante la serata e la presentazione in formato pdf dei relatori dell’incontro

Registrazione della serata: https://drive.google.com/file/d/1THdgTCKPrcnYekDEPJN3bgtfA8KzfBAH/view?usp=sharing

Presentazione Arte: https://drive.google.com/file/d/1tevo6W3C-kfmZqXDtboUA5bv927y751q/view?usp=sharing

Scrittura 08

Le maschere ci fanno sembrare diversi
Da quello che siamo in realtà
Ci fanno nascondere i nostri sentimenti
E la nostra personalità

Le maschere ci fanno vivere in menzogna
Ci fanno seguire una falsa morale
Ci fanno rinunciare alla nostra dignità
E alla nostra libertà individuale

Ma noi possiamo liberarci dalla maschera
E mostrare il nostro vero volto
Possiamo vivere secondo la nostra coscienza
E seguire il nostro cuore e il nostro sogno

Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi
E di mostrare al mondo la nostra bellezza
Dobbiamo avere il coraggio di essere diversi
E di mostrare al mondo la nostra ricchezza

Grazie.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 05

Semplicemente a volte indossiamo delle maschere, le indossiamo perché abbiamo paura di ciò che ci circonda e di quello che potrebbe accadere se le togliamo.
Immaginiamoci sopra ad un palco, come degli attori di successo di uno spettacolo, la vita, noi ne siamo protagonisti e decidiamo quale delle nostre svariate maschere indossare, c’è ne sono migliaia, una per ogni occasione, a volte però un attore ha bisogno di mostrare il suo vero lato per avere successo e di non nascondersi celandosi dietro un insulso costume , che lo rende totalmente diverso da quello che lui è ; perciò togliamoci questa maschera e mostriamoci al mondo per quello che siamo, strani, belli, brutti, simpatici, antipatici, perspicaci, intelligenti e soprattutto coraggiosi.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

La solitudine

Le quattro cause aristoteliche

“La parola causa si usa in 4 sensi, di cui uno è che diciamo causa la sostanza e l’essenza, ma un altro la materia e il sostrato; un terzo quello da cui viene il principio del movimento, un quarto la causa contrapposta a questo ossia il fine.”
Marmo: causa materiale.
Soggetto: causa formale.
Scultore: causa efficiente.
Ammirazione: causa finale, motrice.
Aristotele sosteneva fermamente che, trovando queste quattro cause, si potesse definire il mondo, che bastassero a sapere tutto quello che serve su qualsiasi cosa. Trasferendo questo modello nella concretezza si nota come i primi tre fattori siano facilmente identificabili e strettamente legati, dipendenti l’uno dall’altro; per il quarto invece la questione si complica, l’analogia non risulta altrettanto evidente. La causa finale è discorde, si cela nell’ombra delle altre tre, ma in realtà è l’unica in grado di attivare la potenzialità della materia, della forma e del principio. Non è oggettiva. Una statua può essere ammirata, venerata, esposta, studiata, interpretata, può far commuovere, può allo stesso tempo disturbare. Diversi sguardi, diversi fini.
Ragionando su questa immortale teoria filosofica risulta quasi banale comprendere come qualsiasi oggetto o essere esista solo in relazione alle sue cause, e soprattutto in relazione al suo scopo. Una statua si può chiamare statua che sia in bronzo, in marmo o in terracotta; si può chiamare statua nonostante assuma forme di soggetti e personaggi diversi, si può chiamare statua indipendentemente dal suo autore, ma cosa sarebbe una statua chiusa in una stanza buia? Cosa sarebbe un Monet senza occhi che lo contemplino, un ballerino senza applausi, un attore senza teatro, uno scrittore senza penna. Perché si sente spesso dire “questo posto è casa”, oppure “gli amici sono la mia casa”? Perché il fine della casa, non è avere un tetto e un pavimento, ma è dare
sicurezza, conforto, intimità.
Per me un uomo solo è un uomo che ha perso la sua causa finale.
Un uomo che non trova più il suo scopo e lo cerca come si fa con il telecomando della televisione, o le chiavi della macchina; lo cerca disperatamente, ma non lo trova mai nonostante sia sotto ai suoi occhi. E più lo insegue, meno speranze ha di farcela. “Credo che sia questa la prima solitudine, il non sentirci utili”, il non avere più quella forza motrice in grado di spingerci a vivere. Non siamo mai del tutto soli. Abbiamo un compagno fisso, il nostro fine, che rincorriamo imperterriti. A volte però inciampiamo in altre vite e allora ne inseguiamo uno diverso, altre invece cadiamo per terra e lo perdiamo nell’intento di rialzarci. Questi sono i veri momenti di solitudine che spesso vengono fraintesi e definiti come mancanza di compagnia. In realtà credo che l’assenza di attenzioni, l’esclusione, la lontananza, possano generare solitudine, ma non siano da confondere con essa.
“Noia, nulla è così insopportabile all’uomo come essere in pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente allora la sua nullità, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto”. Stare soli genera noia, noia genera solitudine. Noia vista come sentimento di inutilità e vuoto. “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”. La solitudine di Montale non è soltanto quella di aver perso la moglie, ma quella di aver perso il suo scopo ossia amarla, prendersene cura, porgerle il braccio indipendentemente dalle difficoltà, indipendentemente dal numero di gradini.
La solitudine è qualcosa di strettamente legato a noi stessi, alla relazione che creiamo coi nostri pensieri, al rapporto perpetuo che c’è tra “me” e “io”, non tra “me” e “voi”. “La solitudine non è un albero in mezzo a una pianura sconfinata, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia”, tra parti diverse di uno stesso insieme, tra il cuore e la mente, tra i pensieri e le azioni, tra il sopravvivere e il saper distinguersi.
La solitudine non è una barca in mezzo al mare, ma una barca senza equipaggio. Non è una lettera non letta, ma una lettera non inviata. È una bocca che non vuole parlare e una mente che non sa pensare. Non è un addio, ma è un saluto carico di rimpianti. Non è uno strumento musicale lasciato in un angolo, ma un violino non accordato. Non è un “ti amo” tremante proferito nel silenzio, ma è un “ti amo” mai detto. Non è uno “scusa” sussurrato, ma è un perdono mancato.
La solitudine non è un uomo solo, ma un uomo senza scopo.

Year abroad – A video interview with 3 students

12 gennaio 2024. Un venerdì normalissimo in bar al Ferrari. Alle 13 si trova per la prima volta un gruppo di lavoro su un progetto di RompiPagina. Questo gruppo composto da Edoardo Cogo (5AC), Francesca Vitacca (5AL), Giulia Bellucco (5BL) inizia a confrontarsi sull’idea di realizzare un’intervista sull’esperienza dell’anno all’estero, con l’aiuto di Pietro Grosselle (4BSA) sulla base delle idee della professoressa Govorcin. 

Da questa riunione di 3 mesi fa è iniziato un lavoro che ha coinvolto in primis Edoardo, Francesca e Giulia, ma anche Matilde Martinelli (5AC) che ha svolto l’intervista effettiva, la professoressa Govorcin che ha preparato le domande ed è stata la prima persona ad aver pensato a questa iniziativa e, più di tutti, il professor Ruzzenenti che ha realizzato l’intervista ed ha poi montato il video che trovate in fondo a quest’articolo e che ringraziamo dal profondo del nostro cuore. Questo lavoro si conclude oggi, dopo 3 mesi di lavoro, 3 mesi in cui solo in pochissimi sapevano di questo progetto, 3 mesi intensi. E ora lo lasciamo a voi, sperando possa aiutarvi qualora steste considerando la possibilità di passare un periodo di tempo all’estero, e sperando possa arricchirvi come persone, buona visione!

Di seguito la risposta alla domanda fatta da poco agli studenti coinvolti: “Descrivete in 3 parole quest’esperienza”

Edoardo: “Stimolante, avventurosa, arricchente”

Francesca: “Divertente, illuminante, completa”

Giulia: “Collaborazione, trasmettere l’esperienza, ricordi indimenticabili”

Matilde: “Divertente, challenging, stimolante”

I direttori di RompiPagina 

Grosselle Pietro (4BSA), Marchetto Sara (4CA) e Martinelli Matilde (5AC)

Qui sotto potete trovare l’intervista

https://drive.google.com/file/d/1FQU-NO9iTCxNmqaCNc0JyEUcsCRKGQiF/view?usp=sharing

Origini degli scacchi

Secondo la storia gli scacchi nacquero in india attorno al VI secolo d.C., deriva da un gioco indiano chiamato caturañga.

Dopo l’occupazione cinese questi li modificarono nel gioco xiangqi, nel quale i pezzi erano disposti nell’intersezione delle caselle, piuttosto che nel centro.

Il gioco degli scacchi prende il suo nome dalla parola persiana Shāh, “re”, e la fine della partita è definita dal termine scaccomatto, “shāh mat”, ovvero “re sconfitto”.

Invece la leggenda narra che il creatore degli scacchi fosse un certo mercante chiamato Sissa Ben Dahir, che inventò il gioco per un principe annoiato. Al principe piacque molto e gli permise di chiedere qualsiasi cosa come ricompensa. Il mercante chiese un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via, sempre raddoppiando il numero per tutte le 64 caselle. I contabili del regno si resero conto che gli dovettero dare un numero impossibile di chicchi (circa 18’446’744’000’000’000’000 chicchi).

Questa leggenda era conosciuta durante il medioevo, e pure Dante ci dedicò un passo della Commedia, il quale utilizza lo schema della leggenda per dare un’idea del numero di angeli presenti in cielo.

“L’incendio suo seguiva ogni scintilla

ed erano tante, che ‘l numero loro

più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla”

Paradiso, Canto XXVIII, v.91-93

Un grande ritrovamento storico sono stati gli scacchi di Lewis, un gruppo di pezzi provenienti dall’era medioevale rinvenuti nella baia di Lewis, in Scozia. Assieme ad essi sono stati trovati numerosi giochi da tavolo, ma questo è l’unico set che è stato rinvenuto intatto e completo.

Il set comprende 79 pezzi scolpiti in avorio di tricheco, tranne alcune eccezioni, e i pezzi sono alti circa 10cm, tranne i pedoni, la cui altezza varia dai 3,5 ai 5,8, questo fa pensare che in origine fossero pezzi appartenenti a diverse scacchiere (anche la presenza di 19 pedoni, quando a set ne bastano 16).

Sono esposti tuttora e permanentemente al British Museum.

Il 20 luglio di ogni anno si festeggia la giornata internazionale degli scacchi

– Frederick Toschetti 2CA

Festival delle Lingue: I edizione

Dare un’unica definizione del nuovo “Festival delle Lingue”, formidabilmente organizzato dai docenti del Ferrari e dagli studenti delle classi seconde, terze, quarte e quinte che hanno partecipato e hanno contribuito con impegno alla sua realizzazione, risulta quasi impossibile. In una serata, quella dello scorso 22 Marzo, i partecipanti hanno avuto la possibilità di sperimentare e divertirsi attraverso una grande quantità di laboratori interattivi, i quali, attraverso la loro varietà, sono riusciti a lasciare qualche nozione di lessico, di cultura e che hanno rappresentato accuratamente l’amore verso le lingue da parte degli organizzatori, provenienti da non solo dall’indirizzo linguistico.

L’inizio delle attività vere e proprie è stato introdotto dalla band scolastica, la quale, con un vario repertorio di canzoni nelle diverse lingue proposte, ha indubbiamente permesso d’intrattenere il pubblico in maniera serena. In seguito si è tenuto l’intervento della nostra Dirigente, che ha colto l’occasione per ricordare a tutti il valore che possiede la conoscenza linguistica e la sua importanza nella creazione di una connessione con altri popoli e con le altre culture che, per quanto possono apparire ineguali dalla nostra, possiedono intrinsecamente una particolarità e una bellezza peculiare.

Gli ospiti hanno avuto ulteriormente modo di scegliere i laboratori linguistici ai quali partecipare grazie ad una iniziale rassegna stampa, che ha illustrato loro i relativi progetti dedicati alla parte pratica o agli scambi culturali.

Passando in rassegna i vari laboratori, partiamo da quelli in lingua inglese.

The Offensive Translator“, a cura dei professori Galante e Gusella e vari studenti del liceo artistico, tra i quali Frederick Toschetti (2CA), è riuscito a combinare divertimento e competenza.

Abbiamo avuto molta affluenza e siamo molto contenti di questo. Mescolando il comico (video in inglese) e serio (traduzione) abbiamo riscontrato molti pareri positivi.

English For Fashion“, a cura della professoressa Ghidoni e della classe 5^CA, tra cui l’alunna Aurora Lacerti, rivolto a tutti coloro con un forte interesse, o una semplice curiosità, verso il mondo della moda.

 “Abbiamo rappresentato gli stilisti più famosi come Chanel, Dior, Prada ma anche artisti più ricercati. Siamo molto contenti del risultato perché tra le prove Invalsi e gita in mezzo ci siamo impegnati tanto.

Victorian’s Secrets“, a cura delle studentesse Giada Gambalonga (5AL), Emma Marchioro (5AL), Erica Spigolon (5BL) e Greta Polonio (5BL), una versione moderna e comica di una possibile conversazione tra figure femminili indimenticabili della letteratura inglese.

La nostra attività consisteva in un talk show ambientato nell’età vittoriana dove le protagoniste erano Jane Eyre dell’opera Jane Eyre, Elizabeth Bennet di Pride and Prejudice e Catherine di Wuthering Heights. Siamo state assolutamente contente dell’affluenza.

The Tudor Family“, a cura della professoressa Scardin e di vari studenti di 4AL tra cui Anna Pavan e Riccardo Belluco, incentrata sulla memorabile dinastia regnante dei Tudor.

Grandissima affluenza e molta creatività nei corridoi, comparabile alla Notte del Liceo Classico.”

CreHAIKUS under the moonlight: poeti per una notte” a cura della professoressa Ditadi e di alcuni alunni di 4BSA, laboratorio in cui i partecipanti “sono stati invitati a creare un Haiku dal primo all’ultimo verso, come dei veri e propri Poeti! Partendo da immagini-stimolo o parole-stimolo proiettate all’interno della classe-laboratorio come ci spiega la professoressa stessa.

Fake or real?” coordinato dalla professoressa Mantoan insieme ad alcune alunne di 4AC che ci dicono: “Era un laboratorio incentrato sul riconoscere le fake news, dove i partecipanti analizzavano un articolo e sulla base di alcuni punti cercavano di capire se fosse vero o meno con, a seguire, dei quiz a premi per fare pratica”.

Passando alla lingua francese, la professoressa Fiocco ha affermato: “Le attività sono state totalmente proposte dai ragazzi, sia il quiz sui modi di dire in francese sia la pièce sull’assurdo di Ionesco, preparate tutte nel tempo record di 2 settimane. Ho avuto una grandissima soddisfazione riguardo le loro capacità di applicare la lingua straniera fuori dalla classe.”. I laboratori in questa lingua erano un quiz sui modi di dire in francese tenuto da alcune ragazze di 3AL e una piéce dell’assurdo di Ionesco che i ragazzi di 4AL avevano visto due settimane prima in gita a Parigi e da lì hanno deciso di metterlo in scena in questa serata.

Per quanto riguarda invece lo spagnolo, le classi sono state completamente riempite di spettatori. “Dalle cantigas alle canzoni: un mondo di tradizioni”, con la partecipazione di Sophie Benso (4BL) e Martina Corso (4BL) e numerosi altri ragazzi, ha superato le loro aspettative come da loro riportato: “Essendo un laboratorio letterario non ci aspettavamo così tanta affluenza, siamo rimaste piacevolmente sorprese.” Tra i partecipanti anche Hiba Chaouki (4BL) che ci dice: “è stato interessante portare una lingua diversa da quelle che studiamo poiché ho portato una canzone metà in arabo e metà in spagnolo”.

Tratta di letteratura anche “Federico Garcia Lorca: musica, teatro e poesia”, a cura della professoressa Faccon e dei suoi alunni, i quali insieme sono stati in grado di rappresentare perfettamente l’emozione contenuta dalle poesie. La professoressa ha commentato dicendo: “Con le rappresentazioni teatrali dell’Aurora di New York e La Casa di Bernarda Alba stiamo facendo successo: è la quarta volta che facciamo lo stesso spettacolo. Va studiata la prossima edizione ma ci abbiamo azzeccato, no?”. L’alunna Rowena Polato (5BL), che ha partecipato attivamente, ha aggiunto: “Pieno di gente, non si riusciva quasi a respirare dalla quantità di persone presenti. Ottimo esempio per chi volesse in futuro scegliere il linguistico.

Infine trattiamo delle attività in tedesco, che al pari delle altre lingue hanno riscosso pareri affermativi. Al riguardo, le professoresse Barison e Salvo hanno parlato positivamente delle performance, della partecipazione dimostrata e anche di come gli alunni stessi abbiano avuto l’occasione di divertirsi. Tra i vari, citiamo “Deutsch mit Spaß”, un interessante laboratorio lessicale organizzato dalla professoressa Mazagg e da alcuni alunni di 3AL, insegnavano le basi del tedesco ai partecipanti. Tra gli alunni c’è Alex Sinchevici che la definisce “davvero una bella esperienza, da rifare in futuro”.

Il laboratorio letterario e teatrale “Die Leiden des jungen Werthers: il giovane Werther tra dolori e passioni” sembra essere stato tra i più acclamati, grazie alla capacità degli attori di trascinare i partecipanti all’interno del memorabile romanzo di Goethe. Giulia Pastò (4BL) e Gianmarco D’Onghia (4BL) rivelano: “Abbiamo recitato una volta in più perché il pubblico lo ha richiesto. Ci siamo divertiti moltissimo.

Altro laboratorio in tedesco è stato “Das Brettspiel über Deutschland: un viaggio alla scoperta della cultura tedesca” di alcune studentesse del linguistico tra cui Valentina Grigio (3BL) che ci dice “è stato divertente osservare i primi approcci al tedesco di persone totalmente alle prime armi”

In molti hanno partecipato anche agli interventi riguardo le esperienze internazionali che la scuola propone, per i quali la professoressa Rappo ha espresso una sentita soddisfazione: “La serata sta andando oltre le nostre aspettative, sono veramente felice, sta ripagando tutti i nostri sforzi. Gli studenti si stanno impegnando molto e i progetti internazionali stanno riscuotendo successo. Sono molto soddisfatta anche degli ex studenti che sono venuti per aiutarci.” Gli ex alunni Riccardo Alfonso e Sofia Zhou, che hanno presentato le loro esperienze Erasmus, hanno dichiarato: “Non ci aspettavamo tutta questa partecipazione, i genitori sono emozionati all’idea di mandare i figli all’estero e tornare qua è stato quasi nostalgico.”. Ma sempre a parlare delle loro esperienze c’erano anche Camilla Erbusti (5AA) e Elena Grillo (5BL) che ci dicono: “Ci sono un po’ di persone interessate, soprattutto genitori che chiedono per i figli ed è una cosa molto positiva”.

La serata ha ricevuto riscontri particolarmente positivi da molte persone e di seguito ne riportiamo alcuni, come Marco del Piccolo, DSGA (Direttore dei Servizi Generali Amministrativi) del nostro Istituto che afferma: “Non ho mai visto una cosa del genere, vedere la scuola riempirsi durante questi eventi mette gioia.” o le giovani Livia, Maddalena e Alessia (di rispettivamente 7, 7 e 4 anni) a cui è piaciuta la serata, in particolare “il laboratorio di tedesco e gli indovinelli in francese dove abbiamo vinto le caramelle”, o ancora il parere di Agostino, madrelingua inglese che attualmente è assistente di lingua nella nostra scuola, che ci ha detto: “I think this has been a wonderful evening, all the students were involved into their projects. I’ve been very impressed at the level of English that I saw in the workshops.”.

Anche la Dirigente Scolastica Milena Cosimo si è espressa positivamente riguardo la serata affermando: “c’è tanta partecipazione. Soprattutto gli attori sono bravissimi e tutti i laboratori sono molto interessanti”.

Si può considerare quindi la prima edizione del Festival delle Lingue un successo, la realizzazione concreta dell’impegno di docenti e studenti, ma anche la dimostrazione delle competenze acquisite dagli alunni durante il loro percorso scolastico, come afferma la professoressa Businarolo, docente di lettere che ha partecipato ai laboratori e che ha rivelato la sua ironica preoccupazione: “Sono preoccupata perché ci stanno facendo una grande concorrenza per la Notte del Liceo Classico. Sono bravissimi questi ragazzi del linguistico. Fanno dei laboratori interessantissimi. Quasi quasi verrebbe voglia di imparare le lingue anche a me.

La professoressa Fiocco ha espresso il significato di questa serata, oltre al presentare i vari progetti che la scuola propone: “Sono questi momenti in cui troviamo forse il senso di ciò che facciamo perché in aula si vede qualcosa, ma non si vede tutto quello che i ragazzi sanno fare e come sanno abitare la lingua straniera”.

La professoressa Scardin, insegnante d’inglese, ci ha raccontato come sia nata l’idea di questa serata ed ha esternato il desiderio di riproporre il Festival anche negli anni a venire: “Questa serata è nata dalla voglia di far conoscere ai ragazzi e alle famiglie le varie opportunità dei progetti internazionali che la scuola propone. Partendo da questo obiettivo, ovvero di mostrare le emozioni e i risultati che i ragazzi portano a casa da queste esperienze, siamo arrivati al festival di oggi. Questa non è una serata dedicata solo al linguistico, ma a tutto l’istituto perché questi progetti sono trasversali a tutte le classi di tutti gli indirizzi. Ci siamo messi un po’ in gioco insieme a tanti colleghi e studenti. Ci ha colpito perché non ci aspettavamo così tanta affluenza. Siamo rimasti veramente soddisfatti e spero che sia piaciuta a tutti e ci auguriamo l’anno prossimo di poter fare una seconda edizione.

Francesca Picelli 1AL

Valentina Grigio 3BL

Pietro Grosselle 4BSA

Con le foto di Diletta Sbicego (4BSA) e Irene Morato (5AS)

Scrittura 02

Penso che anche se apparenza e realtà siano 2 cose completamente
diverse, abbiano in fondo un legame comune: entrambe possono essere
interpretate.
L’ apparenza viene creata dal nostro subconscio, dal nostro modo di
pensare e anche se pensata per un certo scopo può ottenere risultati
totalmente contrastanti tra loro.
La realtà, anche se definita oggettiva, può essere letta in mille modi diversi.
Come possiamo sapere con quale criterio viene definita oggettiva?
Le maschere che ognuno di noi costruisce, perché sì, anche le persone più
sincere possiedono varie maschere, sono apparenti, quasi definibili da
copione.
Non vengono costruite per una questione di falsità, ma più per un fatto di
sopravvivenza pacifica.
Tanto più una persona riceve degli obbiettivi da raggiungere, delle
aspettative, tante più maschere crea per non deludere gli altri.
Tanti più ambienti frequentiamo, tanti più amici abbiamo, tante più
maschere saranno.
Ognuno di noi crea apparenze diverse con persone diverse, ma come.
facciamo a riconoscerci per quelli che siamo veramente?
Penso che siamo un po’ un insieme di tutte le maschere, le apparenze che
creiamo.

Pirandello sosteneva questa sua idee delle persone che indossano
maschere adattabili a ogni situazione, e io concordo con lui.
Quindi, direi che ognuno possiede un po’ la sua realtà, dove può
trascorrere le giornate in pace e in serenità.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

Scrittura 14

Io credo che oggi la società impone di pensare che sia più importante far credere di star
bene nei panni di altri, per questo fingersi a proprio agio in atteggiamenti di moda, a tal
punto da perdere chi si è realmente.
Non capivo se ero me stessa, finché non mi hanno iniziano a denigrare per come mi vestivo,
per il mio punto di vista o perché non ero come loro… ma il mio tentativo di comportarmi
“come loro” mi faceva male, mi annullava e quindi non mi stava bene addosso non lo sentivo
mio perché non mi era naturale.
Mi avevano chiesto perché non ero come le altre, direi che è perché non so fingere di essere
omologata come “le altre”.
Un giorno guardando un film ho sentito una risposta a cosa dicono del tuo stile in giro: ‘Un
po’ di offese e insulti, certo. Ma amo dire che “normale” è l’insulto peggiore che esista…’.
Decidi di essere normalmente te stesso sempre e fregatene qualsiasi cosa accada non
cambiare mai, perderesti “solamente” te stesso… che pensandoci “solamente” non è.

dal concorso “Le Maschere” aperto al biennio

POZZANGHERE

“Ma fai rumore, sì. Che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te”, dice Diodato in una delle sue canzoni.

Il silenzio è bello, però c’è una sorta di limite credo. Questo, arriva quando si inizia a sentire un vuoto. 

Ma non il solito, no.

Non è quel tipo di spazio che si è creato e di cui si sente quasi il bisogno di riempirlo. O anche accettarlo a volte…

Ma fa male.

Fa male

Fa male

Fa male

Male, come quando cerchi di guardarti allo specchio e non ti riconosci. 

Ti guardi negli occhi e non vedi nulla. E se ti va bene, diventano lucidi e poi piangi. Ma è raro che succeda.

È difficile anche quello. Anche piangere all’esterno a volte…

“Diamo da bere” a queste pozze d’acqua, non è abbastanza. Non sgorga ancora acqua, deve arrivare al limite. No?

Vorrei essere leggero. Vorrei saper dire delle cose che non so dire, senza aver paura. Vorrei correre per poi cadere. Rialzarmi, ma prima di farlo stendermi per bene in una pozzanghera e nel mentre aiutarla a riempirsi. 

Poi però, rialzarmi come detto, e correre nuovamente. Girare su me stesso fino a quando non mi girerà la testa e inizierò a sorridere come un cretino, come quando di solito lo faccio. 

Magari urlare, magari condividere la solitudine…

Silenzio, devi startene zitto. Capito?

La libertà è per pochi, la libertà è scoprire di esser soli.

Le foglie cadono, e tu cadi come loro. 

Non lo vedi, ma a terra ci sei e non ti stai alzando.

Svegliati!

Beep beep beep beep (la sveglia che suona)

Che cos’è un uomo nell’infinito?

Mercoledì 20 marzo si è tenuto il primo incontro culturale, organizzato da noi redattori di Rompipagina, al Gabinetto di Lettura di Este.
È stato un incontro molto intimo, seppur formale, e a causa di questo i partecipanti hanno potuto dibattere con i tre professori che hanno dato la loro disponibilità per l’organizzazione di tale incontro.
La prof.ssa Businarolo, il prof. Cascio e la prof.ssa Falanga hanno presentato al pubblico il tema dell’infinito; un argomento che ha da sempre affascinato gli uomini, dall’antichità fino ai giorni nostri.
La prof. Businarolo è partita proprio dalle origini di un termine greco simile alla definizione che abbiamo noi di infinito, per approdare poi, attraversando la visione umana del concetto di infinito nel corso dei secoli, all’angoscia di Pascoli nei confronti di questo.
Il prof. Cascio ha citato invece il filosofo Pascal, che ha identificato come uno “spartiacque” nel rapporto tra uomo e infinito, ragionando sull’effetto che la grandezza di ciò ha avuto nell’umanità e su in che posizione si sia posto l’uomo rispetto ad esso. Affrontando il tema dell’infinito da un punto di vista personale ed esistenziale, ha parlato del concetto di scelta e probabilità in Kierkegaard. Ognuno di noi, infatti, ha un’infinita possibilità di scelte che ci porta spesso ad una “paralisi della scelta”; questa è determinata dal fatto che non potremmo mai avere la certezza che la scelta che compiamo sia quella giusta, ma soprattutto perché abbiamo il timore di abbandonare tutte le altre migliaia di possibilità.
Infine la prof.ssa Falanga, partendo dal notissimo simbolo dell’infinito in matematica, ha descritto come a partire dal Cinquecento l’uomo abbia cercato di riprodurre l’idea di infinito attraverso l’architettura, citando Palazzo Barozzi a Vignola, ad esempio. La prof.ssa ha poi mostrato moltissime opere pittoriche per raccontare questo infinito; in particolare, le opere di Friedrich dove l’uomo è posto in secondo piano, fungendo quasi da sfondo alla protagonista che è invece la Natura e le ninfee di Monet. L’ultimo suo intervento riguarda, sempre
attraverso l’architettura, l’infinito nella sfera temporale. Ha citato infatti un’ importante architettura orientale della religione induista: Santuario Ise, in Giappone. Tale edificio, secondo la tradizione, viene abbattuto e ricostruito da capo ogni 20 anni, cosa che dunque potrebbe proseguire per un tempo infinito.
Ringraziamo caldamente il Gabinetto di Lettura di Este per averci permesso di organizzare questi incontri culturali.
Infine, invitiamo caldamente voi lettori a partecipare ai prossimi incontri che riteniamo essere molto educativi e formativi, indirizzati a persone di tutte le età e non solo a noi studenti.

Vi lasciamo di seguito il video registrato durante la serata e le presentazioni in formato pdf dei relatori dell’incontro

Registrazione della serata: https://drive.google.com/file/d/1RvqKOIkipCO6p0GAxfL5OWPL37vVfpDL/view?usp=sharing

Presentazione Letteratura: https://drive.google.com/file/d/1i6Lu1F1acM_qmCWvtFlpa4Skav5IO0th/view?usp=sharing

Presentazione Filosofia: https://drive.google.com/file/d/1UXYu7LCiJF1vMlMdIpHXpTRgCkhVHrfr/view?usp=sharing

Presentazione Arte: https://drive.google.com/file/d/1Ay8v3YfF0vF9Y_6AQoPF2Sq_BuIuY34y/view?usp=sharing

I direttori di RompiPagina

Is Ugly Still Chic?

Non solo le cose “belle” ci attraggono, che sia in amore o nella moda. Il “brutto”, sempre se così si può definire, ha un fascino intrinseco, ha qualità inspiegabilmente percepibili che però sfuggono alla comprensione piena del fenomeno.
L’introduzione del “brutto” nell’arte nasce come provocazione intellettuale contro una patinata noia borghese, come scrive Francesca Milano Ferri per Harper’s Bazaar, e anche più tardi e in ambiti diversi, non è venuto a mancare l’aspetto provocatorio e sovversivo. Un esempio di evento rivoluzionario per la moda fu senza dubbio la SS1996 “mix di colori solforosi” (def. di Anna Piaggi) di Miuccia Prada, collezione aspramente criticata proprio per non aver rispecchiato l’idea di bello e di conforme, che aprì le porte al famosissimo “pretty-ugly”; è sempre Miuccia Prada a dire: “Il brutto è attraente, il brutto è eccitante. Forse perché è più nuovo”.

Prada Spring 1996

Prada Fall 1996


Dello stesso parere è anche l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, il quale, in un’intervista riguardo alla sua collezione “Make The Strange Beautiful” disse: “Più strano sei, più bello sei. A me piacciono i difetti, non c’è niente da fare”.

Gucci Spring 2022 “Love Parade”


Però alla stranezza e alla singolarità, per non parlare direttamente di “bruttezza”, sono stati imposti dei limiti: l’ugly chic di Prada ha avuto un’ascesa e un declino, e l’impero dorato Gucci di Michele è deceduto da ormai un’anno. Ciò che sfila oggi è ricercata e ostentata semplicità, quasi una camicia di forza alle nostre passioni, alle nostre spinte.

Non sentiamoci mai in dovere di conformarci, di diventare lo standard. Rendiamo felici noi stessi, e aggiungiamo quella spilla o quel colore dissonante che ci faranno uscire di casa con un sorriso. Rendiamo il nostro armadio Immature Couture.

-Edoardo Benedusi 5AC

Pioggia silenziosa

Immagino la segreteria telefonica, i messaggi che non si inviano.
Il silenzio, il nulla…
Immagino te, e tutto questo.
Il mio silenzio.
Sono sparito, ma ora eccomi qui.
O forse, ora sono nuovamente diventato il silenzio. Non più quel tipo di vuoto
necessario al tempo, ma quel
niente insignificante nonostante io sia qui questa volta. Non è volontario. Forse, è diventato reale. Quello
spazio necessario di silenzio assordante…
Non ha mai smesso di piovere in questa stanza. Come non ho mai smesso di aspettarla, la pioggia, per
piangere assieme a qualcosa che non fosse una persona.
De André dice: “C’è chi aspetta la pioggia
Per non piangere da solo”
Chissà quante altre persone la aspettano…
I Ricordi, possono riprendere vita da qualche altra parte a noi ignota?
Se è così, vorrei solamente essere per un attimo una persona esterna ai miei ricordi, per guardarli un’ultima
volta da fuori.
Non voglio riviverli in prima persona, no. Perché sennò non sarebbero quel che sono stati.
Non è possibile però, è solo una cosa troppo malinconica accompagnata dalla mancanza di qualcosa forse.
Piangere, è liberatorio. Però, a volte la pioggia “arriva un po’ in ritardo” per farti compagnia nel mentre.
Quindi, non si aspetta più la pioggia per non piangere in solitudine. Piove e basta, anche senza di lei…

– Anonimo